lunedì 26 maggio 2014

Giornate Badeniane del Pinot Nero...

Quest'anno, per noi, niente degustazione pubblica dei vini alle Giornate Altoatesine del Pinot Nero. Ci sarebbe stato più di un centinaio di vini a disposizione, ma le condizioni febbrose di uno dei due (senza fare nomi) ci costringono a dare forfait... 

L'unica consolazione sta nell'aver partecipato - per lo meno - alla degustazione dedicata alla regione vinicola del Baden.
Si tratta di una zona non molto conosciuta qui in Italia - nemmeno da noi due infatti - ma che, per il livello qualitativo dei suoi Pinot nero, meriterebbe l'attenzione di ogni amante di questo vino, tanto più considerando il rapporto qualità/prezzo.
Tra le regioni vinicole della Germania, è la terza per estensione (15.000 ha) e quella più a Sud, essendo collocata nella parte sud-occidentale del Land del Baden-Württemberg, nell'Alta valle del Reno sul confine con la Francia e la Svizzera.
Gode di un clima caldo e soleggiato, garantito dalla presenza del Reno e dalla protezione delle catene montuose della Foresta Nera (ad Est) e dell'Odenwald (a Nord).
Questo fa sì che l'uva riesling ceda il posto alle tre varietà di pinot: bianco (weissburgunder), grigio (ruländer) e, per l'appunto, nero (spätburgunder).
Nell'intera regione sono attive circa 20.000 aziende viticole, molte delle quali raggruppate in grandi Cooperative (che coprono il 72% della superficie vitata).


Sono nove le aree viticole presenti nel Baden, ma il nostro percorso - sotto la guida dell'enologo-consulente Edgar Auer - si sofferma su tre zone della sua parte centro-meridionale: il Kaiserstuhl, il Breisgau ed il Markgräflerland.
Noi, a nostra volta, ci soffermiamo qui sui vini più apprezzati, altrimenti non si finisce più...

Edgar Auer

MARKFRÄFLERLAND
Si parte proprio dal Markgräflerland, che copre l'area alla destra del Reno superiore, da Lörrach fin su a Friburgo. Ha suoli sono molto diversificati, tendenzialmente pesanti, argillosi e marnosi e con uno strato di loess profondo diversi metri, ed i vigneti sono impiantati dai 210 ai 470 metri s.l.m.

Qui, e precisamente a Müllheim-Hügelheim, ha sede la cooperativa Winzerkeller Hügelheim, costituita da 55 viticoltori con 77 ha totali di vigneti.
Lo Spätburgunder Höllberg SL trocken 2010 è una loro selezione (SL = Selektions-Lese), ottenuta da vigne di almeno 10 anni piantate a Höllberg, su suolo argilloso e coperto da loess, ed esposte a sud.
L'annata 2010 è stata tipica, ci spiegano, e quindi abbastanza fresca.
Le rese sono state contenute nei 40 kg/ha, ed il mosto è stato fatto macerare per 14 giorni sulle vinacce. Il vino è poi maturato in botti di rovere di secondo passaggio per 22 mesi. Alcol 13% vol.
Prezzo sul sito della cantina: 18,90 €.
Il colore del vino è rubino-granato poco intenso ma luminoso ed invitante. Ha un naso fine, con odori di uva spina, di frutti rossi, di affumicato e tostato, cuoio, tabacco e sentori balsamici. In bocca mostra un corpo medio, vellutato e ricco di tannini ma anche piacevolmente fresco.
Ci piace!


L'azienda Martin Wassmer (di Bad Krozingen) nasce invece per la coltivazione degli asparagi, per svilupparsi solo in un secondo momento nel settore della vinificazione.
Il loro Pinot Noir Dottinger Castellberg GG - non ho segnato l'anno però... - proviene dall'area di Castellberg, ricca di calcare e marne. L'azienda pratica l'agricoltura convenzionale ma, per questo specifico appezzamento, ha deciso di mantenere le pratiche biologiche già in precedenza utilizzate fino al tempo in cui fu acquistato. Matura all'incirca 18 mesi in barrique. Il prezzo si aggira sui 60 euro (argh).
Ha sentori floreali, di piccoli frutti e prugne, con note di tostatura e caffè, mentre in bocca ha buona struttura, tannino fitto, rigore ed armonia.
Ci piace assai! ☺☺



KAISERSTUHL
Passiamo al Kaiserstuhl (letteralmente: "Sedia dell'Imperatore"), che è poi il nome di una catena di colline di origine vulcanica che si stende a Nord del comune di Breisach. L'area vinicola occupa la fascia da Friburgo alla Valle del Reno, ed è tra le più soleggiate e calde della Germania.
Il suolo si caratterizza, oltre che per le rocce vulcaniche, per la presenza di strati sedimentati di loess in superficie, soprattutto nel Kaiserstuhl orientale.
La viticoltura è diffusa sull'intera area, dai 190 ai 400 metri s.l.m., su pendii ripidi e terrazzamenti.
Ne risultano Pinot neri tendenzialmente corposi e fitti, con un sensibile tannino, una netta mineralità e sentori fruttati più delicati.

Ci presentano la Weingut Trautwein (di Bahlingen), proprietaria di 9 ha di vigneti nel suo stesso comune, nella parte orientale del Kaiserstuhl, su suoli di matrice vulcanica con ampi strati di loess (fino a 30 metri!).
L'azienda ricorre a pratiche biologiche e biodinamiche. Contro malattie e parassiti vengono utilizzati solo preparati biodinamici di tè, compost e silicio, mentre per la fertilità del suolo si interviene con il letame e le pratiche di sovescio.
La vinificazione, poi, segue le fasi lunari e si avvale soltanto di lieviti indigeni.
In assaggio il Quälitatswein Spätburgunder Edition RS "vom Käsental" trocken 2011, da vigne di 35 anni di età, da terreni di loess calcareo e argilla; la resa è limitata a 30 hl/ha (corrispondenti circa a 50 q/ha). Una macerazione a freddo di 5 giorni precede la vinificazione (con follature); la maturazione dura 18-24 mesi in barrique (per 2/3 nuove). Prezzo: 35 € dal sito della cantina.
Prevalgono i profumi di frutti di bosco, erbe aromatiche e speziature (pepe), rispetto alle note affumicate e tostate. Ha una media struttura, con acidità e tannini in primo piano mentre la morbidezza resta molto attenuata.
Ci piace assai!☺☺
Lo stesso vino ci viene proposto anche nell'annata 2007, che risulta molto pià speziata ed affumicata, più equilibrato anche se ancora fresco e tannico e con accenni di marmellata di prugne nel finale.
Ci piace! ☺



BREISGAU
E così giungiamo all'ultima regione, il Breisgau, area molto variegata che da Lahr scende a Sud fino a Friburgo. Le viti crescono tra i 180 ed i 450 metri s.l.m.
Si distinguono varie tipologie di terreni: alcuni sono dominati dallo gneiss (roccia metamorfica), altri caratterizzati da loess e argilla, altri ancora da arenarie calcaree.

Nel comune di Kenzingen, in particolare, è situata la cantina Shelter Winery, di Hans-Bert Espe (fisicamente con noi) e Silke Wolf.
Hanno 4 ha circa di vigneti a Kenzingen e Malterdingen, in un microclima caratterizzato da notevoli sbalzi termici e su terreni calcarei.
Due le loro tipologie di Pinot nero: lo "Spätburgunder", vino base da vigne più giovani e con rese più alte (comunque entro i 50-60 hl/ha), ed il "Pinot noir", selezione da vigne più mature e con rese contenute nei 35-40 hl/ha.
Quanto al processo produttivo, sappiamo che le uve sono raccolte in piccole cassette di frutta e, dopo la pressatura, sottoposte - di solito per il "Pinot noir" - a breve macerazione a freddo. La vinificazione ha luogo in tini aperti, con macerazione sulle vinacce di ben 4-6 settimane.
Il Pinot Noir 2006 - in assaggio - è frutto di un'annata con rese finali bassissime (15 hl/ha) dovute alle infezioni di botrite. E' stato affinato in botti nuove per circa 18 mesi e, poi, imbottigliato in magnum senza alcuna filtrazione.
Ha piccoli frutti rossi ben amalgamati con gli odori speziati, tostature e caffè; il corpo è medio, discretamente morbido e con una buona acidità a ravvivarlo. Equilibrato e piacevole.
Ci Piace!


Viene poi il turno di Bernhard Huber, appartenente alla VDP (della quale si è già scritto qui). Coltiva i terreni calcarei e ricchi di argilla del Comune di Malterdingen (dove ha pure sede la cantina). Dal 2009 ha iniziato a vinificare con soli lieviti indigeni.
Il suo Spätburgunder alte reben 2011 proviene da vigne tra i 20 ed i 40 anni, con rese di 37 hl/ha. Compie la malolattica in barrique, poi viene effettuato un primo travaso senza chiarifica e resta quindi a maturare nelle botti per altri 18 mesi.
E' un vino fruttato (di frutta matura), con anche note di uva spina che tendono però all'affumicato ed al caffè, e spezie più lievi rispetto ad altri. Ha un corpo medio-leggero, bello fresco e teso.
Ci piace! ☺
Il nostro vino preferito della serata è però lo Spätburgunder Schlossberg R GG 2008. Prende il nome dai 6 ha di vigneto classificati "Grosses Gewächt" ed appartenenti alla più vasta area di Hecklinger Schlossberg, che copre complessivamente 50 ha.
Le vigne aziendali sorgono su di un ripido pendio (fino al 72% di pendenza), con suolo ricco di scheletro e costituito da rocce calcaree giallastre, esposto a sud, sud-ovest. Le piante hanno tra i 6 ed i 35 anni e sono impiantate tra le 6.000 e le 13.000 per ettaro, mentre le rese sono contenute nei 28 hl/ha.
Ha un naso complesso di frutta, odori balsamici e minerali accompagnati da sentori di zolfo. In bocca ha struttura media, è morbido ma profondo, fresco, sapido e tannico.
Ci piace moltissimo! ☺☺☺


The end...


venerdì 23 maggio 2014

Denny Bini e Marubini!

Ecco, l'abbinamento di stasera è stato giusto per trovare la rima.

Lui, Denny Bini, è un giovane vignaiolo, che ha cominciato a vinificare con una sua etichetta nel 2007, con mezzo ettaro di terreni in affitto a Coviolo, alle porte di Reggio nell'Emilia. L'impianto dei vigneti risale però già al 2003, con le varietà lambrusco grasparossa e malbo gentile.
Dal 2011 lavora un ettaro complessivo di terra e coltiva anche lambrusco salamino e di sorbara.
La zona di produzione prende il nome di Podere Cipolla. E' situata su una bassa collina a 200 metri s.l.m., compresa tra due torrenti, e si caratterizza per un suolo con un primo strato compatto limoso-argilloso, seguito a 40 cm di profondità da uno strato di rocce alluvionali (e fossili) ciottoloso e quindi maggiormente drenato.

Data la naturale fertilità del terreno, per ridurre la resa si è scelto l'allevamento a cordone speronato, con potatura corta, limitando a 16 le gemme per ceppo.
Le rese non superano gli 80 q/ha, mentre la densità di impianto è di 2.400 ceppi/ha.
La coltivazione - pur priva di certificazioni - segue il regime biologico: trattamenti solo con rame e zolfo; concimazioni con letame e sovescio; diserbo meccanico; aggiunta di solfiti soltanto in fase di pigiatura; nessuna chiarificazione né filtrazione (il tannino ed il sedimento dei lieviti fungono da antiossidante).

"Se non acquistate vi faccio un mazzo..."

Quell'etichetta col sole... l'abbiamo già vista!

Il suo Lambrusco dell'Emilia IGP "Ponente 270" del 2012 - aperto stasera - è un uvaggio di tutte le varietà di lambrusco aziendali: quindi grasparossa, salamino, malbo gentile e di sorbara. E' vinificato in acciaio con lieviti indigeni, e subisce una macerazione sulle vinacce di 3-4 giorni.
Rifermenta in bottiglia - secondo il metodo tradizionale - e nello stesso contenitore rimane per almeno 8 mesi prima della commercializzazione.
Ha un colore purpureo intenso e luminoso, con una lieve effervescenza superficiale. Gli odori sono abbastaza intensi e franchi, e rimandano alla marmellata di ciliegie (aspre) ma pure alle spezie, come vaniglia e chiodi di garofano, e persino a sentori smaltati. In bocca è secco, senza residui zuccherini evidenti, e vivace ed energico, snello e beverino; è animato inizialmente dalla frizzantezza e dall'acidità, poi si fa sentire la struttura tannica abbastanza intensa e viva. E' un tipetto di carattere ma soprattutto che dà godimento. Ah, ha solo il 12% alc./vol.

Come al solito, l'abbinamento non è azzeccato. 
I ravioli carne e aglio dell'azienda Fioni Alfonso (di Castelverde, CR), in pratica i famosi marubini di Cremona, sono una pasta fresca all'uovo ripiena con carne suina, carne bovina e prosciutto, poi parmigiano reggiano, pane grattato, verdure, spezie ed aromi.
Nel brodo di carne sono davvero squisiti, con uno involucro di pasta spesso e compatto (ottenuto con farine sia di grano duro che di grano tenero) che racchiude un amalgama di carne grassa e pastosa e di "fresca" verdura, il tutto su un netto sfondo agliaceo.
L'unico problema del piatto, per l'appunto, è che non ha un'intensità di profumi e sapori sufficiente per sostenere sostenere questo vino giovanile e forte.
Se non altro, il tannino del vino compensa l'umidità del brodo e la sua freschezza ripulisce la bocca dalle sensazioni di grassezza e pastosità della pasta e della carne.


lunedì 19 maggio 2014

Cerevisia Festival... non è una sagra paesana!

Anno 2014: dai e dai, scuoti e scuoti, finalmente anche il Trentino ha avuto il suo festival della birra "artigianale".
Nell'inerzia dei soggetti più propriamente "birrari" (associazioni di degustatori e/o appassionati, pub e birrificio), abbiamo dovuto attendere l'iniziativa della Pro Loco del Comune di Fondo (TN), amena località dell'Alta Val di Non.
La circostanza farebbe sorridere... se non fosse che quest'associazione ha dimostrato di essere composta da appassionati autentici e seri (si vede da tanti piccoli dettagli, ad esempio dal servizio nei "Teku" e non nei bicchieri da "baretto" che qui vanno di moda persino nei brewpub), ed è riuscita a coinvolgere tutti i birrifici "artigianali" trentini in un evento sorprendente per stile, organizzazione e partecipazione.


Per quanto riguarda noi, abbiamo zompato da uno stand all'altro, cercando di farci un'idea delle condizioni del piccolo mondo produttivo provinciale... E lo stato di salute, dobbiamo ammetterlo, è davvero consolante!
Ad essere precisi, le birre - nella media - non è sono state poi così coinvolgenti o sorprendenti... Abbiamo trovato però tanti prodotti piacevoli nella loro semplicità, e - in media - senz'altro più curati rispetto a qualche anno fa.
Vedremo come si evolverà la scena... Per intanto, qualche appunto l'abbiamo preso.

Birra Lagorai.
Parlando con l'addetto allo stand, scopriamo che all'opera, con una rinnovata società, un nuovo marchio ed un'accattivamente denominazione, c'è la famiglia Smaniotto già conosciuta in passato per le aziende Fravort e Birrificio Valsugana.
(Ri-)Attivi da un anno circa, offrono la Birra Lagorai: stile pils, il suo punto forte sta nel colore, un affascinante dorato limpido e brillante. Gli odori sono essenziali, di cereali e di luppoli erbacei e leggermente mentolati.
In bocca è molto snella e beverina, con un'acidità medio-bassa, una netta frizzantezza ed un finale lievemente amaro. Pulita ma senza pretese.


Barbaforte.
Beer firm sorta nel luglio 2013, dopo una decina d'anni di "homebrewering". Si incardina nell'attività aziendale storica di somministrazione (il "Caffè in piazza" di Folgaria), presso cui è possibile trovare le birre in vendita e mescita.
Il loro primo prodotto è la San Lorenzo. Birra paglierino-dorata in stile definito "Golden Ale", con malti tedeschi ma non solo, e cinque diverse varietà di luppolo (sulla cui provenienza prima o poi interrogheremo il diretto interessato!). Odora di miele ed erba, con più lievi sentori di agrumi e spezie pungenti, in bocca è molto leggera e mantiene un basso profilo, comunque risulta equilibrata con lieve prevalenza di sapidità e amarezza.
Preferiamo la Obice, definita di stile American I.P.A. ma noi, in realtà, propendiamo per l'American Pale Ale (A.P.A.), data la minore intensità di profumi, corpo ed amaro.
Si presenta ambrata con una discreta schiuma. Gli odori rimandano al malto un po' caramellato, e poi ai luppoli americani, con i loro agrumi (pompelmi ed arance) e resine.
Il corpo è medio-leggero, con una certa acidità ed un amaro di media forza.
Anche qui si punta ad un basso profilo, ma per noi è comunque appagante.
Birrificio da tenere d'occhio.


Birra di Fiemme.
E' probabilmente il birrificio più antico del Trentino, in attività da almento 15 anni.
Non ci dispiace la loro Nòsa, ad alta fermentazione con 6 varietà di luppolo (credo tedesche). Profuma di biscotto, miele, luppoli erbacei e mentolati, leggermente speziata; il corpo medio-leggero, con lieve dolcezza maltata iniziale, seguita da leggera acidità e buona sapidità, con finale amaro medio-leggero. Abbastanza equilibrata, si fa bere con piacere.


Bionoc.
Vabbè, lo conosciamo già e - come scritto e detto più volte - è il nostro birrificio prediletto da queste parti. I due titolari, Nicola e Fabio, si confermano sempre persone dinamiche, ispirate e capaci.
L'unico suggerimento: puntare ad una maggiore costanza sul piano qualitativo, perché nei loro fusti non è così raro imbattersi in odori non proprio desiderabili... stavolta, per dire, assaggiando per la prima volta la nuova Golden Ale ci sentiamo dentro odori di lievito di birra... boh...
Quello che conta, però, è che oggi sono stati in grado di entusiasmarmi con il loro fusto sperimentale di Single Bot, birra ispirata alle Red Ale delle Fiandre occidentali.
La base è un'Alta Vienna lasciata maturare in botte per 8 mesi, dove si ossida ed acidifica lentamente ed evolve in corpo e profumi. Va precisato che il processo produttivo è ancora lungi dal concludersi, dato che il mastro birraio intende lasciarla in botte ancora per tutta l'estate prima di porla in commercio (chissà, magari pure blendata con una birra più giovane).
Oggi si presenta di un colore ambrato-rossastro, con schiuma (ancora) discretamente abbondante e persistente.
Ha odori maltati di cereale caramellato, di crosta di pane, di ciliegie sotto spirito, di cantina, con note di aceto, pesche mature ed albicocche secche.
In bocca è viva, energica. La sua densità e la media dolcezza sono in grado di equilibrare molto bene l'acidità tagliente, che si unisce ad una sapidità medio-leggera e ad una media amarezza finale.
Avrei voluto berla fino ad esaurimento.


Per un motivo o per un altro, non faremo cenno agli altri birrifici presenti: Birra del Bosco di Lavis, Carador di Folgaria, Lucia Melchiori (storico produttore di succhi di mela) di Tres, Teddy Bier di Mori e Birrificio Val Rendena di Pinzolo... Vabbè, sarà per il prossimo festival (magari organizzato dai birrifici stessi?)
In conclusione, merita però un cenno la Beautiful & Strange della Brewfist, stile Gose e quindi con malto pilsner e frumento, aggiunta di sale e lieve speziatura con bergamotto ed arancia... provata allo stand dell'Angolo dei 33, ci fa venire voglia di estate, soprattutto una volta in bocca, così sottile, acidula, sapida e beverina (anche se le durezze tipiche dello stile sono molto smussate).

P.S. Abbiamo notato la mancanza dell'Agraria Riva del Garda e della sua fantomatica "Brr...Riva", ma ci siamo dimenticati di domandare il perché...

P.P.S. Per la cronaca, il pubblico del festival ha votato come miglior birra la Foxtail di Birra del Bosco e la Obice di Barbaforte; il birrificio più votato è stato invece il Bionoc. Ma a quando una competizione con una vera e propria giuria?

mercoledì 7 maggio 2014

Ancora vignaioli (Gino Pedrotti) ed ancora caci, che monotonia...

I recenti vagabondaggi per il trentino "vignaiolo" ci hanno condotto stavolta a Pietramurata, in Valle dei Laghi.
Qui ha sede l'azienda agricola Gino Pedrotti, in un accogliente e rustico casolare che ospita anche l'osteria si famiglia "Pedrotti Bar".
L'attività è attualmente in mano ai tre figli dei signori Gino e Rosanna: ed è a Giuseppe, in particolare, che spettano i compiti di agronomo ed enologo aziendale... nonché di mescitore dei vini durante la nostra visita.


In Giuseppe Pedrotti troviamo una persona dall'aspetto buono e dai modi semplici e gentili ma, al contempo, determinata, rigorosa e dedita nel suo lavoro.
Ad ogni modo, ci tratta con un'ospitalità incredibile... anzi, nemmeno poi così incredibile, perché i "piccoli" vignaioli trentini, visita dopo visita, ci stanno abituando al loro senso di accoglienza contadina.
Parlandoci, inoltre, mostra di avere (oltre ad una netta inflessione dialettale) una concezione ben precisa del suo "ruolo" di vignaiolo: un interprete autentico della vigna e dei suoi frutti - così ci sembra che si veda - che assecondando le tendenze del suolo, delle piante e dell'uva, sia dentro al campo che nella cantina, le dirige verso alti risultati qualitativi.
Anche per questo ha ottenuto la certificazione biologica e, da anni, studia e rispetta le pratiche agricole della biodinamica.
Le medesime aspirazioni spiegano anche perché - come altri vignaioli già incontrati - abbia abbandonato la DOC "Trentino" a favore dell'IGT "Vigneti delle Dolomiti". Si tratta di una scelta "politica", mossa sia dal dissenso verso il "lassismo" del disciplinare DOC (che risponde più ad esigenze di quantità che di qualità), sia dal disappunto per una politica provinciale troppo spesso rivolta solo all'ascolto delle grosse Cooperative.
Nella soffitta-fruttaio

Nella soffitta- fruttaio (l'espressione di Giuseppe non è rancore ma mimica casuale!... Speriamo lui non ce ne voglia...)
Tornando all'azienda, la famiglia Pedrotti è proprietaria di otto piccole vigne (per 5 ha totali) tutte situate nei dintorni di Pietramurata, attorno alla cantina oppure affacciate sul lago di Cavedine.
I vigneti sono condotti senza trattamenti chimici (solo rame e zolfo) e la concimazione è favorita dal letame naturale, dai preparati biodinamici e dalle pratiche di sovescio. L'allevamento avviene sia a pergola (per i vecchi impianti) sia a guyot (per quelli recenti).
Per la vinificazione, le uve vengono spesso e volentieri vendemmiate tardivamente (per lo meno la nosiola, la schiava ed il cabernet franc) e si procede a macerazioni sulle bucce anche per le uve bianche (allo scopo di limitare al massimo l'uso dei solfiti).
Le fermentazioni sono tutte spontanee attraverso i lieviti indigeni.


L'altra sera abbiamo aperto il loro Vigneti delle Dolomiti IGT L'Auro 2010, uvaggio di cabernet franc e merlot (quest'ultimo minoritario, giusto per smussare), vinificato e maturato per due anni in legno.
Nel bicchiere ha un colore purpureo-granato, luminoso e di discreta intensità.
I profumi rimandano soprattutto alla frutta matura (ciliegie e prugne), assieme però a sentori aromatici (rosa canina) e di tè, in un sottofondo di note speziate e minerali.
In bocca è di medio corpo, morbido ma con una piacevole acidità ed un tannino abbastanza levigato, ed un finale lievemente amaro.
In definitiva, si tratta di un vino semplice ma caratterizzato, godibile e di buona beva.


Ci accompagnamo due formaggi, ultima parte del malloppo raggranellato all'Eataly Lingotto di Torino.
Si comincia con un Petit Pont L'Évêque AOP "Marie Harel" della fromagerie Gillot (di Saint Hilaire de Briouze) è un formaggio della Normandia, a pasta molle e crosta lavata, e senz'altro grasso (almeno il 45% per disciplinare).
Questo cacio fa la sua apparizione nella storia sin dal XII sec., quale creazione dei monaci cistercensi stanziati a Cael, ed è oggi prodotto nelle regioni della Bassa e dell'Alta Normandia e nel dipartimento di Mayenne: tutte zone molto fertili connotate da un clima mite ed umido e da suoli argillosi.
Il formaggio si ottiene da latte vaccino crudo (ma il disciplinare ammetterebbe anche la pastorizzazione), fatto acidificare e poi coagulare con caglio di vitello; la cagliata - mi sembra di capire - viene sottoposta a stufatura al caldo per alcuni giorni, prima della salatura.
Stagiona per almeno 15 giorni a temperature di 11-14°C, le quali, assieme ai lavaggi, consentono lo sviluppo dei caratteristici batteri del rosso (Brevibacterium linens).


Il nostro pezzo si presenta in forma parallelepipeda-quadrata, dentro ad una crosta bianca da cui affiorano macchie ramate, ammuffita, ruvida e secca.
La pasta è invece paglierina con occhiature irregolari piccole e medie; la struttura al tatto è liscia, tenera ed abbastanza elastica.
Gli odori sono mediamente intensi e fini, di latte cotto, nocciola, fieno e zolfo (ricorda un po' la pipì stantia), con note un po' cremose ed un po' animali (di pelle e cuoio).
In bocca è in equilibrio tra dolcezza (media) e sapidità, con prevalenza di quest'ultima (medio-elevata). E' deformabile, tenero, untuoso e leggermente adesivo, di bassa solubilità.
Buona peraltro la persistenza.
Si abbina piuttosto bene con il L'Auro, abbastanza morbido da compensare la sapidità del cacio, ma tannico e caldo quanto basta per ripulire la bocca.

Il secondo cacio è Castelmagno d'alpeggio DOP dell'azienda La Meiro - Terre di Castelmagno (con sede per l'appunto a Castelmagno).
Anche questo formaggio ha un'antichissima tradizione produttiva, che in questo caso risale almeno al XIII secolo, e si produce solo nel Comune omonimo ed in quelli contigui di Pradleves e Monterosso Grana (tutti in provincia di Cuneo).
Il latte è interamente vaccino (ma il disciplinare ammetterebbe anche aggiunte ovicaprine) e - data la menzione "d'alpeggio" - è stato munto e lavorato presso le malghe locali durante i mesi estivi.
In particolare, il latte viene lavorato a crudo, dopo una parziale scrematura per affioramento, e coagula a 30-38°C grazie al caglio liquido di vitello, per un periodo che può variare dai 30 ai 90 minuti.
La cagliata viene rotta a "chicco di mais", poi estratta, pressata e sgrondata per almeno 18 ore.
Viene quindi fatta acidificare mediante maturazione di 2-4 giorni nel siero delle precedenti lavorazioni, per essere poi "frugata", cioè rotta finemente e rimescolata, con contestuale salatura della pasta.
E' quindi immessa nelle fascelle di legno dove viene pressata per un giorno.
Il nostro pezzo è maturato in grotte di tufo fredde (10°C) ed umide (90%) per almeno sei mesi (essendo "d'alpeggio").
Poi, a dire il vero, ha trascorso una brutta settimana in frigo in attesa di questa cena... E pare che ciò abbia influito parecchio, ahinoi... (almeno, a confrontarlo con gli altri Castelmagno assaggiati in passato).


Ha una crosta ocra con muffe bianche, dura, secca e ruvida.
La pasta è color avorio, ma con un sottocrosta ocra molto spesso e pronunciato; è secca, semidura e friabile.
Ci sentiamo profumi di latte cotto e fieno, con accenni fermentati, e note di animale (stalla) che si fanno via via più pronunciate avvinandosi alla crosta. Un po' monocorde rispetto a quanto ci attendessimo.
In bocca ha una leggera dolcezza iniziale, seguita dall'acidità di poco più intensa (medio-leggera) e da una netta sapidità (medio-elevata), per concludersi con un sapore amaro-erbaceo di media intensità (la cui presenza è normale ma forse in questo caso un po' eccessiva).
Il tutto accompagnato da una leggera sensazione piccante. La struttura è friabile e leggermente solubile.
Alla fine, delude un po' le nostre aspettative, e non lega neppure bene con L'Auro pedrottiano, data la sua amarezza che viene accentuata fin troppo dai tannini del vino, i quali lasciano la bocca sgradevolmente disisdratata.

lunedì 5 maggio 2014

Nonostante tutto Eatalieggiamo con Robiola ed Époisses.

Ad Eataly quel che di Eataly: alla fin fine, è grazie alla sua apertura domenicale che siamo riusciti ad acquistare - prima di prendere il treno da Torino - due ottimi formaggetti, che impesteranno per ore ed ore intere carrozze di Trenitalia per poi giungere ignari sulla nostra tavola.

Il primo è la Robiola di Roccaverano DOP prodotta dall'azienda agricola Agrilanga di Vesimo (nella Langa astigiana) e distribuito dal Caseificio dell'Alta Langa s.r.l.
E' ottenuto da solo latte di capra (in ossequio al metodo tradizionale), lavorato crudo ed intero. In particolare, il latte della munta serale viene addizionato con siero innesto aziendale e lasciato acidificare a 12-20°C per tutta la notte; al mattino viene unito al nuovo latte ed al caglio vaccino, per una lunga coagulazione acido-presamica a 18-22°C per circa 16-20 ore. La cagliata è quindi riposta negli stampi e lasciata a sgrondare per 24 ore, per poi essere salata (a secco) e trasferita, infine, nel locale di asciugatura con 15-18°C per un tempo minimo di 4 giorni.
Il nostro pezzo è fresco, con soli 6 giorni di vita.
Ha forma cilindrica irregolare di piccole dimensioni (il diametro sarà al massimo di 15 cm e l'altezza di 3 cm); forse a causa delle temperature con cui l'abiamo portata fino a casa, si presenta con una buccia paglierina, rugosa e molto umida, che si riesce ad asportare come una pellicola.
La pasta è invece del classico color avorio, anch'essa umida e morbida, con un'occhiatura rada e minuta.
Gli odori sono di intensità medio-leggera e rimandano per lo più al latte acido, al latte di capra ed alle mandorle. In bocca è delicata e di grande equilibrio tra le sensazioni dolci, acide e sapide, tutte di intensità media/medio-leggera, con una lievissima amarezza finale fruttata.
La consistenza al palato è morbida, umida e discretamente solubile.


Non riesce bene, però, il tentativo di abbinamento con la Bluebird bitter della Coniston Brewing Company (birrificio con sede in Coniston, nella contea di Cumbria).
Si tratta di una classica bitter inglese, rifermentata in bottiglia, con 3,6% ABV, ottenuta con malti Maris Otter e (poco) Crystal e con luppoli Challenger.
Di colore dorato, ha profumi essenziali e puliti di malto tostato, luppolo fresco e fiori d'arancio.
In bocca è snella e fresca, con bassa effervescenza, acidità medio-leggera e finale che vira sull'amaro (medio), sensazioni però equilibrate dalla lieve dolcezza maltata. 
La birra di suo sarebbe davvero gustosa e beverina ma - con il nostro cacio - ne risulta una certa disarmonia negli aromi ed un eccessivo amaro al palato. 


Viene poi il turno dell'Époisses AOC a marchio Fromi (in pratica prodotto localmente in Borgogna e poi venduto al gruppo Fromi, credo).
Sulle peculiarità produttive del formaggio, possiamo rimandare a quanto già scritto qui (lo avevamo infatti assaggiato poco tempo fa al Käsefestival, grazie ad Armando Gambera).
Il nostro pezzo ha una crosta rugosa tra il marrone ed il ramato, mentre la pasta è color paglierino carico, tenera e, col passare del tempo, sempre più colante.
Ha una notevole ricchezza olfattiva, dietro all'iniziale brusco impatto ammoniacale e animale (di stalla); affiorano infatti pian piano variegate note di latte cotto, di budino, di crema, di frutta secca tostata (nocciole, noci), di castagne arrostite e di verdura lessa, che compongono un insieme in continua evoluzione.
Il suo meglio lo dà però al palato, se si ha l'accortezza di mangiarlo prima che la temperatura lo sciolga oltre misura. Inizialmente prevale la dolcezza (media), accentuata peraltro dalla consistenza cremosa; questa è poi accostata e superata da una medio-elevata sapidità, la quale si sviluppa, assieme ad una leggera amarezza, in un lunghissimo finale. La sua struttura è cremosa, leggermente adesiva ed untuosa ma di ottima solubilità.
Non c'è che dire, masticarlo è un puro godimento dei sensi.


A ruota, si fa bere benissimo la Nut Brown Ale della Samuel Smith's (con sede a Tadcaster, nel North Yorkshire), birra scura dell'Inghilterra del Nord, ottenuta con l'aggiunta di zucchero di canna ed orzo tostato.
Ha infatti un colore tra l'ambrato scuro e la tonaca di frate, mentre la schiuma è piuttosto scarsa ed evanescente.
Profuma di noci, nocciole e mandorle tostate, di malto caramellato, con note di uva passa, legno tostato. Note erbacee non pervenute, forse a causa del suo lungo riposo in bottiglia (è da poco scaduto il termine minimo di conservazione).
Il corpo è medio, con una delicata effervescenza; si apre in un sapore dolce accompagnato da media acidità e poi superato da una grande sapidità rinfrescante, chiude infine con un leggero amaro da frutta secca e tostata.
Ci piace un sacco ed accompagna benone il nostro formaggio, aiutando peraltro la pulizia della bocca.