lunedì 16 giugno 2014

Vignaioli in cerca di frontiere...

La Mostra-mercato dei vignaioli del Trentino è giovanissima (la prima edizione mi pare risalga al 2012) e rappresenta un'entità ancora multiforme, dinamica e ricca di potenzialità...
Del resto, si muove un contesto sfuggente ed incerto, nel quale non trovano pace i rapporti con l'altra grande (?) manifestazione enoica locale: quella Mostra Vini che, per converso, si involve di anno in anno tanto da stare smarrendo ogni significato...
Quest'anno, insomma, il fermento dei Vignaioli del Trentino scompagina ancora le carte... anche grazie alla collaborazione con Imperial Wines, altra associazione sempre più attiva sul territorio, dedita alla creazione di spazi di confronto (virtuali e fisici) tra gli attori del comparto vitivinicolo trentino e gli omologhi della c.d. "Mitteleuropa".
Una di queste occasioni è, per l'appunto, l'annuale Mostra-mercato. Che esce dai confini provinciali e cerca un assetto più ampio coinvolgendo i Paesi dell'ex-Impero austro-ungarico: un primo passo per allargare un po' il campo visuale dei trentini (spesso molto autoreferenziali) e, soprattutto, per invitare persone, territori e culture lontani a riscoprire le loro comuni radici storiche...

Non resta ferma neppure la sede della manifestazione, che dagli stanzoni di Trento Fiere arriva agli eleganti e ricchi (e mitteleuropei) ambienti dell'ottocentesco Casinò di Arco.
Tutte le "rappresentanze" si danno infatti appuntamento nel suo Salone delle Feste, da quella più nutrita del Trentino, a quella sparuta altoatesina, per poi spostarsi ad Est verso il Friuli-Venezia Giulia e la Slovenia, l'Austria, la Moravia e l'Ungheria.

Per quanto ci riguarda, scegliamo di dedicarci quasi esclusivamente allo "straniero", anche perché, per noi, si tratta di avvicinarci per la prima volta a culture vinicole completamente ignorate.
Ed il giudizio che portiamo a casa - giudizio da ignoranti, lo ribadiamo - è molto positivo, perché, al di là di qualche vino un po' piacione e di qualcun altro un po' troppo "selvaggio", ci imbattiamo in prodotti originali (rispetto ai nostri canoni) ma pure curati e armonici.
Ecco quelli che più ci lasciano il segno in 6 ore di assaggi e tentativi di dialogo (per cui ringrazio le traduzioni di Quella), con descrizioni più o meno lucide a seconda del tasso alcolemico.
Unico rammarico: aver scattato solo foto di bottiglie...

UNGHERIA.
Tokaji Furmint "Betsek" 2011 di Orosz Gábor (a Mád), vino secco da uva furmint, proveniente  dall'area viticola di Mád e, precisamente, dal vigneto Betsek (il cui suolo è caratterizzato da argilla, pietre vulcaniche e minerali).
La vendemmia risale a metà settembre. E' stato fatto fermentare spontaneamente in botti da 220 e da 500 litri, maturando poi per un anno in botti di rovere (per lo più usate) e, infine, affinando per un altro anno in bottiglia.
Il naso è dominato dalla pietra focaia, accompagnata da note affumicate e fruttate di pesca.
In bocca rivela una notevole struttura, con la freschezza e soprattutto la grande sapidità che nascondono benissimo il 14,5% ABV. Finale leggermente amaro e lunga persistenza.


Tokaji Aszú 6 puttonyos 2007, ancora Orosz Gábor, ancora regione del Mád, ma stavolta sono coinvolti diversi vigneti aziendali. Le varietà di uva sono furmint e hárslevelu, vendemmiate tra la fine di ottobre e la metà di novembre.
Il raccolto è posto in tini di legno da 10 hl, dove il peso degli acini in alto causa la rottura di quelli inferiori, con fuoriuscita di una parte del loro succo (essencia) che viene raccolta attraverso i fori del tino.
Viene quindi versato sugli acini rotti del nuovo vino a base frumint, lasciato macerare per 36 ore.
Solo allora si procede alla pressatura degli acini. Dopo di che il vino - addizionato con l'essencia - è posto a maturare in botti di rovere per 3 anni e mezzo.
Di colore dorato luminoso, al naso lo speziato (zafferano) di botrytis non predomina ma si fonde con la frutta ed miele e, sul lato fresco, le note di pietra e di erbe aromatiche. In bocca è strutturato e viscoso, ben giocato sul contrasto dolcezza-acidità.
(ci limitiamo a due facciotte solo perché avevamo il palato ormai compromesso dalle precedenti 6 ore di bevute...)



AUSTRIA.
Wagram Qualitätswein Grüner Veltliner "Goldberg" trocken 2013 della cantina Eschenhof-Holzer (di Grossriedenthal) ha profumi fini ed articolati, di pesca ed albicocca mature, di roccia, e poi note di salvia, rosmarino e tipo mela verde. Dotato di corpo medio, è abbastanza morbido ma al contempo asprigno e sapido: equilibrato e piacevole.
 


Wagram Qualitätswein Zweigelt "Goldberg" trocken 2011 di Eschenhof-Holzer. Conclusa la fermentazione e la macerazione di 4 settimane sulle bucce, viene elevato in botti di rovere per 1 anno.
Fruttato (ciliegia e frutti rossi) e riccamente speziato di vaniglia, radice di liquirizia e menta, è un vino vigoroso, sapido e tannico.
 



MORAVIA.
Dva Duby, sia per la disponibilità e l'affabilità del titolare, sia per la bontà dei suoi vini, è la nostra cantina del giorno.
Ha sede Dolni Kounice, nei cui dintorni si trovano i suoi vigneti. Li caratterizza la presenza di uno strato di terra non molto profondo e drenante, che induce le radici ad attraversarlo per raggiungere il profondissimo strato sottostante di rocce antiche.
In vigneto non utilizza chimica né rame: soltanto zolfo, preparati biodinamici e tisane. Tranne il diserbo, tutto il lavoro è manuale.
In cantina pratica fermentazioni spontanee e limita al minimo il suo intervento, se si esclusione un po' di solforosa aggiunta pre-imbottigliamento.
Il suo Cuvée Prima Nocta 2012 è ricavato da sola uva malvasia (l'indicazione generica Cuvée, in etichetta, è dovuta alla contestazione del sistema ceco di denominazione e classificazione dei vini, imperniato sul grado zuccherino). E' un vino complesso e di carattere, nonostante la giovinezza: l'olfatto rimanda qua e là al mondo floreale, alle erbe aromatiche ed alla frutta matura, ed i variegati profumi sono arricchiti da note acetiche e persino da ricordi animali (stalla). In bocca è discretamente intenso ed equilibrato, tra calore, freschezza e sapidità. Il finale è piacevolmente amarognolo e ci sembra piuttosto persistente.


Anche la sua Cuvée Lowenherz 2011 è mono-varietale (San Lorenzo), ottenuto con macerazione di 4 settimane e successiva maturazione in botte aperta per un anno. Sa di lamponi e ciliegie aspre, di pepe e di altre indefinite spezie fresche. La freschezza continua in bocca, tra asprezza e tannicità, che prevalgono ma con piacevolezza. Di struttura media, si conclude in un leggero finale amaro.




SLOVENIA.
Deželno vino PGO Primorska Carso "Terranatura" 2011 è prodotto da Stemberger (di Sežana). L'area di provenienze è quella del distretto vinicolo del Carso, uno dei quattro che compongono la regione vinicola Primorska.
La varietà d'uva è terrano (della famiglia del refosco), vendemmiato a fine ottobre.
Ha fermentato spontaneamente, in tini aperti, dove è stato lasciato a macerare sulle bucce per circa 20 giorni. La maturazione è avvenuta in botti grandi da 10 hl, per 2 anni.
E' un vino possente, con profumi di marmellata di prugne, di terra, di erbe aromatiche, in bocca ha notevole calore alcolico, grande struttura, è sapido e tannico.

 

venerdì 6 giugno 2014

Il sorprendente Riesling Pelz con i suoi vassalli Caciocavallo lucano e Bettelmatt.

Sinceramente, quando - poche settimane fa - abbiamo fatto visita alla cantina Pelz, più che dei loro vini eravamo curiosi di vedere qualuno dei famosi vigneti terrazzati della Val di Cembra... E stata quindi solo una fortunosa coincidenza a farci scoprire uno dei migliori Riesling mai assaggiati in tutto il Trentino-Alto Adige!


La società agricola Fratelli Pelz, tanto per cominciare, ha sede nell'abitato di Cembra (TN), e coltiva all'incirca 16 ha di vigneti sparsi sul versante della valle esposto a sud-est, tra i 400 ed i 650 metri s.l.m.
Per lungo tempo i vini sono stati commercializzati con la denominazione PelzPiffer, poi, da alcuni anni, l'enologo Vito Piffer è passato alla cantina Endrizzi e l'attività è rimasta in mano in mano ai tre fratelli Pelz: Diego, Michele e Franco.
L'allevamento delle viti è quasi ovunque a guyot, con i filari sistemati a "ritocchino" (cioè orientati da monte a valle, in salita), mentre la vendemmia è per metà meccanizzata e per l'altra metà manuale (in base alle pendenze del suolo, che possono superare il 45%).
Sono diverse la varietà coltivate: in limitata quantità paolina (circa 400 bottiglie) e pinot nero (circa 800 bottiglie, peraltro l'unico vinificato in legno e, precisamente, in barrique verticale), maggiormente invece kerner, müller thurgau e, per l'appunto, riesling renano, di soprendente impronta tedesca, sottile ed idrocarburico.






Oggi apriamo il Trentino DOC Riesling "Clessidra" 2004, etichettato PelzPiffer, da uve coltivate in località Fontana, a 450 m. s.l.m., su terreni di sabbie, ghiaie e limi di natura porfirica. L'allevamento è a guyot, con alta densità di impianto (8.300 viti/ha), vinificato in acciaio.
Ha un titolo alcolometrico del 13,5%.
Si presenta con un colore paglierino-dorato, luminoso.
Al naso si fa attendere per circa un'oretta, ma l'attesa vale la pena: viene fuori con un'intrigante tavolozza aromatica, di media intensità ma abbastanza fine, dove gli odori sassosi, di pietra focaia, idrocarburici (pneumatico) si fondono con note agrumate, di erbe aromatiche, di pesche mature, di frutta secca e persino di albicocche essiccate (l'Altra ci mette pure dello zabaione, massì ué ué).
Anche in bocca non spicca per intensità e forza ma, piuttosto, per finezza. Ha una struttura medio-leggera, discretamente morbido ma teso da una vena acida ed agrumata sottile e profonda e da una vivace sapidità. Ha una buona persistenza e si fa sgargarozzare con grandissima facilità (e infatti la bottiglia sparisce).


Peccato, però, che non abbia forza sufficiente per reggere i due intensi formaggi a cui è abbinato, che finiscono - entrambi - per coprire un po' troppo il vino.

Stiamo parlando, innanzitutto, del Caciocavallo lucano prodotto dal caseificio Fattorie Lucane (Ruoti, PZ) e gentilmente offerto da Mr. Gianpiero.
E' una pasta filata a pasta dura, ottenuta da latte è vaccino provieniente dall'altopiano lucano.
Il pezzo sembra preso da una forma ellittica, oppure a pera, non si capisce.
La crosta è di color paglierino con alcune muffe, semidura ed elastica, mentre la pasta è paglierina scarica e priva di occhiature, secca e semidura.
Profuma un sacco di verdura lessa (cavolfiori), assieme al burro cotto, a note di dado, di pelle e - in bocca - a sentori di fieno.
Al palato è dotato di dolcezza media, che sarebbe ben equilibrata dalla media sapidità se quest'ultima non fosse accentuata dalle nette sensazioni piccanti e brucianti, anche un po' eccessive (tanto più che gli aromi rimanderebbero a cibi a tendenza dolce).
Di struttura è semiduro, poco solubile, secco ed abbastanza deformabile. Ha una persistenza media.


L'altro cacio - per il quale ringraziamo Mr. Alessandro - proviene dalle Valli di Antigorio e di Formazza, estremità settentrionale della Valle Ossola Superiore.
Siamo nella Provincia del Verbano-Cusio-Ossola, nel Nord del Piemonte (ed ormai quasi in Svizzera), e parliamo del Bettelmatt della Latteria Sociale Antigoriana (cooperativa di produttori dell'omonima vallata, con sede a Crodo).
E' ricavato da latte vaccino crudo ed intero, munto in alpeggio nei mesi estivi.
Si ottiene mediante l'aggiunta di caglio di vitello liquido, con una coagulazione a 36-40°C per circa 30'; la cagliata è rotta in chicchi di mais e poi cotta, raccolta in panni e messa nelle forme, dove è sottoposta a pressatura per 12 ore e infine salata a secco o in salamoia. La stagionatura può variare da 60 giorni a diversi anni.
La nostra fetta proviene da una forma cilindrica con scalzo diritto di circa 6 cm e facce piane dal diametro di circa 30 cm.
La crosta è marrone e con muffe bianche e scure, è spessa, liscia e secca.
Ha un sottoscrosta sottile ed un'occhiatura irregolare di medie dimensioni.
La pasta è liscia, compatta, untuosa, tenera e leggermente elastica.
La ricchezza di odori è notevole, in ordine decrescente si sente la stalla, il cuoio, il vegetale lesso, il tabacco, i funghi secchi, l'erba, aromi, frutta secca tostata, legno e burro cotto.
Al palato inizia con una dolcezza media, seguita da una leggera acidità e da una media sapidità... è però il finale a lasciarci perplessi per la travolgente intensità dell'amaro (medio-elevato) e dell'astringenza, che si uniscono a sentori aromatici di pesce secco e carta che ci fanno pensare ad una conservazione non proprio eccellente... chissà...
Comunque, la struttura è tenera, deformabile, adesiva ma molto molto solubile.
Da riprovare senz'altro.

lunedì 26 maggio 2014

Giornate Badeniane del Pinot Nero...

Quest'anno, per noi, niente degustazione pubblica dei vini alle Giornate Altoatesine del Pinot Nero. Ci sarebbe stato più di un centinaio di vini a disposizione, ma le condizioni febbrose di uno dei due (senza fare nomi) ci costringono a dare forfait... 

L'unica consolazione sta nell'aver partecipato - per lo meno - alla degustazione dedicata alla regione vinicola del Baden.
Si tratta di una zona non molto conosciuta qui in Italia - nemmeno da noi due infatti - ma che, per il livello qualitativo dei suoi Pinot nero, meriterebbe l'attenzione di ogni amante di questo vino, tanto più considerando il rapporto qualità/prezzo.
Tra le regioni vinicole della Germania, è la terza per estensione (15.000 ha) e quella più a Sud, essendo collocata nella parte sud-occidentale del Land del Baden-Württemberg, nell'Alta valle del Reno sul confine con la Francia e la Svizzera.
Gode di un clima caldo e soleggiato, garantito dalla presenza del Reno e dalla protezione delle catene montuose della Foresta Nera (ad Est) e dell'Odenwald (a Nord).
Questo fa sì che l'uva riesling ceda il posto alle tre varietà di pinot: bianco (weissburgunder), grigio (ruländer) e, per l'appunto, nero (spätburgunder).
Nell'intera regione sono attive circa 20.000 aziende viticole, molte delle quali raggruppate in grandi Cooperative (che coprono il 72% della superficie vitata).


Sono nove le aree viticole presenti nel Baden, ma il nostro percorso - sotto la guida dell'enologo-consulente Edgar Auer - si sofferma su tre zone della sua parte centro-meridionale: il Kaiserstuhl, il Breisgau ed il Markgräflerland.
Noi, a nostra volta, ci soffermiamo qui sui vini più apprezzati, altrimenti non si finisce più...

Edgar Auer

MARKFRÄFLERLAND
Si parte proprio dal Markgräflerland, che copre l'area alla destra del Reno superiore, da Lörrach fin su a Friburgo. Ha suoli sono molto diversificati, tendenzialmente pesanti, argillosi e marnosi e con uno strato di loess profondo diversi metri, ed i vigneti sono impiantati dai 210 ai 470 metri s.l.m.

Qui, e precisamente a Müllheim-Hügelheim, ha sede la cooperativa Winzerkeller Hügelheim, costituita da 55 viticoltori con 77 ha totali di vigneti.
Lo Spätburgunder Höllberg SL trocken 2010 è una loro selezione (SL = Selektions-Lese), ottenuta da vigne di almeno 10 anni piantate a Höllberg, su suolo argilloso e coperto da loess, ed esposte a sud.
L'annata 2010 è stata tipica, ci spiegano, e quindi abbastanza fresca.
Le rese sono state contenute nei 40 kg/ha, ed il mosto è stato fatto macerare per 14 giorni sulle vinacce. Il vino è poi maturato in botti di rovere di secondo passaggio per 22 mesi. Alcol 13% vol.
Prezzo sul sito della cantina: 18,90 €.
Il colore del vino è rubino-granato poco intenso ma luminoso ed invitante. Ha un naso fine, con odori di uva spina, di frutti rossi, di affumicato e tostato, cuoio, tabacco e sentori balsamici. In bocca mostra un corpo medio, vellutato e ricco di tannini ma anche piacevolmente fresco.
Ci piace!


L'azienda Martin Wassmer (di Bad Krozingen) nasce invece per la coltivazione degli asparagi, per svilupparsi solo in un secondo momento nel settore della vinificazione.
Il loro Pinot Noir Dottinger Castellberg GG - non ho segnato l'anno però... - proviene dall'area di Castellberg, ricca di calcare e marne. L'azienda pratica l'agricoltura convenzionale ma, per questo specifico appezzamento, ha deciso di mantenere le pratiche biologiche già in precedenza utilizzate fino al tempo in cui fu acquistato. Matura all'incirca 18 mesi in barrique. Il prezzo si aggira sui 60 euro (argh).
Ha sentori floreali, di piccoli frutti e prugne, con note di tostatura e caffè, mentre in bocca ha buona struttura, tannino fitto, rigore ed armonia.
Ci piace assai! ☺☺



KAISERSTUHL
Passiamo al Kaiserstuhl (letteralmente: "Sedia dell'Imperatore"), che è poi il nome di una catena di colline di origine vulcanica che si stende a Nord del comune di Breisach. L'area vinicola occupa la fascia da Friburgo alla Valle del Reno, ed è tra le più soleggiate e calde della Germania.
Il suolo si caratterizza, oltre che per le rocce vulcaniche, per la presenza di strati sedimentati di loess in superficie, soprattutto nel Kaiserstuhl orientale.
La viticoltura è diffusa sull'intera area, dai 190 ai 400 metri s.l.m., su pendii ripidi e terrazzamenti.
Ne risultano Pinot neri tendenzialmente corposi e fitti, con un sensibile tannino, una netta mineralità e sentori fruttati più delicati.

Ci presentano la Weingut Trautwein (di Bahlingen), proprietaria di 9 ha di vigneti nel suo stesso comune, nella parte orientale del Kaiserstuhl, su suoli di matrice vulcanica con ampi strati di loess (fino a 30 metri!).
L'azienda ricorre a pratiche biologiche e biodinamiche. Contro malattie e parassiti vengono utilizzati solo preparati biodinamici di tè, compost e silicio, mentre per la fertilità del suolo si interviene con il letame e le pratiche di sovescio.
La vinificazione, poi, segue le fasi lunari e si avvale soltanto di lieviti indigeni.
In assaggio il Quälitatswein Spätburgunder Edition RS "vom Käsental" trocken 2011, da vigne di 35 anni di età, da terreni di loess calcareo e argilla; la resa è limitata a 30 hl/ha (corrispondenti circa a 50 q/ha). Una macerazione a freddo di 5 giorni precede la vinificazione (con follature); la maturazione dura 18-24 mesi in barrique (per 2/3 nuove). Prezzo: 35 € dal sito della cantina.
Prevalgono i profumi di frutti di bosco, erbe aromatiche e speziature (pepe), rispetto alle note affumicate e tostate. Ha una media struttura, con acidità e tannini in primo piano mentre la morbidezza resta molto attenuata.
Ci piace assai!☺☺
Lo stesso vino ci viene proposto anche nell'annata 2007, che risulta molto pià speziata ed affumicata, più equilibrato anche se ancora fresco e tannico e con accenni di marmellata di prugne nel finale.
Ci piace! ☺



BREISGAU
E così giungiamo all'ultima regione, il Breisgau, area molto variegata che da Lahr scende a Sud fino a Friburgo. Le viti crescono tra i 180 ed i 450 metri s.l.m.
Si distinguono varie tipologie di terreni: alcuni sono dominati dallo gneiss (roccia metamorfica), altri caratterizzati da loess e argilla, altri ancora da arenarie calcaree.

Nel comune di Kenzingen, in particolare, è situata la cantina Shelter Winery, di Hans-Bert Espe (fisicamente con noi) e Silke Wolf.
Hanno 4 ha circa di vigneti a Kenzingen e Malterdingen, in un microclima caratterizzato da notevoli sbalzi termici e su terreni calcarei.
Due le loro tipologie di Pinot nero: lo "Spätburgunder", vino base da vigne più giovani e con rese più alte (comunque entro i 50-60 hl/ha), ed il "Pinot noir", selezione da vigne più mature e con rese contenute nei 35-40 hl/ha.
Quanto al processo produttivo, sappiamo che le uve sono raccolte in piccole cassette di frutta e, dopo la pressatura, sottoposte - di solito per il "Pinot noir" - a breve macerazione a freddo. La vinificazione ha luogo in tini aperti, con macerazione sulle vinacce di ben 4-6 settimane.
Il Pinot Noir 2006 - in assaggio - è frutto di un'annata con rese finali bassissime (15 hl/ha) dovute alle infezioni di botrite. E' stato affinato in botti nuove per circa 18 mesi e, poi, imbottigliato in magnum senza alcuna filtrazione.
Ha piccoli frutti rossi ben amalgamati con gli odori speziati, tostature e caffè; il corpo è medio, discretamente morbido e con una buona acidità a ravvivarlo. Equilibrato e piacevole.
Ci Piace!


Viene poi il turno di Bernhard Huber, appartenente alla VDP (della quale si è già scritto qui). Coltiva i terreni calcarei e ricchi di argilla del Comune di Malterdingen (dove ha pure sede la cantina). Dal 2009 ha iniziato a vinificare con soli lieviti indigeni.
Il suo Spätburgunder alte reben 2011 proviene da vigne tra i 20 ed i 40 anni, con rese di 37 hl/ha. Compie la malolattica in barrique, poi viene effettuato un primo travaso senza chiarifica e resta quindi a maturare nelle botti per altri 18 mesi.
E' un vino fruttato (di frutta matura), con anche note di uva spina che tendono però all'affumicato ed al caffè, e spezie più lievi rispetto ad altri. Ha un corpo medio-leggero, bello fresco e teso.
Ci piace! ☺
Il nostro vino preferito della serata è però lo Spätburgunder Schlossberg R GG 2008. Prende il nome dai 6 ha di vigneto classificati "Grosses Gewächt" ed appartenenti alla più vasta area di Hecklinger Schlossberg, che copre complessivamente 50 ha.
Le vigne aziendali sorgono su di un ripido pendio (fino al 72% di pendenza), con suolo ricco di scheletro e costituito da rocce calcaree giallastre, esposto a sud, sud-ovest. Le piante hanno tra i 6 ed i 35 anni e sono impiantate tra le 6.000 e le 13.000 per ettaro, mentre le rese sono contenute nei 28 hl/ha.
Ha un naso complesso di frutta, odori balsamici e minerali accompagnati da sentori di zolfo. In bocca ha struttura media, è morbido ma profondo, fresco, sapido e tannico.
Ci piace moltissimo! ☺☺☺


The end...


venerdì 23 maggio 2014

Denny Bini e Marubini!

Ecco, l'abbinamento di stasera è stato giusto per trovare la rima.

Lui, Denny Bini, è un giovane vignaiolo, che ha cominciato a vinificare con una sua etichetta nel 2007, con mezzo ettaro di terreni in affitto a Coviolo, alle porte di Reggio nell'Emilia. L'impianto dei vigneti risale però già al 2003, con le varietà lambrusco grasparossa e malbo gentile.
Dal 2011 lavora un ettaro complessivo di terra e coltiva anche lambrusco salamino e di sorbara.
La zona di produzione prende il nome di Podere Cipolla. E' situata su una bassa collina a 200 metri s.l.m., compresa tra due torrenti, e si caratterizza per un suolo con un primo strato compatto limoso-argilloso, seguito a 40 cm di profondità da uno strato di rocce alluvionali (e fossili) ciottoloso e quindi maggiormente drenato.

Data la naturale fertilità del terreno, per ridurre la resa si è scelto l'allevamento a cordone speronato, con potatura corta, limitando a 16 le gemme per ceppo.
Le rese non superano gli 80 q/ha, mentre la densità di impianto è di 2.400 ceppi/ha.
La coltivazione - pur priva di certificazioni - segue il regime biologico: trattamenti solo con rame e zolfo; concimazioni con letame e sovescio; diserbo meccanico; aggiunta di solfiti soltanto in fase di pigiatura; nessuna chiarificazione né filtrazione (il tannino ed il sedimento dei lieviti fungono da antiossidante).

"Se non acquistate vi faccio un mazzo..."

Quell'etichetta col sole... l'abbiamo già vista!

Il suo Lambrusco dell'Emilia IGP "Ponente 270" del 2012 - aperto stasera - è un uvaggio di tutte le varietà di lambrusco aziendali: quindi grasparossa, salamino, malbo gentile e di sorbara. E' vinificato in acciaio con lieviti indigeni, e subisce una macerazione sulle vinacce di 3-4 giorni.
Rifermenta in bottiglia - secondo il metodo tradizionale - e nello stesso contenitore rimane per almeno 8 mesi prima della commercializzazione.
Ha un colore purpureo intenso e luminoso, con una lieve effervescenza superficiale. Gli odori sono abbastaza intensi e franchi, e rimandano alla marmellata di ciliegie (aspre) ma pure alle spezie, come vaniglia e chiodi di garofano, e persino a sentori smaltati. In bocca è secco, senza residui zuccherini evidenti, e vivace ed energico, snello e beverino; è animato inizialmente dalla frizzantezza e dall'acidità, poi si fa sentire la struttura tannica abbastanza intensa e viva. E' un tipetto di carattere ma soprattutto che dà godimento. Ah, ha solo il 12% alc./vol.

Come al solito, l'abbinamento non è azzeccato. 
I ravioli carne e aglio dell'azienda Fioni Alfonso (di Castelverde, CR), in pratica i famosi marubini di Cremona, sono una pasta fresca all'uovo ripiena con carne suina, carne bovina e prosciutto, poi parmigiano reggiano, pane grattato, verdure, spezie ed aromi.
Nel brodo di carne sono davvero squisiti, con uno involucro di pasta spesso e compatto (ottenuto con farine sia di grano duro che di grano tenero) che racchiude un amalgama di carne grassa e pastosa e di "fresca" verdura, il tutto su un netto sfondo agliaceo.
L'unico problema del piatto, per l'appunto, è che non ha un'intensità di profumi e sapori sufficiente per sostenere sostenere questo vino giovanile e forte.
Se non altro, il tannino del vino compensa l'umidità del brodo e la sua freschezza ripulisce la bocca dalle sensazioni di grassezza e pastosità della pasta e della carne.


lunedì 19 maggio 2014

Cerevisia Festival... non è una sagra paesana!

Anno 2014: dai e dai, scuoti e scuoti, finalmente anche il Trentino ha avuto il suo festival della birra "artigianale".
Nell'inerzia dei soggetti più propriamente "birrari" (associazioni di degustatori e/o appassionati, pub e birrificio), abbiamo dovuto attendere l'iniziativa della Pro Loco del Comune di Fondo (TN), amena località dell'Alta Val di Non.
La circostanza farebbe sorridere... se non fosse che quest'associazione ha dimostrato di essere composta da appassionati autentici e seri (si vede da tanti piccoli dettagli, ad esempio dal servizio nei "Teku" e non nei bicchieri da "baretto" che qui vanno di moda persino nei brewpub), ed è riuscita a coinvolgere tutti i birrifici "artigianali" trentini in un evento sorprendente per stile, organizzazione e partecipazione.


Per quanto riguarda noi, abbiamo zompato da uno stand all'altro, cercando di farci un'idea delle condizioni del piccolo mondo produttivo provinciale... E lo stato di salute, dobbiamo ammetterlo, è davvero consolante!
Ad essere precisi, le birre - nella media - non è sono state poi così coinvolgenti o sorprendenti... Abbiamo trovato però tanti prodotti piacevoli nella loro semplicità, e - in media - senz'altro più curati rispetto a qualche anno fa.
Vedremo come si evolverà la scena... Per intanto, qualche appunto l'abbiamo preso.

Birra Lagorai.
Parlando con l'addetto allo stand, scopriamo che all'opera, con una rinnovata società, un nuovo marchio ed un'accattivamente denominazione, c'è la famiglia Smaniotto già conosciuta in passato per le aziende Fravort e Birrificio Valsugana.
(Ri-)Attivi da un anno circa, offrono la Birra Lagorai: stile pils, il suo punto forte sta nel colore, un affascinante dorato limpido e brillante. Gli odori sono essenziali, di cereali e di luppoli erbacei e leggermente mentolati.
In bocca è molto snella e beverina, con un'acidità medio-bassa, una netta frizzantezza ed un finale lievemente amaro. Pulita ma senza pretese.


Barbaforte.
Beer firm sorta nel luglio 2013, dopo una decina d'anni di "homebrewering". Si incardina nell'attività aziendale storica di somministrazione (il "Caffè in piazza" di Folgaria), presso cui è possibile trovare le birre in vendita e mescita.
Il loro primo prodotto è la San Lorenzo. Birra paglierino-dorata in stile definito "Golden Ale", con malti tedeschi ma non solo, e cinque diverse varietà di luppolo (sulla cui provenienza prima o poi interrogheremo il diretto interessato!). Odora di miele ed erba, con più lievi sentori di agrumi e spezie pungenti, in bocca è molto leggera e mantiene un basso profilo, comunque risulta equilibrata con lieve prevalenza di sapidità e amarezza.
Preferiamo la Obice, definita di stile American I.P.A. ma noi, in realtà, propendiamo per l'American Pale Ale (A.P.A.), data la minore intensità di profumi, corpo ed amaro.
Si presenta ambrata con una discreta schiuma. Gli odori rimandano al malto un po' caramellato, e poi ai luppoli americani, con i loro agrumi (pompelmi ed arance) e resine.
Il corpo è medio-leggero, con una certa acidità ed un amaro di media forza.
Anche qui si punta ad un basso profilo, ma per noi è comunque appagante.
Birrificio da tenere d'occhio.


Birra di Fiemme.
E' probabilmente il birrificio più antico del Trentino, in attività da almento 15 anni.
Non ci dispiace la loro Nòsa, ad alta fermentazione con 6 varietà di luppolo (credo tedesche). Profuma di biscotto, miele, luppoli erbacei e mentolati, leggermente speziata; il corpo medio-leggero, con lieve dolcezza maltata iniziale, seguita da leggera acidità e buona sapidità, con finale amaro medio-leggero. Abbastanza equilibrata, si fa bere con piacere.


Bionoc.
Vabbè, lo conosciamo già e - come scritto e detto più volte - è il nostro birrificio prediletto da queste parti. I due titolari, Nicola e Fabio, si confermano sempre persone dinamiche, ispirate e capaci.
L'unico suggerimento: puntare ad una maggiore costanza sul piano qualitativo, perché nei loro fusti non è così raro imbattersi in odori non proprio desiderabili... stavolta, per dire, assaggiando per la prima volta la nuova Golden Ale ci sentiamo dentro odori di lievito di birra... boh...
Quello che conta, però, è che oggi sono stati in grado di entusiasmarmi con il loro fusto sperimentale di Single Bot, birra ispirata alle Red Ale delle Fiandre occidentali.
La base è un'Alta Vienna lasciata maturare in botte per 8 mesi, dove si ossida ed acidifica lentamente ed evolve in corpo e profumi. Va precisato che il processo produttivo è ancora lungi dal concludersi, dato che il mastro birraio intende lasciarla in botte ancora per tutta l'estate prima di porla in commercio (chissà, magari pure blendata con una birra più giovane).
Oggi si presenta di un colore ambrato-rossastro, con schiuma (ancora) discretamente abbondante e persistente.
Ha odori maltati di cereale caramellato, di crosta di pane, di ciliegie sotto spirito, di cantina, con note di aceto, pesche mature ed albicocche secche.
In bocca è viva, energica. La sua densità e la media dolcezza sono in grado di equilibrare molto bene l'acidità tagliente, che si unisce ad una sapidità medio-leggera e ad una media amarezza finale.
Avrei voluto berla fino ad esaurimento.


Per un motivo o per un altro, non faremo cenno agli altri birrifici presenti: Birra del Bosco di Lavis, Carador di Folgaria, Lucia Melchiori (storico produttore di succhi di mela) di Tres, Teddy Bier di Mori e Birrificio Val Rendena di Pinzolo... Vabbè, sarà per il prossimo festival (magari organizzato dai birrifici stessi?)
In conclusione, merita però un cenno la Beautiful & Strange della Brewfist, stile Gose e quindi con malto pilsner e frumento, aggiunta di sale e lieve speziatura con bergamotto ed arancia... provata allo stand dell'Angolo dei 33, ci fa venire voglia di estate, soprattutto una volta in bocca, così sottile, acidula, sapida e beverina (anche se le durezze tipiche dello stile sono molto smussate).

P.S. Abbiamo notato la mancanza dell'Agraria Riva del Garda e della sua fantomatica "Brr...Riva", ma ci siamo dimenticati di domandare il perché...

P.P.S. Per la cronaca, il pubblico del festival ha votato come miglior birra la Foxtail di Birra del Bosco e la Obice di Barbaforte; il birrificio più votato è stato invece il Bionoc. Ma a quando una competizione con una vera e propria giuria?

mercoledì 7 maggio 2014

Ancora vignaioli (Gino Pedrotti) ed ancora caci, che monotonia...

I recenti vagabondaggi per il trentino "vignaiolo" ci hanno condotto stavolta a Pietramurata, in Valle dei Laghi.
Qui ha sede l'azienda agricola Gino Pedrotti, in un accogliente e rustico casolare che ospita anche l'osteria si famiglia "Pedrotti Bar".
L'attività è attualmente in mano ai tre figli dei signori Gino e Rosanna: ed è a Giuseppe, in particolare, che spettano i compiti di agronomo ed enologo aziendale... nonché di mescitore dei vini durante la nostra visita.


In Giuseppe Pedrotti troviamo una persona dall'aspetto buono e dai modi semplici e gentili ma, al contempo, determinata, rigorosa e dedita nel suo lavoro.
Ad ogni modo, ci tratta con un'ospitalità incredibile... anzi, nemmeno poi così incredibile, perché i "piccoli" vignaioli trentini, visita dopo visita, ci stanno abituando al loro senso di accoglienza contadina.
Parlandoci, inoltre, mostra di avere (oltre ad una netta inflessione dialettale) una concezione ben precisa del suo "ruolo" di vignaiolo: un interprete autentico della vigna e dei suoi frutti - così ci sembra che si veda - che assecondando le tendenze del suolo, delle piante e dell'uva, sia dentro al campo che nella cantina, le dirige verso alti risultati qualitativi.
Anche per questo ha ottenuto la certificazione biologica e, da anni, studia e rispetta le pratiche agricole della biodinamica.
Le medesime aspirazioni spiegano anche perché - come altri vignaioli già incontrati - abbia abbandonato la DOC "Trentino" a favore dell'IGT "Vigneti delle Dolomiti". Si tratta di una scelta "politica", mossa sia dal dissenso verso il "lassismo" del disciplinare DOC (che risponde più ad esigenze di quantità che di qualità), sia dal disappunto per una politica provinciale troppo spesso rivolta solo all'ascolto delle grosse Cooperative.
Nella soffitta-fruttaio

Nella soffitta- fruttaio (l'espressione di Giuseppe non è rancore ma mimica casuale!... Speriamo lui non ce ne voglia...)
Tornando all'azienda, la famiglia Pedrotti è proprietaria di otto piccole vigne (per 5 ha totali) tutte situate nei dintorni di Pietramurata, attorno alla cantina oppure affacciate sul lago di Cavedine.
I vigneti sono condotti senza trattamenti chimici (solo rame e zolfo) e la concimazione è favorita dal letame naturale, dai preparati biodinamici e dalle pratiche di sovescio. L'allevamento avviene sia a pergola (per i vecchi impianti) sia a guyot (per quelli recenti).
Per la vinificazione, le uve vengono spesso e volentieri vendemmiate tardivamente (per lo meno la nosiola, la schiava ed il cabernet franc) e si procede a macerazioni sulle bucce anche per le uve bianche (allo scopo di limitare al massimo l'uso dei solfiti).
Le fermentazioni sono tutte spontanee attraverso i lieviti indigeni.


L'altra sera abbiamo aperto il loro Vigneti delle Dolomiti IGT L'Auro 2010, uvaggio di cabernet franc e merlot (quest'ultimo minoritario, giusto per smussare), vinificato e maturato per due anni in legno.
Nel bicchiere ha un colore purpureo-granato, luminoso e di discreta intensità.
I profumi rimandano soprattutto alla frutta matura (ciliegie e prugne), assieme però a sentori aromatici (rosa canina) e di tè, in un sottofondo di note speziate e minerali.
In bocca è di medio corpo, morbido ma con una piacevole acidità ed un tannino abbastanza levigato, ed un finale lievemente amaro.
In definitiva, si tratta di un vino semplice ma caratterizzato, godibile e di buona beva.


Ci accompagnamo due formaggi, ultima parte del malloppo raggranellato all'Eataly Lingotto di Torino.
Si comincia con un Petit Pont L'Évêque AOP "Marie Harel" della fromagerie Gillot (di Saint Hilaire de Briouze) è un formaggio della Normandia, a pasta molle e crosta lavata, e senz'altro grasso (almeno il 45% per disciplinare).
Questo cacio fa la sua apparizione nella storia sin dal XII sec., quale creazione dei monaci cistercensi stanziati a Cael, ed è oggi prodotto nelle regioni della Bassa e dell'Alta Normandia e nel dipartimento di Mayenne: tutte zone molto fertili connotate da un clima mite ed umido e da suoli argillosi.
Il formaggio si ottiene da latte vaccino crudo (ma il disciplinare ammetterebbe anche la pastorizzazione), fatto acidificare e poi coagulare con caglio di vitello; la cagliata - mi sembra di capire - viene sottoposta a stufatura al caldo per alcuni giorni, prima della salatura.
Stagiona per almeno 15 giorni a temperature di 11-14°C, le quali, assieme ai lavaggi, consentono lo sviluppo dei caratteristici batteri del rosso (Brevibacterium linens).


Il nostro pezzo si presenta in forma parallelepipeda-quadrata, dentro ad una crosta bianca da cui affiorano macchie ramate, ammuffita, ruvida e secca.
La pasta è invece paglierina con occhiature irregolari piccole e medie; la struttura al tatto è liscia, tenera ed abbastanza elastica.
Gli odori sono mediamente intensi e fini, di latte cotto, nocciola, fieno e zolfo (ricorda un po' la pipì stantia), con note un po' cremose ed un po' animali (di pelle e cuoio).
In bocca è in equilibrio tra dolcezza (media) e sapidità, con prevalenza di quest'ultima (medio-elevata). E' deformabile, tenero, untuoso e leggermente adesivo, di bassa solubilità.
Buona peraltro la persistenza.
Si abbina piuttosto bene con il L'Auro, abbastanza morbido da compensare la sapidità del cacio, ma tannico e caldo quanto basta per ripulire la bocca.

Il secondo cacio è Castelmagno d'alpeggio DOP dell'azienda La Meiro - Terre di Castelmagno (con sede per l'appunto a Castelmagno).
Anche questo formaggio ha un'antichissima tradizione produttiva, che in questo caso risale almeno al XIII secolo, e si produce solo nel Comune omonimo ed in quelli contigui di Pradleves e Monterosso Grana (tutti in provincia di Cuneo).
Il latte è interamente vaccino (ma il disciplinare ammetterebbe anche aggiunte ovicaprine) e - data la menzione "d'alpeggio" - è stato munto e lavorato presso le malghe locali durante i mesi estivi.
In particolare, il latte viene lavorato a crudo, dopo una parziale scrematura per affioramento, e coagula a 30-38°C grazie al caglio liquido di vitello, per un periodo che può variare dai 30 ai 90 minuti.
La cagliata viene rotta a "chicco di mais", poi estratta, pressata e sgrondata per almeno 18 ore.
Viene quindi fatta acidificare mediante maturazione di 2-4 giorni nel siero delle precedenti lavorazioni, per essere poi "frugata", cioè rotta finemente e rimescolata, con contestuale salatura della pasta.
E' quindi immessa nelle fascelle di legno dove viene pressata per un giorno.
Il nostro pezzo è maturato in grotte di tufo fredde (10°C) ed umide (90%) per almeno sei mesi (essendo "d'alpeggio").
Poi, a dire il vero, ha trascorso una brutta settimana in frigo in attesa di questa cena... E pare che ciò abbia influito parecchio, ahinoi... (almeno, a confrontarlo con gli altri Castelmagno assaggiati in passato).


Ha una crosta ocra con muffe bianche, dura, secca e ruvida.
La pasta è color avorio, ma con un sottocrosta ocra molto spesso e pronunciato; è secca, semidura e friabile.
Ci sentiamo profumi di latte cotto e fieno, con accenni fermentati, e note di animale (stalla) che si fanno via via più pronunciate avvinandosi alla crosta. Un po' monocorde rispetto a quanto ci attendessimo.
In bocca ha una leggera dolcezza iniziale, seguita dall'acidità di poco più intensa (medio-leggera) e da una netta sapidità (medio-elevata), per concludersi con un sapore amaro-erbaceo di media intensità (la cui presenza è normale ma forse in questo caso un po' eccessiva).
Il tutto accompagnato da una leggera sensazione piccante. La struttura è friabile e leggermente solubile.
Alla fine, delude un po' le nostre aspettative, e non lega neppure bene con L'Auro pedrottiano, data la sua amarezza che viene accentuata fin troppo dai tannini del vino, i quali lasciano la bocca sgradevolmente disisdratata.

lunedì 5 maggio 2014

Nonostante tutto Eatalieggiamo con Robiola ed Époisses.

Ad Eataly quel che di Eataly: alla fin fine, è grazie alla sua apertura domenicale che siamo riusciti ad acquistare - prima di prendere il treno da Torino - due ottimi formaggetti, che impesteranno per ore ed ore intere carrozze di Trenitalia per poi giungere ignari sulla nostra tavola.

Il primo è la Robiola di Roccaverano DOP prodotta dall'azienda agricola Agrilanga di Vesimo (nella Langa astigiana) e distribuito dal Caseificio dell'Alta Langa s.r.l.
E' ottenuto da solo latte di capra (in ossequio al metodo tradizionale), lavorato crudo ed intero. In particolare, il latte della munta serale viene addizionato con siero innesto aziendale e lasciato acidificare a 12-20°C per tutta la notte; al mattino viene unito al nuovo latte ed al caglio vaccino, per una lunga coagulazione acido-presamica a 18-22°C per circa 16-20 ore. La cagliata è quindi riposta negli stampi e lasciata a sgrondare per 24 ore, per poi essere salata (a secco) e trasferita, infine, nel locale di asciugatura con 15-18°C per un tempo minimo di 4 giorni.
Il nostro pezzo è fresco, con soli 6 giorni di vita.
Ha forma cilindrica irregolare di piccole dimensioni (il diametro sarà al massimo di 15 cm e l'altezza di 3 cm); forse a causa delle temperature con cui l'abiamo portata fino a casa, si presenta con una buccia paglierina, rugosa e molto umida, che si riesce ad asportare come una pellicola.
La pasta è invece del classico color avorio, anch'essa umida e morbida, con un'occhiatura rada e minuta.
Gli odori sono di intensità medio-leggera e rimandano per lo più al latte acido, al latte di capra ed alle mandorle. In bocca è delicata e di grande equilibrio tra le sensazioni dolci, acide e sapide, tutte di intensità media/medio-leggera, con una lievissima amarezza finale fruttata.
La consistenza al palato è morbida, umida e discretamente solubile.


Non riesce bene, però, il tentativo di abbinamento con la Bluebird bitter della Coniston Brewing Company (birrificio con sede in Coniston, nella contea di Cumbria).
Si tratta di una classica bitter inglese, rifermentata in bottiglia, con 3,6% ABV, ottenuta con malti Maris Otter e (poco) Crystal e con luppoli Challenger.
Di colore dorato, ha profumi essenziali e puliti di malto tostato, luppolo fresco e fiori d'arancio.
In bocca è snella e fresca, con bassa effervescenza, acidità medio-leggera e finale che vira sull'amaro (medio), sensazioni però equilibrate dalla lieve dolcezza maltata. 
La birra di suo sarebbe davvero gustosa e beverina ma - con il nostro cacio - ne risulta una certa disarmonia negli aromi ed un eccessivo amaro al palato. 


Viene poi il turno dell'Époisses AOC a marchio Fromi (in pratica prodotto localmente in Borgogna e poi venduto al gruppo Fromi, credo).
Sulle peculiarità produttive del formaggio, possiamo rimandare a quanto già scritto qui (lo avevamo infatti assaggiato poco tempo fa al Käsefestival, grazie ad Armando Gambera).
Il nostro pezzo ha una crosta rugosa tra il marrone ed il ramato, mentre la pasta è color paglierino carico, tenera e, col passare del tempo, sempre più colante.
Ha una notevole ricchezza olfattiva, dietro all'iniziale brusco impatto ammoniacale e animale (di stalla); affiorano infatti pian piano variegate note di latte cotto, di budino, di crema, di frutta secca tostata (nocciole, noci), di castagne arrostite e di verdura lessa, che compongono un insieme in continua evoluzione.
Il suo meglio lo dà però al palato, se si ha l'accortezza di mangiarlo prima che la temperatura lo sciolga oltre misura. Inizialmente prevale la dolcezza (media), accentuata peraltro dalla consistenza cremosa; questa è poi accostata e superata da una medio-elevata sapidità, la quale si sviluppa, assieme ad una leggera amarezza, in un lunghissimo finale. La sua struttura è cremosa, leggermente adesiva ed untuosa ma di ottima solubilità.
Non c'è che dire, masticarlo è un puro godimento dei sensi.


A ruota, si fa bere benissimo la Nut Brown Ale della Samuel Smith's (con sede a Tadcaster, nel North Yorkshire), birra scura dell'Inghilterra del Nord, ottenuta con l'aggiunta di zucchero di canna ed orzo tostato.
Ha infatti un colore tra l'ambrato scuro e la tonaca di frate, mentre la schiuma è piuttosto scarsa ed evanescente.
Profuma di noci, nocciole e mandorle tostate, di malto caramellato, con note di uva passa, legno tostato. Note erbacee non pervenute, forse a causa del suo lungo riposo in bottiglia (è da poco scaduto il termine minimo di conservazione).
Il corpo è medio, con una delicata effervescenza; si apre in un sapore dolce accompagnato da media acidità e poi superato da una grande sapidità rinfrescante, chiude infine con un leggero amaro da frutta secca e tostata.
Ci piace un sacco ed accompagna benone il nostro formaggio, aiutando peraltro la pulizia della bocca.

mercoledì 30 aprile 2014

Torino for dummies.

Torino - per quello che riusciamo a carpirne in due giorni di visita - appare una città molto ricca ed evoluta sotto il profilo culturale... e questo vale anche per la cultura enogastronomica!
Tanti sono gli spunti che ci offre per mangiare e bere (bene) e vale, quindi, la pena appuntarci i più significativi.

Al Bicerin

Cioccolatari.
Ne proviamo due, incappando - senza volerlo - nelle due facce della gastronomia torinese.
"Al bicerin" di piazza della Consolata è un locale defilato, antico, quasi un pezzo di antiquariato che bisogna andare a cercare; pacato e suggestivo lui, semplici e cordiali (ma taaanto flemmatiche) le due anziane signore che lo gestiscono.
Si respira un'atmosfera serena (e voluttuosa) tra i suoi tavolini all'aperto, affacciati sulla chiesa della Consolata, su due fette di torta e - appunto - su un bicchiere di "bicerin".
"Guido Gobino" è agli antipodi: locale rampante, ricercato, si mette in mostra lungo la "gastronomica" via Lagrange. E' il più famoso e chic di torino, ed i suoi prodotti - in effetti - sono davvero ottimi.
Un po' fastidioso però l'atteggiamento tra lo smorto e lo snob dei suoi commessi.

Eataly Lingotto.
Ci ha lasciato con davvero con l'amaro in bocca. La vivibilità dell'ambiente è scarsa, di certo peggiore rispetto a quella di tanti "normali" supermercati: quasi ovunque gli spazi sono strettissimi e costringono a file continue e ad un costante movimento per lasciar passare il cliente successivo; con l'eccezione del reparto enoteca, bisogna fare fatica per soffermarsi sui prodotti esposti, peggio che ai "mercati delle pezze".
Anche i ristorantini sono deludenti: a parte la povertà dell'offerta di bevande (sembra un franchising Fontanafredda, Baladin-Lurisia e Peroni), ci sorprende proprio il mediocre livello qualitativo.
E questo con riguardo sia alle preparazioni (ci servono una lasagna di verdure scotta che fa rimpiangere la mensa universitaria), sia - e soprattutto - alla presentazione dei prodotti da parte del personale: per dire, neppure chiedendo espressamente chiarimenti alle commesse riusciamo a capire la provenienza dei formaggi che ci hanno appena messo nel piatto.
Insomma, ci aspettavamo un luogo dove "conoscere" il cibo ma abbiamo trovato solo un non-luogo dove "consumarlo"; ci aspettavamo un luogo di diffusione della cultura gastronomica, ma abbiamo trovato solo una sorta di supermarket per "ricchi".
Detto questo, non significa che ne usciamo a mani vuote... ehm...
(Inoltre il loro pane a pasta madre è buonissimo!)

Open Baladin.
Tutt'altra esaltazione ci mette in corpo la nuova birreria Open Baladin, accoccolata al centro del largo piazzale Valdo Fusi.
Che dire: esteticamente curatissimo ed allegro come nel tipico stile "mussiano", quasi barocco nell'ostentazione delle bottiglie ma senza appesantirsi e, soprattutto, ricco di contenuti: 40 spine di birre artigianali italiane, cucina "fast" di ottima qualità, personale - una volta tanto! - preparatissimo (e svelto).
Un vero paradiso per noi gente di paese!

Open Baladin

Sotto la Mole.
E' l'unico ristorante che approcciamo nel nostro viaggio, situato - come precisa il nome - esattamente sotto la Mole.
Il locale non è molto grande e l'arredamento, piuttosto essenziale, tende al retrò. Il titolare è una persona gentile ed affabile, e tratta bene pure noi che siamo quelli vestiti peggio.
La lista dei vini si fa apprezzare per l'ampia scelta, anche al bicchiere e al mezzo litro (il che ci permette di provare un po' qua e un po' là). Avremmo gradito però, per orientarci, qualche spiegazione in più da parte della cameriera... ma non si può avere tutto.
In ogni caso, capitiamo benissimo con il Roero Arneis di Filippo Gallino (azienda in quel di Canale), che odora di fiori bianchi, frutta esotica e pietra ed ha un gusto equilibrato e gustosamente sapido.
I piatti offerti, infine, non sono tanti ma ci sembrano tutti di ottimo livello (tranne il vitello tonnato...).
Da leccarsi i baffi, in particolare, il mio antipasto di Robiola di Roccaverano condita con aceto e nocciole ed accompagnata da misticanza di stagione ed il mio primo di tajarin con ragù bianco di faraona e porri, che danno (una volta tanto) la biada ai piatti scelti da quell'altra. Ah!