lunedì 26 agosto 2013

La lipolisi colpisce ancora.

Errore dopo errore, prima o poi impareremo a gestire il formaggio. Intanto, anche stavolta il pezzo più "pregiato" del nostro bottino vacanziero è stato drasticamente alterato dall'idrolisi di grassi e proteine. E vabbè...
Parliamo ovviamente del Pecorino di Carmasciano del caseificio D'Apolito - Moscillo (Sant'Angelo dei Lombardi), cacio prodotto soltanto in una piccola area dell'Alta Irpinia, corrispondente al territorio comunale di Guardia Lombardi e Rocca San Felice, nonché a parte dei comuni di Sant'Angelo dei Lombardi, Torella dei Lombardi, Morra De Sanctis e Frigento. Si tratta di una zona influenzata dalla presenza della "Mefite", fenomeno di vulcanesimo minore che determina emissioni di anidride carbonica ed anidride solforosa; queste ultime, diffondendosi per i pascoli circostanti, pare che incidano anche sulle caratteristiche organolettiche del formaggio.
Il latte impiegato è quello delle pecore dell'area, tra cui la laticauda (denominata così per la sua coda grassa e "larga" alla base). L'azienda Moscillo è costituita invece da 300 esemplari meticci, frutto di un incrocio tra la laticauda ed un'altra razza più produttiva.
In lattazione sono all'incirca 100 pecore, allevate al pascolo con un'integrazione alimentare di fieno, mais ed orzo.
Due sono le mungiture giornaliere; il latte - se abbiamo capito bene - viene refrigerato a 4°C e lavorato uno o due giorni dopo, intero e crudo. La coagulazione avviene grazie al caglio liquido di vitello, aggiunto dopo che la temperatura è stata portata a 40°C. Per il riscaldamento è impiegata una caldaia d'acciaio con un doppio fondo, nel quale scorre l'acqua calda.
Trascorsa 1 ora, il coagulo è rotto con lo spino in granuli delle dimensioni di chicchi di riso/mais. La cagliata viene poi estratta e messa in fascelle di plastica, con una leggera pressatura a mano, alla quale segue una stufatura a 38-40°C per più di 2 ore, durante le quali la forma subisce 3 rivoltamenti.
La salatura è effettuata a secco, e viene ripetuta ogni 15 giorni per i primi 3 mesi di stagionatura.
Dopo questo primo periodo di maturazione, la crosta è trattata con olio (trattamento ripetuto ad intervali di 2-3 mesi).
Le condizioni di stagionatura si differenziano a seconda del tempo di permanenza nelle celle: i formaggi destinati a stagionature sino a 6 mesi, infatti, sono conservati a 15-16°C con umidità relativa del 70%; invece, le forme destinate a stagionature superiori sono tenute a 18-19°C con una maggiore umidità.


Abbiamo portato a casa tre porzioni di diversa stagionatura, conservati sottovuoto nel frigorifero per circa 3 settimane.
Il primo pezzo aperto ha maturato per circa 7 mesi.
Ha forma cilindrica di medio-piccole dimensioni, con facce concave e scalzo un po' convesso. La crosta è canestrata, dura e rigida, ma anche umida, di colore ocra non uniforme, chiazzato di marrone.
Neppure la pasta ha un colorito omogeneo: sul fondo giallo paglierino non troppo carico, si distinguono leggere macchie rossastre e marroni. Il sottocrosta non è granché intenso ma raggiunge un consistente spessore.
Diffusa con una certa uniformità, è presente una piccola occhiatura irregolare. Per il resto, la pasta ha al tatto una struttura dura, rigida, untuosa.
Gli odori rivelano subito l'intensità dei processi idrolitici subiti dal formaggio: le note animali di latte di pecora, che ci ricordiamo dall'assaggio presso il caseificio, sono oramai quasi del tutto coperte da forti odori evolutivi: un sacco di funghi, il brodo di carne, il dado ed il tostato leggero; burro cotto e fieno rimangono invece ai margini.
In bocca è di media dolcezza e medio-leggera acidità, con l'elevatissima sapidità a farla da padrone, assieme a sensazioni piccanti, brucianti e metalliche. Tra gli aromi si aggiunge un netto odore di cuoio.
E' unto, friabile, discretamente solubile.
Un assaggio dominato dalle sensazioni gustative e tattili, cariche e persistenti; i profumi tendono a scomparire con maggior rapidità.

Il secondo pezzo una ha stagionatura di circa 12 mesi.
Rispetto al precedente, la forma è leggermente più piccola, mentre le facce sono piane. La tonalità della crosta varia dall'ocra scuro al marrone - e quindi è più scura - al contrario della pasta, che tende all'avorio (macchiato) e dunque è più chiara.
Il sottocrosta è intenso e di medio-largo spessore. L'occhiatura di medie dimensioni, irregolare, uniforme.
La struttura della pasta è semidura, rigida ed appena-appena deformabile.
Avvicinato al naso, sa di funghi, di sottobosco, di sudore, di tostatura e un po' di spezie (tipo noce moscata) e di ammoniaca. In bocca, inoltre, si avvertono meglio le note di latte cotto, di burro fuso, di ammoniaca e di glutammato.
L'impatto con il palato è un po' meno traumatico: comincia con una media dolcezza, seguita da una leggera acidità e, infine, da una sapidità medio-elevata, accompagnata da una lieve piccantezza. E' anch'esso untuoso, oltre che di media solubilità e granuloso.
Sia i profumi che i sapori sono peraltro molto persistenti.


L'accompagnamento è un Irpinia Campi Taurasini DOC Macrì 2007, prelevato dalla cantina Russo di Taurasi.
Il vitigno è l'Aglianico, coltivato sui terreni argillosi e calcarei della "Carazita"; per ottenere il nostro vino, sono state utilizzate le piante più giovani dei vigneti, vendemmiate a novembre. Le rese si arrestano a 70 q/ha.
La fermentazione e la lunga macerazione sulle bucce sono avvenute in acciaio; il vino ha maturato poi in acciaio e, in seguito, in botti di legno, con successivo riposo in bottiglia.
Nel bicchiere, si presenta color rosso rubino con riflessi granati. I profumi sono soprattutto fruttati e speziati: sentiamo prugne, ciliegie e more, tanto mature da sfociare nella marmellata, poi vaniglia e leggeri sentori di viola e, infine, note tostate, di tabacco e caffè; anche l'alcol è abbastanza percepibile.
In bocca - nonostante i suoi 6 anni - si mostra subito giovane e fresco, con astringenza ed acidità spiccate, oltre ad una discreta sapidità; a fare da contraltare, ci sono comunque la leggera dolcezza, la struttura e la morbidezza, oltre ad un calore quasi bruciante (il 14% di alc./vol. si sente, eccome).
Nel complesso, ci piace nel suo vigore, e si accosta abbastanza bene con il carmasciano di 12 mesi, fondendosi con i suoi profumi - anch'essi parecchio intensi - e dando una bella ripulita al palato grazie all'alcol, ai tannini ed all'acidità.

giovedì 22 agosto 2013

Berlineer Weisse, Berliner Weisse! Berlineer Weisse, Berliner Weisse!

Presso il ristorante-birroteca Sangrillà (Fiera di Primiero), finalmente troviamo - e doverosamente assaggiamo - una vera (vera?) Berliner Weisse.


Si tratta della Berliner Kindl Weisse prodotta dalla Berliner-Kindl-Schultheiss-Brauerei di Berlino (di proprietà dell'Oetker Group). 
Si caratterizza - in ossequio allo stile birrario - per l'impiego di malti d'orzo e di frumento, la bassa gradazione alcolica (3% ABV) e la smaccata acidità, determinata dalle fermentazioni del lactobacillus.
Il colore è paglierino scarico e limpido, con riflessi dorati; la schiuma è bianca abbondante ma non molto persistente.
Ha profumi di malto e frumento, con leggeri sentori erbacei, agrumati e di panna acida.
In bocca - dove le note di panna acida si fanno più nette - entra con una leggera dolcezza ed un corpo medio-leggero, seguite da un'asprezza intensa e persistente, che si protrae anche oltre la durata dell'amaro (leggero).
Certamente originale e gradevole, anche se non spicca né per complessità, né per armonia, né per capacità di dissetare. Da riprovare con altri produttori.

martedì 20 agosto 2013

Un Diamante è per sempre... finché non stappi.

Non ci capita spesso di scolarci un'intera bottiglia in una sola serata (è per questo che abbiamo speso una quindicina d'euro in tappi con aspiratore d'aria - che non funzionano). Stasera è successo, quasisenza che ce ne rendessimo conto. Credo questa sia la migliore presentazione possibile per un vino.
Qualche sospetto che sarebbe finita così, in realtà, c'era già da prima, perché il Fiano di Avellino DOCG Vigna della Congregazione 2009 di Villa Diamante l'avevamo assaggiato-ammirato solo poche settimane orsono, presso la casa-azienda di Antoine Gaita e di sua moglie Diamante, con gli stessi smodati esiti.


Per dire qualcosa d'introduttivo, l'uva è coltivata in regime biologico, su particelle sparpagliate per la collina di Montefredane (per una superficie complessiva di circa 3,5 ha). I terreni sono a circa 450 m s.l.m. e sono costituiti da rocce ed argilla; il sistema di allevamento è a controspalliera. La vinificazione è stata condotta in acciaio, caratterizzata da una prolungata permanenza sulle fecce.
Il vino ha colore giallo paglierino luminoso, di media intensità. I profumi compongono una complessa ed intrigante tessitura: il primo impatto, a vino fermo, è floreale, minerale ed aromatico; agitando, subentra innanzitutto una zaffata di pietra; poi, si aggiungono anche la frutta (albicocca?) matura, la frutta secca grassa e secca (tipo mandorle) e sentori più acerbi e freschi: insomma, di tutto di più.
In bocca sono molto evidenti (e di lunga persistenza) le note di albicocca matura, di agrumi, di brioche, di frutta acerba e di vegetale fresco, senza dimenticare la mineralità. L'attacco al palato è morbido e caldo (l'alc. vol. è comunque al 13,5%) e, insieme, di sapidità medio-elevata; gradualmente, man mano che il bruciore dell'alcol si fa (delicatamente) avvertire, interviene un'acidità sottile ma incisiva e molto persistente; la chiusura è amarognola e, assieme agli altri sapori e profumi, regala un finale lunghissimo.

Un vino davvero entusiasmante, che arricchisce anche la trota, l'insalatina ed il pecorino bagnolese (Salvatore Di Capua) della nostra cena, con una buona corrispondenza aromatica ed una piacevole sensazione di pulizia in bocca.

domenica 18 agosto 2013

Ritornati ncopp', raccogliamo i primi frutti...

Per quanto le vacanze siano state intense, il periodo a venire si profila altrettanto impegnativo, tanti sono i prodotti che abbiamo portato a casa e che, adesso, dovremo diligentemente assaggiare.

Cominciamo oggi scartando il Pecorino bagnolese della piccola impresa Salvatore Di Capua, di Bagnoli Irpino (AV). Ottenuto da pecore di razza bagnolese e meticce, allevate nei dintorni di Bagnoli e, precisamente, sul Piano Laceno, un bellissimo altipiano verdeggiante collocato a più di 1000 metri di altitudine, circondato da montagne ed adibito per lo più al pascolo (ed al turismo).
Come ci raccontano due pastori, l'antico soprannome locale dato alla bagnolese è "malvizza" (=malvagia?), per via delle numerose macchie nere, piccole ed irregolari, presenti sulla faccia e sulle orecchie di quest'animale.


Comunque, la famiglia Di Capua ha al pascolo circa 350 pecore, il cui latte viene refrigerato e lavorato la mattina successiva a quella della munta.
Il latte - intero e crudo - è riscaldato a 40°C e fatto coagulare per soli 15 minuti con l'aggiunta di caglio vaccino liquido. La cagliata viene successivamente rotta a dimensioni abbastanza piccole e riposta in canestri di vimini, con una leggera pressatura manuale. Dopo la salatura, effettuata a secco, il cacio è lasciato a maturare ad una temperatura di circa 20°C per un periodo variabile (il nostro pezzo avrà un mesetto), con periodici lavaggi della superficie con acqua calda.
La forma nelle nostre mani è cilindrica, a facce piane e scalzo convesso; la crosta è canestrata, secca ed elastica, di colore non uniforme (paglierino con aree ocra).
La pasta, a dire il vero, non si presenta benissimo, sia per il colore non uniforme (paglierino scarico con una zona interna di tono più scuro), sia per l'occhiatura inaspettatamente diffusa, di forma irregolare e medio grande. Il sottocrosta è sottile, mentre la struttura al tatto è semidura, secca, abbastanza elastica.
Le iniziali perplessità non trovano però alcun riscontro al naso ed in bocca, perché il cacio risulta diretto ed intenso, magari non particolarmente fine ma interessante e piacevolissimo. L'odore è di intensità medio-elevata e richiama il latte ed il burro cotti, le erbe aromatiche, le note animali di pecora e, in secondo piano, sentori floreali.
Al palato, inizialmente, è in quilibrio tra dolcezza e sapidità (entrambe di intensità media), poi la sensazione salata persiste e si intensifica gradualmente, finendo per dominare l'assaggio; l'acidità rimane invece su intensità medio-leggere, ed è presente anche una sottile piccantezza. Gli aromi ricordano quasi le olive verdi campane assieme al burro: a parole può sembrare un incontro spiacevole, invece è veramente alletante. La pasta sembra elastica, secca, grumosa e non molto solubile. Leggermente più intensi i profumi animali e vegetali. La persistenza olfattiva e gustativa è medio-elevata.


Segue un pezzo di Caciocavallo podolico del caseificio La Torretta (Castelnuovo di Conza), alla cui azienda abbiamo avuto anche il piacere di fare visita. Il titolare, Giovanni Cifrodelli, possiede vacche podoliche e meticce (circa 150 esemplari di cui 80 in lattazione), che alleva al pascolo con una piccola integrazione alimentare di fieno e cereali.
Il latte - particolarmente ricco di caseina - viene munto una volta al giorno, di mattina, ed immediatamente portato nella caldaia a fiamma elettrica. Alla temperatura di 38°C viene aggiunto il caglio di agnello e, ben 60 minuti dopo, il coagulo è rotto con "'o ruotolo" in granuli delle dimensioni di chicchi di mais.
Segue un breve riposo nel siero (per favorire la sineresi) e, quindi, una seconda rottura della cagliata. 
La maturazione dura circa 2-4 ore, finché la massa, avendo raggiunto la giusta plasticità, viene sminuzzata a strisce e sottoposta alla filatura.
Quest'ultima fase - a cui riusciamo ad assistere dal vivo, uscendo una volta tanto dalla nostra dimensione "scolastica" - è svolta manualmente in acqua bollente a 90°C (mani temprate come l'acciaio!). Si ottiene un filamento lungo e sottile, che viene porzionato in base al peso desiderato ed attorcigliato come un gomitolo.
La parte più impressionante della lavorazione rimane però la successiva formatura, durante la quale ciascun pezzo di cagliata, plastico ma già molto resistente, viene laboriosamente impastato ed involto in se stesso (così da chiudere ogni porta all'ossigeno); poi, lentamente, aiutandosi ogni caldo con l'acqua calda, l'impasto viene chiuso a sacco ed arrotondato, fino a fargli assumere la caratteristica forma a pera con testina. Sembra quasi di vedere all'opera un vasaio con la terracotta (non che io abbia mai visto un vasaio, ovviamente).
Per concludere, il cacio è riposto, prima, in una bacinella d'acqua fredda e, poi, in una vasca d'acciaio d'acqua, sempre in acqua ma con il culo dentro una semisfera d'acciaio (per fargli mantenere la forma senza doverlo continuamente smuovere a mano).
I pezzi vengono, infine, legati a coppie con una corda ed appesi a cavallo di un bastone, nella stessa sala di lavorazione, dove rimarranno per 15 giorni alla temperatura di circa 24°C. La stagionatura comincerà soltanto dopo, in cantina, a temperature di 16-18°C ed umidità dell'80%, per periodi che possono raggiungere anche i 12 mesi.


Il nostro cacio, dalla tipica forma irregolare a pera con testina, ha crosta elastica, dura, liscia ed ammuffita, di colore paglierino intenso con macchie bianche, verdi e rosse.
La pasta, anch'essa di colore paglierino intenso, presenta un sottoscrosta leggero e sottile ed una piccola occhiatura irregolare; la sua struttura è elastica, semidura ed untuosa.
Ha profumi di media intensità, con netta prevalenza di burro cotto ma anche note vegetali di fieno, frutta tostata ed un accenno di brodo di carne. Tra i sapori la dolcezza la fa da padrone, con leggera acidità, sapidità medio-leggera e una lieve amarezza finale, oltre ad una leggerissima sensazione piccante. Al palato è semiduro, leggermente grumoso, deformabile e di media solubilità. La persistenza è media.


Ci beviamo su, per restare in Campania, un Paestum IGT Paestum 2012 della cantina Sangiovanni, splendida tenuta con splendidi vigneti in splendida posizione costiera a Punta Tresino (Castellabate - SA). Ed anche questo, nella degustazione, ha la sua influenza.
L'uva è fiano all'85% e, per il resto, trebbiano (10%) e greco (5%), allevata a spalliera e guyot in un vigneto di meno di 2 ha, posto a 60 m.l.m. Fermentazione e maturazione sono svolte in acciaio.
Il vino si presenta color paglierino abbastanza carico, con un intenso e ricco impatto olfattivo di zolfo e pietra, seguito da note vegetali grasse, erbe aromatiche tipo salvia e origano, agrumi e (per me ma non per la socia) mandorle, con leggeri sentori floreali. In bocca si conferma intenso nei profumi e nei sapori, con la morbidezza ed il calore di fondo (12,5% alcol che si sentono) equilibrati e dominati dalla spiccata acidità e da una sapidità media, leggero finale amaro e medio corpo. E' un vino al contempo grasso, vivo e lungo. Molto gustoso!
Si abbina bene con il pecorino bagnolese, la cui sapidità è bilanciata dalla morbidezza del vino, mentre la dolcezza del cacio si contrappongono l'acidità e la sapidità del vino; entrambi i prodotti peraltro concordano per intensità e persistenza, oltre ad avere una certa continuità di profumi.
Inopinatamente, invece, il caciocavallo risulta sovrastato dal vino.

giovedì 15 agosto 2013

Casa Barlotti.

Gironzolando per il Cilento - ma qualcunA non avrebbe dovuto redigerne la cronaca? - non potevamo certo mancare una visita alla mozzarella di bufala campana DOP di Paestum! Così, eccoci da Barlotti, caseificio tra i più grandi, peraltro ben attrezzato per l'accoglienza del pubblico (peccato che questo "attrezzarsi" in modo professionale tolga sempre un po' di genuinità, di fascino e persino di contenuti all'esperienza della visita, diversamente da quanto accade negli incontri diretti con il produttore; questo è inevitabile, è vero, e persino imprescindibile nelle aziende di grosse dimensioni, però costringe il visitatore a vestire i panni dell'"americano" in visita guidata, il che è pure un po' frustrante...).

L'azienda, comunque, comprende 300 bufale, di cui 150 in lattazione, alimentate con fieno, paglia ed insilato di mais. Gli animali sono munti due volte al giorno nell'apposita sala (l'unica fase produttiva a cui riusciamo ad assistere, a causa del nostro ritardo, è proprio la mungitura, ma ne vale proprio la pena!).


Per la lavorazione, il latte viene addizionato con siero-innesto, poi, quando la temperatura è stata innalzata a 36-38°C, viene aggiunto il caglio di capretto (prodotto in laboratorio).
Dopo la coagulazione e la rottura, la cagliata matura per 3-4 ore nel siero per l'acidificazione. Si procede quindi alla filatura manuale, con l'aggiunta di acqua bollente a 90-95°C. La formatura, invece, è meccanizzata, tranne che per le forme di peso superiore ai 500 g. La salatura, infine, è effettuata in salamoia.
Una mozzarella riusciamo anche ad ammoccarcela lì, presso il ristorante interno all'azienda.
Il pezzo ha forma sferica irregolare, con pelle color avorio, liscia, elastica ed umida, senza i segni della mozzatura manuale; anche la pasta ha un omogeneo color avorio e presenta struttura elastica, morbida, umida e sfogliata; al naso prevalgono (troppo, forse) il latte e burro freschi, mentre è più leggero il tipico odore animal-vegetale (c.d. muschiato); un po' sullo sfondo sono le note di siero ed i sentori di fieno e d'insilato (ma potrebbe trattarsi di suggestione, dato che quest'odore ci ha punto fino ad un momento prima).
In bocca domina la dolcezza medio-elevata, seguita da una media acidità e da una sapidità medio-leggera; l'elasticità media e la bassa solubilità non sono apprezzatissime ma sono tipiche del prodotto appena fatto. Nella parte interna, infine, si nota una certa secchezza rispetto al resto della pasta.

Il cacio trova peraltro buona compagnia in una bottiglia di Paestum IGT Fiano Pian di Stio 2011 della cantina San Salvatore, con sede in Stio (SA), nell'entroterra cilentano. Le uve sono coltivate a 500 metri s.l.m., sopra un terreno argilloso-calcareo, con allevamento a spalliera. La vinificazione, interamente in acciaio, prevede una macerazione a freddo per 4 ore, una fermentazione di 15 giorni ed 10 mesi di maturazione.
E' un vino dai profumi intensamente minerali, oltre che di frutta (soprattutto) secca; in bocca, pur caldo (ha pur sempre il 13% alc. vol.), è molto acido e sapido e non eccede in morbidezza: risulta vivissimo e fresco ch'è un piacere.

sabato 3 agosto 2013

Rassegna Müller Thurgau. Preferenze telegrafiche.

Non c'è tempo! Possiamo permetterci solo qualche nota sui vini di maggior godimento della giornata. (Terremo per noi le critiche verso la sommelier).

Il preferito è il Trentino DOC M.T. Vigna Rio Romini 2012 Vivallis (Nogaredo), da uve provenienti dalla Vallarsa (loc. Romini): di colore paglierino scarico, ha profumi soprattutto floreari, mentre rimangono in secondo piano gli agrumi e la componente vegetale aromatica; in bocca è caldo e di sapori mediamente intensi, in gioco tra sapidità ed acidità.

Alto gradimento anche per il cembrano Trentino DOC M.T. "Pietramontis" 2012 Villa Corniole (Verla di Giovo), dal colore paglierino scarico, con profumi minerali, vegetali "grassi" e di erbe aromatiche, oltre a sentori di agrumi; in bocca è relativamente caldo e morbido, con discreta acidità ma sapidità in primo piano (pur non elevata); di medio corpo, è piacevolmente equilibrato con un finale leggermente amaro.

Molto buono poi il tedesco M.T. 2012 Frank&Frei (Grosswallstadt, sul confine occidentale della Baviera) ha una variegato profumo fruttato di pere, agrumi e frutta esotica, accompagnato da note floreali ed aromatiche; presenta una leggera dolcezza ma il sapore prevalente rimane quello acido (medio), seguito dalla sapidità (medio-leggera); caldo e morbido, è nel complesso piacevolmente equilibrato.

Merita una menzione, infine, il Trentino DOC M.T. 2012 Fondazione E. Mach (San Michele A/A), da uva coltivata a Faedo: dal colore paglierino-verdolino, al naso mostra una notevole intensità, con profumi foreali, minerali e di frutta secca, oltre a note di pera e frutta esotica (ananas) (la Socia ci sente anche la liquirizia); in bocca prevale l'acidità (medio alta), seguita da una media sapidità; le durezze sono bilanciate da una grande morbidezza che lambisce l'untuosità.
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La Socia aggiunge, con fierezza, di aver messo in difficoltà l'esperto-enologo-di-turno con un timido (ma ben piazzato!) parere su un Gewürztraminer! Dopo tutto questo degustare che forse abbia imparato qualcosa?!