lunedì 31 marzo 2014

Artigianato vinicolo trentino: Marzemino Poiema.


Al di là della qualità e della personalità dei loro vini, i cosiddetti "vignaioli" meritano di essere visitati anche soltanto per il piacere di essere loro ospiti. Da loro infatti - di solito - non acquistiamo semplicemente il prodotto asettico "visita/degustazione guidata", ma è sempre un po' come se ci aprissero le porte della loro casa.
Alla fin fine, noi ci limitiamo a porre domande sui loro vini e sulla loro azienda. Le loro risposte, però, ci rivelano sempre un frammento del loro vissuto e della loro visione del mondo (vinicolo), ed è di questo probabilmente, di storie ed idee autentiche, che andiamo alla ricerca.
E poi - altra cosa che ci piace - nel loro atteggiamento troviamo molto spesso quell'ospitalità che potremmo aspettarci dall'affezionato vicino di casa.
Quanto sopra rappresenta bene quello che abbiamo provato nella nostra breve visita ad Eugenio Rosi e, soprattutto, a sua moglie Tamara.


Nella loro cantina - non so se sia sempre così o se dipenda dalla particolare serata (si festeggia una vittoria di pallavolo giovanile) - c'è un ambiente intimo, accogliente, aperto; alcune persone sono già lì, altri conoscenti ed amici arrivano dopo, un po' come se passando da quelle e si fermassero per un po' a bere un bicchiere o a fare due chiacchiere con i padroni di casa.
Ma non è tutto, perché là incontriamo anche degli ottimi (ed abbondanti!) calici di vino. Dei quali parleremo man mano che le bottiglie verranno stappate in casa...

Ed ecco che, già dopo qualche giorno, approfittando della disponibilità di un po' di carnazza grassa, apriamo il loro VdD IGT Marzemino "Poiema" del 2010.
L'uva proviene dalla località dei Ziresi (tra Volano e Calliano, caratterizzata - come ci spiega l'anfitriona Tamara - da un terreno argilloso di origine alluvionale a 200 m s.l.m. (ci passava l'Adige).
La peculiarità del loro vino è che il 30% delle uve viene vendemmiato prima, per essere lasciato ad appassire nella soffitta dell'antico edificio che ospita la cantina. Lì rimane per 30-40 giorni, all'interno di ceste impilate una sull'altra, con le finestre aperte affinché sia garantita una buona areazione.
La restante parte dell'uva completa la maturazione in vigna, poi viene vinificata con i suoi lieviti "indigeni" e, infine, è fatta rifermentare con le uve appassite di cui si diceva prima.
Il vino matura per un anno in botti da 500-700 litri, che per un terzo sono di rovere, per un terzo di castagno e per un terzo di ciliegio: quest'ultimo - racconta Eugenio - è usato sia perché ceda le sue note di ciliegia, che ben si mescolano ai profumi fermentativi del marzemino, sia per via della sua maggiore porosità, che aiuta a contrastare la riduzione tipica del marzemino.
Prima della commercializzazione, però, passerà un ulteriore anno ad affinare in bottiglia.


Versato finalmente nel bicchiere, mostra un colore purpureo intenso ma luminoso.
Ha profumi di ciliegie e piccoli frutti (che ci sembrano lamponi), di spezie (vaniglia e un po' chiodi di garofano), ma anche note floreali di viola e - secondo lei - geranio e sentori come affumicati e di cuoio.
In bocca è piacevolissimo, di corpo medio ma più polposo e concentrato dei tipici marzemini, e comunque ben fresco e sapido, con una certa tannicità, per niente aggressiva, ed una buona persistenza finale. Da bere e ribere.
Non vediamo l'ora di provare gli altri...

martedì 25 marzo 2014

Qualche assaggio alla Mostra Vini Bolzano.

Per una volta - una! - che mi concedo il lusso di non controllare l'orario di apertura... quasi finisce che ci facciamo scappare la Mostra dei Vini di Bolzano!
Per fortuna arriviamo in tempo... ma soltanto un'ora prima che chiudano la sala di degustazione! E così, malgrado un'offerta di assaggi veramente ragguardevole (ben 350 vini), dobbiamo moderare i nostri propositi sbevazzatori... ad una ventina di bicchieri.


Non abbiamo nemmeno il tempo per gironzolare un po' tra le sale del castello - sì, perché quest'anno la Mostra si è trasferita nel suggestivo ed elegante Castel Mareccio, situato al limite del centro storico - e ci limitiamo a stanziarci nel cortile coperto per ordinare da bere.
Sono infatti cambiate anche le modalità di assaggio: niente più "self-service" tra le bottiglie in bella mostra (come l'anno passato); stavolta ci si accomoda ad un tavolo e le bottiglie vengono da sé, in cesti di vimini portati dai camerieri; dopo il servizio, se ne torneranno all'interno dei loro frigoriferi su un lato del cortile. Senz'altro più comodo e rilassante, soprattutto per chi - come noi - deve armeggiare con apparecchi fotografici e blocchi di appunti!



Venendo ai vini, ecco una breve carrellata dei nostri preferiti.

A.A. DOC Pinot Bianco "Haberle" 2012 Alois Lageder (Magrè), da uve conferite da terzi e provenienti da Maso Haberle (a Pochi); ha un colore paglierino-verdolino e si distingue, rispetto agli altri Pinot bianchi provati, per un profumo (fruttato) meno intenso ma di maggior finezza; in bocca è morbido, equilibrato da acidità e sapidità medie e con finale lievemente amaro.

A.A. DOC Pinot Bianco "Sirmian" 2012 della cantina Nals Margreid (Nalles) è apprezzato in particolare da Quellalì; rimanda alla mela ed agli agrumi, è più morbido ma al contempo ha buona acidità e sapidità, seguite da una leggera amarezza.

A.A. DOC Terlano Pinot Bianco Ris. "Vorberg" 2011 della Cantina Terlan (Terlano) è il mio preferito; al naso è complesso, dalle nette note minerali e di grafite-matita, unite a sentori di fiori e frutta (limone, frutta estiva matura e frutta secca: i quali in realtà come odori rimangono sullo sfondo ma è in bocca che risaltano e si definiscono); di corpo medio, discretamente morbido, con lieve acidità accompagnata da sapidità media ed un finale leggermente amarognolo.

A.A. DOC Chardonnay "Formigar" 2012 della coop. Produttori Colterenzio (Cornaiano) sa di fiori, di erbe aromatiche e burro, di frutta estiva; in bocca ci sembra morbido, caldo ed abbastanza armonico.

A.A. DOC Terlano Sauvignon "Quarz" 2012 Cantina Terlano ha profumi di agrumi e frutta esotica, con note di erbe aromatiche; al palato è pieno, caldo e morbido ma anche più fresco ed acido rispetto agli altri provati.

A.A. DOC Gewürztraminer Sanct Valentin 2012 della Cantina San Michele Appiano (Appiano sulla Strada del Vino) ha i tipici allettanti sentori di rose e spezie ben nitidi; in bocca è denso, gradevolmente sapido, un po' bruciante, con un finale appena amarognolo; ci piace per armonia e persistenza.

A.A. DOC Müller Thurgau "Feldmarschall von Fenner" 2012 di Tiefenbrunner (Cortaccia) ci colpisce per l'originalità dei profumi, che combinano le note speziate (noce moscata) ed vegetali-floreali a sentori di frutta estiva; è intenso ma anche piacevolmente acido.

Conclusi gli assaggi - senza ingollare, giuro! - ed i relativi appunti, ce ne andiamo appena prima che ci sbattano fuori (in realtà i camerieri sono cortesissimi e non ci fanno minimamente pesare i nostri temporeggiamenti)...
Usciamo però con sentimenti ambivalenti: tra la soddisfazione per le interessanti bevute in un ambiente elegante e tranquillo, ed il rammarico la sosta troppo, troppo breve. Tanto più che la Mostra Vini Bolzano avrebbe avuto tanto da offrirci... e chissà come sarà quest'anno lo "Swinging bubbles" della domenica mattina! Sarà possibile far meglio della stupenda atmosfera del 2013, nel parco dell'Hotel Laurin?

giovedì 20 marzo 2014

Dall'Emmental alla Valle Aurina.

Stasera assaggiamo due dei formaggi recuperati al Käsefestival, un altoatesino della Valle Aurina ed uno svizzero dell'Emmental (e infatti le foto le recuperiamo da lì, ché son più belle).

Si comincia con l'Emmentaler alt DOP della Jumi (abbreviazione di Jürg Wyss e Mike Glauser), giovane azienda di Gysenstein, nei pressi di Berna, che - mi par di capire - distribuisce il formaggio di alcuni piccoli caseifici "artigianali" svizzeri, garantendo il rispetto di elevati standard di qualità.
Il formaggio dovrebbe essere stato prodotto nel caseificio di Oberhünighen gestito dal padre di Mike Glauser. E' utilizzato latte crudo ed intero, addizionato con innesti e coagulato con caglio a circa 32°C; la cagliata è poi rotta a chicco di mais e quindi riscaldata a 53°C in continua agitazione. Dopo due ore di maturazione, viene messa in forma e pressata e, successivamente, immersa in salamoia. Le forme pesano sui 110 kg (!) e stagionano in camere di fermentazione umide a 20-22°C per mesi e mesi.


Ha una crosta marrone scuro spessa, dura e rigida, con un sottoscrosta sottilissimo per la sua stagionatura! La pasta è liscia, compatta, semidura, leggermente deformabile, di un colore paglierino di media intensità e piccole macchie chiare e con grandi occhiature, in parte (tipicamente) rotonde e lucide e, in parte, irregolari. Al tatto la pasta è liscia, compatta, semidura e piuttosto deformabile. I profumi sono di media intensità e rimandano soprattutto alla frutta secca tostata, ma pure al burro cotto, al fieno, agli asparagi lessi ed al glutammato. In bocca mostra una dolcezza medio-elevata, che bilancia la sapidità media che subito subentra, assieme ad una lieve piccantezza poi accompagnata da un leggero amaro.
Gli aromi rimandano al vegetale secco, al vegetale fermentato alle mandorle tostate e - finalmente si avverte - al propionico.
Quanto alla struttura, è semiduro, solubile e deformabile e qua e là lascia percepire cristalli di tirosina.
Secondo noi ha alle spalle almeno un bell'anno di vita. E lo porta divinamente.


Si passa poi al Neveser Almkäse, proviene dalla Malga di Neves (a Lappago, in fondo alla valle di Selva dei Molini).
È ottenuto da latte crudo misto, per 2/3 vaccino e per 1/3 caprino, addizionato con innesti selezionati mesofili e termofili. La coagulazione è presamica e la pasta è semicotta a 43°C.
Durante la stagionatoria, viene affinato avvolgendolo nella spessa corteccia di Cirmolo, il che lo fa sembrare venuto fuori da qualche casa di folletti.

Neveser almkäse: in primo piano con la corteccia, sullo sfondo senza.
La crosta - privata della corteccia - si presenta color ocra-rossastro, cosparsa di macchie di muffa bianche e marroni scure; è umida, deformabile e sembra quasi (o lo è?) una crosta lavata.
La pasta invece ha colore paglierino scarico, di struttura compatta, tenera ed elastica e sostanzialmente priva di occhiatura (tranne alcuni rari alveoli nei dintorni della faccia superiore).
I profumi sono di intensità medio-bassa ma molto particolari: al latte cotto si uniscono infatti sia odori animali (di stalla), sia odori di corteccia aromatica e di erbe di bosco; in secondo piano, poi, sentori di cereali e di verdura lessa.
Quanto sopra trova conferma in bocca, dove aumenta perà l'intensità aromatica e spiccano il legno, gli aromi (di timo) e l'animale vicino alla crosta.
I sapori sono piuttosto delicati, con una dolcezza media, seguita da una lieve acidità e da una sapidità medio-leggera. È peraltro tenero, deformabile, granuloso ma soprattutto incredibilmente solubile, forse anche troppo perché il pezzo ci sparisce dal palato quasi subito... La persistenza però non è male!

L'abbinamento è con una 5 a.m. Saint della scozzese Brewdog, Ale ambrata di stile (luppolato) americaneggiante. Dati "tecnici": 5% A.B.V., O.G. 1048, IBU 25.
Il colore è tra il rubino e l'ambrato, velato ma al contempo luminoso. Ha una bella schiuma fine color paglierino, di media persistenza.
Profuma di caramello, di resina e di miele, con note tostate e di agrumi.
Al palato è dolce, di acidità medio-leggera e discreta sapidità, con finale amaro di intensità media ma lunghissima persistenza.
La frizzantezza non è particolarmente intensa ed il corpo è medio-leggero, di grande beverinità.

Ci piace! E si accompagna abbastanza bene, anche per una certa assonanza aromatica, all'Emmentaler. Troppo intensa invece per il Malga Neves.

martedì 18 marzo 2014

Käsefestival - seconda parte.

Il Käsefestival non è stato solo formaggi francesi, ovviamente.

Anzi, restando in tema di laboratori Slow Food, io e la Peanuts abbiamo preferito quello dedicato ai formaggi di montagna (Bergkäse) della Germania, peraltro abbinati ad alcuni ottimi Riesling tedeschi.
La conduzione, stavolta, è toccata ad Ursula Heinzelmann, affascinante scrittrice e giornalista tedesca... con un gran gusto per vino e formaggio (considerando quello che ci ha fatto assaggiare)!
Peccato solo per la troppa carne al fuoco: per provare 5 pezzi di cacio e 4 bicchieri di vino il tempo a disposizione era davvero poco! Così, è finita che non siamo riusciti né a seguire i ritmi serrati della degustazione guidata, né a prendere appunti sui formaggi... (anche perché mi ero soffermato un po' di più sugli appunti dei Riesling... che però poi ho perso miseramente da qualche parte, argh!)
La rassegna, pertanto, non potrà che essere schematica.


Il primo Bergkäse - proposto in tre stagionature diverse - la Heinzelmann lo ha reperito da Thomas Breckle, affinatore titolare della rivendita "Jamei Laibspeis" a Kempten (in Algovia) e che gestisce anche vari stand in giro per i mercati locali, uno dei quali è quello di Amburgo (dalla parte opposta della Germania!): il Jamei Bergkäse.
Di questo cacio si sa, quindi - stando ai criteri di selezione di Breckle -, che dev'essere stato prodotto da latte crudo, munto da vacche "cornute" ed alimentate senza insilati.
Quanto alle tecniche di produzione, sappiamo soltanto che la cagliata è stata sottoposta a cottura a 50°C.

Il pezzo più giovane ha 8 mesi di stagionatura (luglio 2013).
Il colore è paglierino carico e la struttura è liscia, elastica e semidura. Gli odori rimandano soprattutto al burro cotto, al fieno ed alle note sulfuree di vegetale lesso. Il sapore è prevalentemente dolce, con leggera acidità e sapidità media. In bocca - è un carattere comune a tutti questi formaggi - è amabilmente solubile.

La seconda versione ha 16 mesi di stagionatura (novembre 2012). Il colore è paglierino ma più scarico del precedente. Al naso rimanda alla frutta secca, al vegetale secco e di nuovo alla verdura lessa. Ha dolcezza media, leggera acidità, sapidità media e finale leggermente amaro, di nocciola e fieno. E' deformabile, un po' adesivo e discretamente solubile.

L'ultima forma di Breckle ha ben 28 mesi di stagionatura, e non li dimostra affatto! La struttura è semidura, rigida e deformabile. Gli odori rimandano all'amaretto, allo zolfo, al vegetale  secco, con note di legno, di muffa e di frutta matura. La dolcezza media è seguita da una lieve acidità e, soprattutto, dalla sapidità medio-elevata. In bocca finalmente si avverte un po' di tirosina, oltre alla caratteristica solubilità. Di media persistenza.

Gli ultimi due formaggi li assaggiamo un po' troppo di fretta. Peccato perché - a quanto mi ricordo - meritavano parecchio, ed erano pure d'alpeggio (Alpkäse).
Il quarto cacio, comunque, è un Alpkäse dell'Alpe Hauchenberg. Al naso richiama la frutta secca, l'animale (stalla) ed il latte cotto. In bocca è elastico e con diversi cristalli, ma sempre solubile.

L'ultimo è un Alpkäse del Matt. Nessun appunto pervenuto...


In abbinamento quattro riesling trocken.
Rheingau Roter Riesling trocken 2012 Weingut Corvers-Kauter (Rüdesheim, nel Rheingau). La varietà d'uva riesling rosso è di antica coltivazione nel Rheingau ma è stata recuperata dal dimenticatoio solo di recente, anche grazie al sostegno di Slow Food Rheingau. Dà un vino più pieno ed energico (ma un po' meno elegante) del Riesling tradizionale, con profumi che dovrebbero tendere all'erbaceo ed alla frutta matura.
Riesling Spätlese trocken alte reben "Old School" 2012 di Anthony Robert Hammond (Oestrich-Winkel, sempre nel Rheingau), è il nostro preferito. Da viti di 35 anni di età del vigneto "Berg Roseneck" di Rüdesheim, fermenta con soli lieviti indigeni. Me lo ricorso fresco ed armonico, di gran personalità. Peccato aver perso gli appunti...
Riesling trocken Römerberg 2012 (VDP.Lagenwein) della Weingut Sinß (a Windesheim, nella Nahe).
Idrocarburico, minerale, ricco è infine il Riesling Turm 2009 della Weingut Riffel (a Bingen, nella Rheinhessen).

Buona parte del tempo la passiamo comunque a gironzolare tra gli stand, ma l'abbondanza di formaggi e salumi (e quindi il susseguirsi di sensazioni olfattive e gustative) rende difficile concentrarsi a dovere, tanta è la curiosità di assaggiare ogni prodotto ed ascoltare il rispettivo produttore... anche perché la qualità media è molto elevata!


Ci ripromettiamo di riprovare senz'altro - tra i tanti altri - l'Hartkäse d'alpeggio del Maso Oberkaser - Famiglia Pixner (nei dintorni di Laces in Val Venosta). È ottenuto da latte di razza grigio alpina e protetto come Presidio Slow Food.


Tra i vari Presidi Slow Food - ferma restando la nostra indiscussa predilezione per il Bitto storico - siamo  rimasti colpiti in particolare dal Formadi frant della Carnia.
Come spiegatoci dal nostro anfitrione Giuseppe "Beppo" Rugo (produttore in proprio e con la Cooperativa Carniagricola, di Enemonzo UD), si tratta di uno di quei prodotti nati dall'ingegno e dal bisogno, per recuperare quelle forme di cacio d'alpeggio che non erano vendibili come tali a causa di qualche loro difetto. I formaggi di diverse stagionature (ma tutti a latte crudo) vengono infatti sminuzzati ed amalgamati con il latte, poi impastati a mano assieme a della panna di affioramento, fino a ricavarne un impasto omogeneo. Quest'ultimo viene messo in fascera e stagionato per 40 giorni o più su assi di legno.
Quale risultato, ci attendevamo qualcosa di simile al "formai miz" trentino (struttura secca e friabile ed aromi intensi e pungenti legati al pepe ed all'alcol).
Il formadi frant è invece l'esatto opposto: odori ben più fini (di lattico cotto, vegetale secco, frutta appassita e profumato legno tostato), sapori tutto sommato equilibrati tra dolcezza e sapidità, struttura morbida e solubile. Beppo Rugo lo propone in sfiziose combinazioni: con pinoli, con noci, con uvetta, con semi di finocchio... una meglio dell'altra!


Merita infine una menzione - essendo il nostro preferito nell'ambito del concorso tra i piccoli produttori altoatesini - lo Schnittkäse del caseificio Ebenhof (nel paese di Collepietra/Steinegg) da latte vaccino intero e crudo, semiduro, stagionato per 3 mesi (dicembre 2013).

venerdì 14 marzo 2014

Käsefestival in Valle Aurina!

Non c'è che dire, il Käsefestival di Campo Tures ce lo siamo goduti! E' stata la manifestazione formaggesca più vissuta, coinvolgente ed esaltante cui siamo mai stati!
Complice innanzitutto la locazione: perché la verde spianata di Campo Tures, incastonata tra i monti, è davvero suggestiva se non, addirittura, spettacolare.
Un ruolo fondamentale, poi, hanno avuto i produttori (la gran parte di loro, almeno): dietro ad ogni stand, infatti, c'erano persone vivamente entusiaste ed appassionate, interessate non soltanto a vendere ma, ancor prima, a prendere per mano ogni singolo "passante" per raccontargli la bellezza del proprio lavoro... (ed è appunto questa passione comune - come considerava la nostra albergatrice - a far percepire dall'esterno questo coacervo di produttori come una grande famiglia).
Ma decisiva - sempre a proposito della nostra esperienza così coinvolgente - è stata la "vivibilità" dell'ambiente, grazie ad una presenza di pubblico consistente, sì, ma proporzionata agli spazi, senza quelle resse e calche che al "Cheese" di Bra - per dire - avevano impedito qualunque dialogo con i produttori: altro che le relazioni "empatiche" che abbiamo allacciato qua a Campo Tures!
In definitiva, ci porteremo a casa non solo nomi e (vaghi ricordi di) sapori ma pure - e soprattutto - un sacco di volti, di immagini e di aneddoti che stanno dietro ai prodotti.


L'asse portante di questo blog, comunque, è la pedanteria, e quindi procediamo ad appuntare i (pochi) assaggi che siamo riusciti a riportare su carta... e cioè quelli dei laboratori di Slow Food.

Il primo è stato quello condotto da Armando "Connery" Gambèra, dedicato ai formaggi francesi a pasta molle.
Si comincia con una Brique de brebis (cioè "mattone di pecora") del caseificio Le Fédou - La Fromagerie de Hyelzas (sull'altopiano del Causse Mejean, nella Languedoc). E' un formaggio a pasta molle, cruda, e crosta fiorita, stagionato per due-tre settimane.
Ottenuto da latte ovino crudo, con coagulazione lattico-presamica, senza alcuna rottura della cagliata coagulata che viene presa così com'è e messa nei piccoli stampi, senza neppure pressature.
Assume una forma parallelepipeda a base rettangolare, con peso di circa 150g. La crosta è bianca, secca e ricoperta di penicillium camemberti, mentre la pasta è color paglierino scarico, morbida, liscia e deformabile.
Ha odori di latte bollito, di burro cotto, di muffa e di nocciola.
In bocca ha una preminente dolcezza (medio-elevata) in parte equilibrata dall'acidità medio-bassa e dalla sapidità media ma, poi, accentuata dalla struttura cremosa e solubile (oltre che adesiva).


Si prosegue a Nord con un Brie de Meaux AOC, formaggio grasso, a pasta molle e cruda, con crosta fiorita.
Non sappiamo nulla del produttore ma, ad ogni modo, la zona di provenienza è quella della regione storica del Brie, che insiste sul dipartimento della Seine ed Marne (nella regione dell'Ile-de-France) e ad est su parte di Yonne, Marne, Aube, Meuse e Haute Marne (nella Champagne).
Ottenuto da latte vaccino crudo ed intero, si caratterizza per l'impiego della "pala da brie" del diametro di 20 cm con la quale la cagliata è raccolta dalla caldaia e messa negli stampi, strato dopo strato; dopo 18 ore di sgrondo del siero, viene salata a secco e messa a stagionare per almeno 1 mese.
La nostra forma, di circa 2 mesi di stagionatura, ha il tipico aspetto cilindrico schiacciato con diametro di circa 36 cm.
La crosta è secca e rugosa, ricoperta dal penicillium candidum. La pasta invece ha colore paglierino scarico, è liscia e, mentre nella parte centrale è più compatta con una occhiatura piccola ed irregolare, lungo le fasce laterali è cremosa e proteolizzata.
Profuma di latte cotto e di vegetale lesso, con sentori di muffa e funghi; in bocca si aggiungono note di brodo di carne.
Il sapore è inizialmente dolce (medio-elevato), poi intervengono un'acidità medio-bassa e soprattutto un'elevata sapidità; la consistenza è fondente e solubile.

Segue l'Époisses AOC, famoso formaggio della Borgogna a latte vaccino (pastorizzato); ha pasta molle, è grasso (più del 50% sulla s.s.), è ricavato da coagulazione lattico-presamica e presenta la crosta lavata; il peso è circa 1 kg.
Una sua peculiarità sta nell'affinamento su paglia, durante il quale, per i primi giorni, viene lavato con acqua, finché la crosta diventa rossastra, poi i lavaggi proseguono con "Marc de Bourgogne" (acquavite di vinacce!) per almeno quattro settimane, durante le quali la crosta assume il colore ramato.
La nostra forma è cilindrica, ma ormai, a causa del caldo, quasi completamente sciolta.
La crosta ramata è rugosa, umida e morbida. La pasta ha un colore paglierino scarico.
L'impatto olfattivo è di media intensità, caratterizzato da odori animali (pelle) e di carciofo lesso, con sentori di nocciola tostata, arricchiti in bocca dall'ammoniaca e dal burro di cacao.
Sul palato ha una certa adesività, contrastata subito dall'umidità e dalla notevolissima solubilità. Il sapore è intenso ma abbastanza bilanciato tra dolcezza e sapidità (entrambe medio-elevate) mentre la leggera acidità resta sullo sfondo.


Si torna a sud con il Bleu de brebis "Aigle Noir", cacio a latte di pecora pastorizzato, a pasta cruda, grasso (50% su s.s.) ed erborinato. È commercializzato dall'Union des Coopératives Fromagères du Cantal (U.C.F.C.) che riunisce circa 720 produttori della regione dell'Auvergne.
La forma è cilindrica, del peso di circa 2,5 kg, ed ha 2 mesi di stagionatura.
Essendo ricoperto da una pellicola di stagnola, manca una vera e propria crosta.
La pasta ha color avorio, è molle e deformabile e cosparsa di muffe grigio-verdi.
Avvicinando il naso, si avvertono odori di muffa, di animale, di uvetta e leggere note ammoniacali.
Per quanto le sensazioni di grassezza e solubilità accentuino la dolcezza media, prevalgono le durezze date dall'elevata sapidità, dalla pungenza e dalla tenue piccantezza.

Continua...

lunedì 10 marzo 2014

Malgare (anzi, casare) DOP.

A Palazzo Roccabruna si sono tenuti due interessanti laboratori di degustazione sui prodotti di malga trentini. Fin qui niente di strano, per chi conosce la fervida attività promozionale dell'Enoteca Provinciale del Trentino (e di Accademia d'Impresa). 
Stavolta, però, è stata fatta una scelta di campo particolare, invitando dei produttori "atipici" rispetto all'immaginario del malgaro uomo-schivo-selvatico: sono infatti intervenute tre donne giovani, appassionate per la vita in malga e pure molto affabili, tutte peraltro molto brave nel descrivere in modo vivo ed efficace il loro lavoro in malga ed i loro prodotti.

Qui un brevissimo (?) resoconto.
Si comincia con Luisa Stroppa, che gestisce la Malga Valfontane nel Comune di Castello Tesino, lungo la strada diretta al Passo Brocon.
Lì pascola circa 50 vacche di razza bruna, frisona e pezzata rossa, condotte in alpeggio da metà giugno a metà settembre. La sua famiglia, per la cronaca, conduce anche la Malga Cagnon di Sotto in Val Calamento (che avevamo incrociato proprio l'estate scorsa, in direzione Cagnon di Sopra, senza però riuscire a recuperarne il formaggio... anzi, da quella gita eravamo tornati con le sacche completamente vuote...).
Compie due mungiture al giorno (la mattina presto ed il primo pomeriggio) e - per ottenere il suo Nostrano di malga - lavora latte per metà intero (quello della mattina) e per metà scremato per affioramento (quello del pomeriggio).
Il latte - addizionato con fermenti - viene posto in caldaie di rame e riscaldato a fuoco vivo (fuoco posto però sotto il pavimento, per impedire al fumo di invadere i locali).
Raggiunta la temperatura di 30-32°C circa, la coagulazione è ottenuta con l'aggiunta di caglio di vitello. Poi la cagliata è rotta gradatamente, prima in modo grossolano e poi più fine, fino a che i granuli raggiungano la dimensione di chicchi di mais.
Viene effettuata una semi-cottuta, dopo di che si lascia che la cagliata si depositi sul fondo della caldaia.
Successivamente la si ammassa con le mani e la si estrae intera, senza previa rottura, avvalendosi di un telo di lino.

Il pezzo di cacio che assaggiamo (prodotto nell'estate 2013) ha una pasta paglierina di media intensità, leggermente unta, semidura ed un po' elastica. Sono presenti peraltro alcune occhiature grandi, lucide e regolari dovute - forse - a fermentazioni propioniche indesiderate.
Gli odori rimandano al fieno, all'animale ed al burro cotto con aromi.
In bocca è equilibrato, con una media dolcezza, poi una leggerissima acidità ed una sapidità media, con un lieve amaro finale ed un accenno di piccantezza. E' leggermente elastico e discretamente solubile.
Gli aromi inoltre si arricchiscono di frutta secca e - rieccoci - di note propioniche.


La seconda protagonista è Petra Reuter, di origini tedesche, già malgara nella valle dell'Engadina (nella Svizzera del canton Grigioni) e successivamente trasferitasi in Trentino. Qui ha costituito l'azienda agricola "Al Castello di Covi" e, da molti anni, conduce la Malga di Fondo in Val di Non.
Non possiede animali propri ma, durante l'estate, fa monticare una ventina di vacche da latte altrui.
Il latte destinato al Nostrano di malga viene munto con un impianto fisso "a secchio". Come al solito, è usato per metà latte intero e per metà scremato (per affioramento della crema in una vasca d'acciaio). Viene filtrato e riposto in una caldaia di rame (con mescolatore automatico).
Dopo la caseificazione - con caglio e, immaginiamo, a pasta semicotta - le forme di 5-7 kg vengono messe in salamoia per circa 24 ore.
Infine, per ovviare alle "imperfezioni" dei locali di stagionatura (che hanno un'umidità un po' troppo bassa e temperatura un po' troppo alta... d'altronde siamo in malga, che volete...), le forme vengono lavate con acqua salata per evitare che si secchino eccessivamente.

Abbiamo a che fare con un pezzo prodotto il 14 agosto 2013.
La pasta ha colore paglierino abbastanza carico, con un'occhiatura piccola e media, irregolare e diffusa in modo non uniforme. La consistenza è dura ed un po' elastica.
Ha odori abbastanza intensi di burro cotto e di erbe aromatiche secche, più qualche sentore di pelle. Gli aromi evidenziano invece note erbacee più fresche. In bocca ha buona dolcezza, sapidità medio-leggera ed un amaro finale medio, forse un po' eccessivo.


L'ultimo Nostrano di malga è quello prodotto da Mandra Schennach a Malga Stabolone e Rolla, in Val di Daone.
Si tratta dell'alpeggio più esteso, con ben 200 mucche al pascolo ed una produzione annua di circa 600 forme.
Anche qui si utilizza il gruppo di mungitura con secchio incorporato e, per la scrematura, le vasche di affioramento. Come nel resto delle Valli Giudicarie, però, il formaggio che si produce è più magro del "normale", con 2/3 di latte scremato e solo 1/3 intero (anziché metà e metà).
A seguito dell'aggiunta di latte-innesto, si svolge la coagulazione con caglio vaccino, poi la semicottura ed il riposo della cagliata, infine l'estrazione dalla caldaia di rame con un telo.
La salatura è a secco, ripetuta ogni 12 ore dopo il rivoltamento delle forme.

A disposizione abbiamo due caci di annte diverse.
Quello dell'estate 2013 è di colore paglierino di medio-elevata intensità, con pasta elastica e semidura, priva di occhiatura. Ha odori mediamente intensi, nitidi di burro cotto e salvia, con note di fieno e di leggera tostatura. Di media dolcezza e sapidità all'incirca equivalente, ha una lievissima piccantezza e presenta una struttura secca ed un po' grumosa.

Una spanna sopra gli altri è però il cacio prodotto nel settembre del 2012.
Ha un colore paglierino meno intenso rispetto agli altri. La struttura è dura e l'elasticità è presente ma poco pronunciata.
Gli odori richiamano il burro cotto ma, ancor di più, la tostatura, il glutammato e le erbe. I sapori sono mediamente più marcati, con dolcezza e sapidità di intensità medio-elevata ed un leggero amaro finale accompagnato da aromi di mandorle e frutta secca. Alla masticazione mostra una discreta e piacevole solubilità e molti granuli di tirosina.

Tra i vari vini sbevazzati con la scusa dell'abbinamento, vale la pena citare l'originalissimo Metodo Classico da uve di sola varietà pinot bianco: il Dosaggio Zero "Maso Nero" 2007 dell'azienda agricola Zeni di San Michele all'Adige.
Il nome "Maso Nero" è quello di una residenza agricola sulla collina di Sorni, circondata da un vigneto a 450 metri s.l.m., allevato a spalliera su un terreno calcareo.
L'uva è vendemmiata ad inizio settembre e viene fatta fermentare in legno a 18-20°C; sempre in legno (barrique) prosegue la maturazione e la malolattica. Rimane in bottiglia sui lieviti per 24 mesi., senza alcuno zuccheraggio finale.
Nel bicchiere si presenta paglierino luimonso, con riflessi verdolini. Profuma di limone, di lievito, di tostatura e frutta secca, con note di vaniglia e miele. In bocca è fresco ma parecchio morbido, con finale amarognolo. Molto interessante, bisogna dirlo, ma a nostro (misero) parere manca un po' di nerbo.

martedì 4 marzo 2014

Alla fiera di Baum.

Alcuni affinatori hanno una strana ritrosia nel riferire chi siano i produttori dei loro formaggi (o meglio dei formaggi che loro hanno allevato, affinato se non addirittura elaborato). La loro attività consiste, innanzitutto, nel valorizzare la "materia prima" (anzi, "seconda") che hanno accudito, eppure per loro la domanda "chi ha prodotto questo cacio?" è una sorta di tabù, di fronte al quale o glissano, o reagiscono con imbarazzo e spesso con malcelata (o ostentata) irritazione.
Quest'ultima reazione l'abbiamo avuta anche al Degust di Varna, la bottega del bravissimo (e giustamente rinomato) affinatore Hansi Baumgarter, non da parte sua ma della persona che ha curato e gestito la nostra degustazione. Mah...
In ogni caso, ci siamo fatti una bella scorpacciata di buoni (alcuni ottimi) formaggi: caci allevati con evidente attenzione e perizia, precisi negli odori e nei sapori ma allo stesso tempo interessanti, non banali, e soprattutto belli, cioè così curati nell'estetica da sembrare non semplici prodotti d'artigianato ma piccoli oggetti d'arte ornamentali.
Ecco quindi un pro-memoria sui nostri preferiti, con qualche appunto un po' superficiale (d'altra parte è stata una carrellata di 14 porzioni!).


Florie è una creazione Degust, affinato con petali di fiori.
La base di partenza è un cacio preparato dal caseificio austriaco Backensholz (a Oster-Ohrstedt, nello Stato del Schleswig-Holstein), con latte caprino biologico, intero.
Ha profumi lattici freschi (latte di capra), con note di erbe aromatiche e fiori e sentori animali (di pelle). In bocca sono le erbe aromatiche a passare in primo piano; i sapori, complessivamente equilibrati, partono da una dolcezza media, poi una leggera acidità e infine una sapidità medio-leggera. La struttura è morbida, leggermente elastica e solubile. Nel complesso è delicato ed equilibrato, con una persistenza media.

Da dx a sx Rocchetta, Florie, Romarino, Diavoletto nero e Muscatis.
Rosy, altra creazione Degust, è un caprino conciato con vinacce di moscato rosa. Il prodotto originario è austriaco, del Bundesanstalt für Alpenländische Milchwirtschaft - BAM - di Rotholz (la traduzione approssimativa è: Istituto federale per l'industria casearia alpina), sito a Jenbach nello Stato del Tirolo. Stagionato per circa 3 mesi. I profumi sono di intensità media e rimandano al fieno, alle patate lesse, alla cera, al salmastro, all'uovo, con sentori di rosa attorno alla crosta. Il latte di capra si avverte in bocca. E' molto dolce, con sapidità medio leggera; elastico, tenero, equilibrato.

Il Formaggio d'Alpeggio della Val Venosta è a latte vaccino crudo, prodotto nelle malghe locali nel luglio 2013 (quindi ha circa 7 mesi). Gli odori richiamano il latte cotto, l'erba, aromi essiccati e lievi note propioniche, mentre in bocca si arricchisce di aromi di vegetali lessi (patate), di zolfo, di funghi. E' intenso, di media dolcezza ed elevata sapidità, accompagnate da una certa piccantezza e da un finale leggermente amaro. La struttura è secca e dura. Buonissimo!

Anche il Noagnlailich® è una creazione originale Degust (con tanto di marchio registrato!), ricavato da latte (crudo) di capra della Val Passiria, coagula con caglio vegetale e viene affinato con fieno, per stagionare poi per 3-5 mesi avvolto in teli di lino. Gli odori tendono al latte di capra, alla noce ed alla nocciola. In bocca si avvertono anche note aromatiche e di foglie secche. La dolcezza è medio-bassa, più o meno dello stesso livello dell'acidità, predomina lievemente il sapore salato (medio) con un finale leggermente amaro. E' equilibrato ed intenso.

Ennesima creazione Degust è il Miwa, cacio a latte crudo vaccino originario della Germania, avvolto da Hansi in alghe Wakame per l'affinatura. La crosta è arancione (con sopra ancora qualche pezzo d'alga) e profuma di muffa ed ammoniaca. La pasta rimanda invece al latte ed al burro cotti, all'animale (stalla, pelle) ed al glutammato, ai vegetali (tipo coste e spinaci) ed alla frutta tostata, con lievi note salmastre.
In bocca è duro e leggermente friabile, molto solubile però, ed ha dolcezza e sapidità medie, con una leggera piccantezza.

Da sinistra; Rosy, Latemar, Val Venosta, Noagnlailich®, Fiorino gigante e Miwa.
Tra gli erborinati - anche se nessuno ci entusiasma a livello dei precedenti - va citato per la sua peculiarità il CaRuBlù, creazione Degust che parte da un cacio austriaco a latte crudo vaccino di Backenholz, a crosta leggermente lavata, il quale viene affinato con fave di cacao e rum.
Al naso si sentono il latte cotto, le fave di cacao e la frutta essiccata, mentre in bocca sprigiona aromi speziati di noce moscata, oltre a note animali di cuoio, di noce e di castagna. La dolcezza è media, equilibrata dalla sapidità, e si dimostra estremamente solubile.

L'ultimo cacio non sappiamo come si chiami, a me però (ma solo a me) è piaciuto parecchio. Profuma di fieno, poi di latte cotto, burro, muffa e stalla non umida. In bocca è di grande intensità: molto dolce (medio-elevato) ma ancor più sapido, con finale amaro di intensità media, forse accentuata dalle sensazioni metalliche, piccanti ma, soprattutto, pungenti; ha consistenza semidura ma ben solubile. La persistenza è notevole.
Dall'alto: Golden Gel®, CaRuBlù ed il "senza nome".

sabato 1 marzo 2014

Pecorini e tappi ultramaturi.

La peggior esperienza della mia vita con i tappi da sughero: tentare di stappare una bottiglia di Barolo di 13 anni e vedere il turacciolo sgretolarsi, strato dopo strato, cavatappata dovo cavatappata, senza nemmeno riuscire a sollevarlo di un millimetro dal collo...
In casi del genere, occorrerebbe non farsi prendere dal panico come il sottoscritto, che ha imbracciato uno ad uno tutti gli utensili da cucina a disposizione alla ricerca di leve, pinze e sgretolatori.. Meglio spingere subito il tappo giù nella bottiglia e poi filtrare il vino. Io ci sono arrivato dopo una buona mezz'ora.
Quattro passaggi di colino più tardi, il vino è stato peraltro egregiamente recuperato nei bicchieri.

Stiamo parlando del Barolo DOCG "Vigna La Rosa" 2000 di Fontanafredda (Serralunga d'Alba).
La vigna è nel Comune di Serralunga d'Alba, "sottozona" di Fontanafredda, ad un'altezza di 250-280 m s.l.m.; il terreno è costituito di marnee calcaree, argilla e sabbia quarzosa, esposto - credo - a sud-ovest; il vigneto è allevato a guyot, con una densità d'impianto di 4.600 piante/ha.
L'uva viene raccolta all'incirca a metà ottobre, diraspata e pigiata e posta sottoposta a macerare con frequenti rimontaggi; la fermentazione dura circa 20-30 giorni ed è immediatamente seguita dalla malolattica.
Il vino matura per i primi 12 mesi in barrique e per altri 12 mesi in botti da 2.000-3.000 litri; il successivo affinamento in bottiglia dura 18 mesi.
Nel bicchiere si presenta porpora-granato, cupo.
Per fortuna l'odore, intenso e ricco, non è affatto compromesso dal sughero: dominano la ciliegia sotto spirito e l'affumicatura (sembra quasi di sentirci della pancetta), ben intrecciate con note di prugna essiccata (forse addirittura uva passa), di fiori, di tabacco, sottobosco e spezie (non tanto vaniglia quanto chiodi di garofano) e sentori di cacao.
In bocca si avverte subito il corpo notevole, con un'acidità fresca e vivace subito accompagnata da un'abbondanza di tannino, netto ed astringente; grazie a queste sensazioni risultano ben equilibrate la morbidezza ed il calore alcolico (bruciante, perché ha il 14% ABV e lo fa sentire tutto).
E' un vino netto, potente e persistente, molto gustoso.


Si abbina abbastanza bene con il primo dei formaggi umbri che mi hanno regalato: un "pecorino stagionato in cenere" del Caseificio Facchini Walter.
L'azienda ha sede a Sigillo (PG), sull'Appennino umbro-marchigiano, all'interno dell'area protetta del "Parco del Monte Cucco".
Il pecorino stagiona per 4-5 mesi in apposite celle, a temperature di 10-15°C, e alla comparsa delle muffe la crosta viene trattata con olio di oliva aromatizzato alle erbe. Dopo questa fase, la crosta viene ricoperta con cenere di legna e così continua la sua maturazione.
Va premesso che il nostro pezzo - ricavato da una forma cilindrica - è stato conservato sottovuoto.
La sua crosta ha colore non uniforme, con uno strato più interno arancione, macchie marroni ed una patina esterna bianco-grigiastra; la struttura è ruvida, semidura e molto umida.
Nemmeno il colore della pasta è uniforme, perché il giallo paglierino carico di fondo ha ampie e diffuse chiazze biancastre. Al tatto è semidura, umida e deformabile.
Gli odori sono molto intensi e richiamano soprattutto il latte di pecora ed una serie di profumi "tostati" di noce, cuoio e legno; più lievi le note di latte cotto e di dado.
Gli aromi più o meno corrispondono, salvo aggiungersi sentori di ammoniaca e di stalla nella zona vicino alla crosta, e sentori di muffa (che ricordano il graukäse) nelle zone biancastre.
In bocca ha una media dolcezza, coperta però dall'elevata sapidità, dal bruciore e dalla piccantezza; in secondo piano si avverte anche una sensazione metallica. Queste "durezze" sono peraltro temperate dal una consistenza grassa ed untuosa, che svolge il suo compito equilibratore e poi scompare rapidamente grazie all'elevata solubilità del cacio. Masticando si avverte anche una certa grumosità e la presenza di piccole masse croccanti di muffa.
Il formaggio insomma è intenso ma non così aggressivo e non stanca affatto, anzi, stimola sempre un nuovo boccone; con il vino poi se la gioca bene, anche se forse si sommano troppo le sensazioni brucianti dell'uno e dell'altro.

Il secondo cacio è un "pecorino stagionato in fossa", ancora del Caseificio Facchini Walter. E' ottenuto in modo analogo al precedente solo che, dopo la prima stagionatura, anziché essere cosparso di cenere viene avvolto in sacchi di tela e riposto in fossa per qualche tempo.
La nostra porzione ha una crosta estremamente irregolare, umida e dura, di colore arancione cupo (sotto) e marrone scuro (sopra).
La pasta invece è maculata di zone ocra e zone beige.
Gli odori ovviamente sono molto intensi e rimandano vagamente al burro fuso, più nettamente all'ammoniaca, alla pelle di animale, alla stalla, alla muffa ed alla cantina.
Al palato gli aromi virano sul cuoio, l'animale, l'uva passa e di nuovo la muffa; la struttura è friabile, granulosa, umidissima e di medio-elevata solubilità.
Sono però le sensazioni tattili e saporifere a farla da padrone: inizialmente si lasciano avvertire una dolcezza media ed una leggera acidità, poi tutto quasi sparisce dietro all'intensa sapidità ed alle sensazioni metalliche e incredibilmente brucianti.
Queste sensazioni sono peraltro persistentissime e, oltre a saturare presto la bocca, coprono pure il Barolo...