lunedì 23 settembre 2013

Cacioricotta e Nosiola: ringo boyz.

Con impegno e dedizione, siamo riusciti a far fuori tutti i formaggi portati a casa dalla Campania. Da scartare, rimaneva solo il Cacioricotta del Cilento prodotto da L'Arenaro di Maria Carmela di Feo (Acquavella): detto, fatto.
Si tratta - breve intermezzo pseudo-tecnico - di un formaggio a latte caprino molto particolare, ottenuto con una coagulazione mista, in parte termica (tipica della ricotta) ed in parte presamica. Nel suo coagulo, quindi, sono presenti sia caseine che sieroproteine.
La signora Di Feo adopera, crudo ed intero, il latte provienente da una razza caprina autoctona, la c.d. cilentana; il quale viene refrigerato a circa 6°C e lavorato due o tre giorni dopo la raccolta.
La caseificazione inizia in una caldaia d'acciaio a doppio fondo, riscaldata dall'acqua calda che scorre nell'intercapedine. Qui, la temperatura è elevata a 95°C per consentire il recupero delle sieroproteine.
Poi il latte viene raffreddato a 40°C, si aggiunge il caglio liquido di vitello e si attendono circa 30 minuti per la coagulazione.
La cagliata è pronta quando il "ruotolo" (un mestolo di legno impiegato nella lavorazione), inserito in senso verticale nella cagliata, galleggia. Con lo stesso ruotolo si provvede alla rottura del coagulo a granuli di medio-piccole dimensioni.
A seguito di una breve sosta sotto siero, durante la quale la cagliata si deposita sul fondo della caldaia, la parte liquida viene estratta manualmente, con un secchio.
La cagliata viene poi raccolta direttamente nelle fascelle di plastica, utilizzando queste ultime a mo' di secchio, e l'unica pressatura viene effettuata ponendo le fascelle una sull'altra (tradizionalmente era invece prevista una pressatura manuale accompagnata dalla frugatura, ma pare che la clientela gradisse una pasta meno secca...).
La maturazione avviene a 12°C, con umidità relativa attorno al 60-70%, per un periodo variabile da una settimana a due mesi. Durante la stagionatura, infine, la forma è lavata con acqua ogni 2-3 giorni per ripulirla dalle muffe bianche superficiali.

La nostra forma - con un mesetto di stagionatura e qualche settimana sottovuoto - è cilindrica, di piccole dimensioni, con un peso di circa 350 g; le facce sono piane e lo scalzo leggermente convesso.
La forma sembra priva di crosta; comunque, la superficie è bianca, umida, liscia e leggermente elastica.
La pasta, anch'essa bianca, è semidura, tendenzialmente rigida (la deformabilità è appena accennata), umida e compatta, con odori di scarsa intensità riconducibili al siero, al latte acido ed allo yogurt, ed una leggera nota animale (tipica del latte di capra).
In bocca l'intensità aumenta, ma non troppo, e l'odore di capra si fa più marcato, accompagnato da sentori tra il cartone ed il legno. Il sapore, inizialmente dolce di media intensità, vira subito sull'acidità (media) e la sapidità medio-elevata, quest'ultima senz'altro dominante, con un lieve finale amaro. Al palato è secco, molto solubile ed un po' grumoso. Rimangono per lungo tempo avvertibili sia i profumi acidi, sia le note sapide.


Malgrado la Collega si dissoci, secondo me l'abbinamento con il VdD IGT Nosiola 2011 Cesconi (Lavis) si lascia apprezzare.
Il vino si ottiene dall'uva coltivata a Pressano, a 450 m. s.l.m., su terreni derivanti da rocce arenarie; le viti hanno un'età variabile tra i 50 ed i 100 anni (alcune quindi sono a piede franco). Viene fatto fermentare in acciaio e, poi, matura in botte di acacia per circa 8 mesi.
Preso per sé - e su questo siamo d'accordo - è un gran bel prodotto, già dall'aspetto. Il colore è paglierino, non molto carico ma luminoso e con riflessi dorati.
Il naso, di media intensità, è abbastanza ricco ed intrigante: i primi odori, a vino fermo, sono di nocciola e crema pasticciera; basta qualche movimento, però, per liberare anche le note di vanillina, di limone, di fiori (non meglio definiti, forse acacia), di burro, di erba secca e di vegetale "grasso", tipo semi. In bocca forse un po' di varietà si perde a favore della nocciola.
In bocca è di medio corpo, molto morbido e dall'alcolicità percepibile (12% alc.) ma, contemporaneamente, carico e vicace, grazie all'acidità sottile e persistente ed all'intensa sapidità, con una lieve amarezza finale.
Come accennato, il vino pare intrecciarsi bene con il cacio, bilanciandone le durezze e completandone il quadro aromatico; a tutto concedere (a quell'Altra), la bevanda è un po' meno intensa e persistente e, dopo, un po' di lotta, la bocca torna ad essere dominata dal formaggio.

domenica 15 settembre 2013

Bagnolese sì, Bagnolese no?

Altra puntata di "Back from Irpinia". Con il Pecorino Bagnolese del caseificio Maria Nigro (anche denominato "Fabio Nigro" o "fu Salvatore Nigro") di Bagnoli Irpino.
Sulla tipologia di formaggio si è già detto qui. A dirla tutta, non siamo così sicuri che il latte utilizzato provenga dalla razza bagnolese, perché alla titolare non lo abbiamo chiesto esplicitamente - dandolo per scontato - ma dopo, sul Piano Laceno, scambiando due chiacchiere con dei pastori, è venuto candidamente fuori che "ah, ma quell'azienda ha pecore di un'altra razza". Ah però.
In ogni caso, i signori Nigro allevano circa 1000 pecore (sperando almeno che siano pecore, a questo punto... [è una battuta, eh]), il cui latte viene conservato a 4°C, poi riscaldato a 36-37°C ed addizionato con caglio vaccino.
In 30 minuti si forma il coagulo, che viene rotto, estratto e - con una leggera pressatura - immesso nelle fascere di plastica forata; i canestri di vimini sono impiegati infatti solo per le forme particolarmente grandi.
A seguito della salatura a secco, le forme vengono lasciate a maturare in cantine non particolarmente umide a 12°C di temperatura; qui rimarranno per un periodo massimo di 9 mesi, con periodici lavaggi mediante acqua.

Il nostro pezzo avrà circa 3 mesi di stagionatura, oltre a 2 settimane di conservazione in frigo alla bell'e meglio.
Si presenta di forma regolare cilindrica, con la faccia superiore un po' concava.
La crosta è di colore non uniforme: di fondo paglierino scarico e, nelle aree centrali delle facce e dello scalzo, bianca di muffa, con qualche chiazzetta verde. E' inoltre canestrata, dura, elastica e secca.
L'occhiatura è uniforme e diffusissima, di dimensioni tendenzialmente piccole e medie e forma irregolare.
E' anche presente un sottile-medio sottoscrosta.
La pasta non ha un aspetto favoloso, essendo così chiazzata da non permettere di capire se il colore di fondo sia l'avorio o il paglierino scarico: non sappiamo se sia un accenno di gessosità, però come quest'ultima si accompagna ad una certa friabilità della pasta ed a note aromatiche acidule.
Per il resto, la struttura al tatto è semidura, secca e leggermente elastica (però con la già citata tendenza a rompersi già dopo una leggera piegatura).
I profumi ed i sapori del cacio non sono particolarmente intensi (tanto più, rispetto al precedente bagnolese assaggiato). Si sente - leggero - l'odore animale tipico del latte di pecora, assieme a profumi di latte acidulo ed erbe fresche e ad un lieve sentore di limone.
Più o meno gli aromi corrispondono, salvo l'intensificarsi del profumo acido (di latte e pure di panna) e dei sentori di limone. Col passare del tempo, i sentori di limone spariranno, tanto inspiegabilmente come sono arrivati.
Le sensazioni sulla lingua sono abbastanza equilibrate, con dolcezza ed acidità su livelli medi e la sapidità medio-elevata, che prevale ma non svetta rispetto al resto. La struttura rimane secca e tendenzialmente friabile, nonché discretamente solubile ed un po' grumosa.