lunedì 2 dicembre 2013

Taurasi Riserva "Primum" 2004 Guastaferro.

Personalmente, dobbiamo moltissimo ad Antoine Gaita. Quest'uomo, infatti, non ci ha soltanto iniziato ad uno dei migliori vini mai assaggiati in vita nostra (cioè al suo Fiano Vigna della Congregazione) ma ci ha, inoltre, guidato alla scoperta del vino Taurasi, indirizzandoci verso due piccoli grandi produttori irpini.
Uno di questi è Raffaele Guastaferro, giovane titolare dell'omonima cantina e proprietario di un vigneto di circa 10 ha in contrada Piano d'Angelo. Le sue viti appartengono ad un'altra epoca: vecchie anche di 150 anni, a piede franco, allevate a mo' di festoni con l'antico sistema dell'alberata taurasina.


Il suo piccolo capolavoro è il Taurasi DOCG "Primum", che noi proviamo dell'annata 2004.
L'uva aglianico, vendemmiata tardivamente come d'uso, è stata fatta fermentare in acciaio ed ha completato la sua maturazione all'incirca in 4 anni, in tonneau, poi in barrique di rovere francese e, infine, in bottiglia

Il vino si presenta di un rosso granato intenso, con riflessi purpurei.
Al naso è intenso, ricco e complesso: in primo piano ci sono profumi fruttati di amarene sotto spirito, prugne mature ma anche lievi note più fresche, come di frutti di bosco, e vaghi sentori floreali; dietro, un amalgama di odori più profondi in cui s'intrecciano spezie (vaniglia ma non solo), cuoio, tabacco, carruba e note medicinali.
In bocca è polposo e fruttato, strutturato ma, soprattutto, dritto e penetrante, con una notevole freschezza acida ed una tannicità di tutto rispetto (sottile ma evidente e persistenti), accompagnate dalla morbidezza alcolica che sfocia in sensazioni brucianti. Tutte le sensazioni tattili, per quanto nette, non raggiungono livelli d'intensità aggressivi e si presentano in modo fine ed armoniosamente legato.
Ne risulta un grande vino, che continua ad allettare di bicchiere in bicchiere.
Detto questo, siamo adesso curiosissimi di assaggiare il frutto dell'annata 2012, dato che la guida enologica della cantina è passata, da poco, proprio ad Antoine Gaita!

giovedì 21 novembre 2013

Merano Wine Festival II - la riscossa.

Tornare al Merano Wine Festival con i nostri portabicchieri da collo è impagabile.
Poi - sì - il secondo anno significa anche maggiore consapevolezza, minor timore, un bagaglio di conoscenze nostre un po' più ricco ecc. Ma noi potremmo anche andarcene a casa dopo soli cinque minuti - passati ad inserire ed estrarre il bicchiere dal portabicchiere - e saremmo comunque contenti.

Con questo spirito, iniziamo subito le danze in questa ricca e sfarzosa manifestazione d'altri tempi, dirigendoci a Culinaria.
L'obiettivo sarebbe quello di piluccare giusto qualcosina, per preparare lo stomaco alle successive bevute. Invece sbrachiamo subito, perdendo ogni remora allo stand dei salumi marchigiani "Bacalini" (marchio della s.r.l. Orma Group di Grottazzolina, prov. di Ascoli Piceno). E' che tra tacchini in porchetta, coppe di testa, polli alle castagne e, soprattutto, galantine di pollo, ci sarebbero argomenti per passar lì l'intera mattina...
Alla fine riusciamo a staccarci - io sono già quasi pieno - e, proseguendo un po' più spediti e contegnosi, scopriamo anche diversi produttori interessanti (nessuno però con rivenditori a Trento).


 Tra questi, una menzione particolare merita Armonie Italiane s.r.l. (di Corato, Bari). I suoi prodotti da forno a marchio "Agricola del Sole" - dai tarallini di semola all'olio, alle "chianchette" di semola al finocchietto, per finire coi "vinelli" di semola al vino Nero di Troia - sono infatti uno più gustoso dell'altro.
Ovviamente, è d'obbligo pure una "spalmatina" di crema al tartufo bianco dell'abruzzese S.Z. Tartufi (di Atessa, Chieti) che al barattolo, peraltro, costa molto meno di quanto pensassi...
Neppure manca dal tour qualche (piccolo) bicchiere di birra. Riassaporiamo con grande piacer, in particolare, la bitter Meridiano 0 e la blonde ale belga Gassa d'amante del Birrificio del Forte (ossia Dueffe s.r.l.) di Pietrasanta (LU), conosciuto solo recentemente a Cheese assieme al Birrificio Pasturana.


La più gioiosa sorpresa, però, la facciamo allo stand del Consorzio Diversi Vignaioli Irpini, dove siede proprio Antoine Gaita, vecchia conoscenza delle nostre vacanze estive che per noi è assurto, ormai, ad una dimensione mitica.
Lui, a dire il vero, non si capisce bene se si ricordi o no di noi due... ma fa lo stesso, perché almeno ci dà un assaggio del suo Fiano Vigna della Congregazione 2011 Villa Diamante (di Montefredane AV), buonissimo nonostante la relativa giovinezza.
Il suo colore è paglierino, di media intensità, ed è già notevole la ricchezza di profumi: la caratteristica mineralità è infatti accompagnata da variegati odori di frutta secca, ananas, erbe ed aromi.
Al palato è di corpo discreto, molto sapido, con acidità sottile e taglientee ed un leggero finale amaro. Anche la persistenza è notevole.

Conclusa la fase di riscaldamento, passiamo direttamente al settore internazionale della Czerny Saal.
Dall'Alsazia, il nostro produttore preferito - anche se non ce ne sono poi molti... - si conferma essere lo Château D'Orschwihr (di Orschwihr appunto).
Il suo Alsace Riesling Enchenberg Vieux Thann 2007, 12% alc. vol., ha un colore dorato brillante e profumi che richiamano gli idrocarburi, la frutta secca e gli agrumi; il corpo è medio, abbastanza morbido, di sapore sottilmente aspro, con una buona sapidità ed un finale amarognolo.


Non male neppure i vini della Mosella. Il Riesling Beerenauslese Cochemer Nikolausberg Edelsuss 2010 della Moselweingut Ring (di Cochem) - sorprendente per noi italiani - ha una gradazione alcolica di appena 7,5% alc. vol., nonostante il notevolissimo tenore zuccherino di 144,6 g/l. Si presenta dorato, con un intreccio di note di zolfo e zafferano; è dolce e denso e, ciò nonostante, si fa bere con facilità grazie ad un'acidità netta ma non aggressiva.

A Quella lì piace anche parecchio - al di là del ragazzo della Loewel - il Bourgogne Pinot Noir 2011 Domaine des Perdrix (tenuta della Cote de Nuits appartenente ai Domaines Devillard). Il vino è rosso rubino e profuma di sciroppo di ciliege e mirtillo, con sentori di erbe aromatiche e pepe; al palato mostra un corpo medio, leggermente acido e molto più tannico rispetto al Pinot che ci aspetteremmo.
Dopo una breve pausa rigenerante - è che non siamo riusciti a sputare granché finora - entriamo sommessamente nella sala proibita dell'Union des Grands Crus de Bordeaux.
Il taglio bordolese non è - in realtà - il nostro stile preferito, ma lì beviamo bene, incredibilmente bene... e tra un godimento e l'altro ci appuntiamo anche qualche vino di carattere.


Haut-Médoc 2007 Château La Lagune (Ludon-Médoc) è un taglio di 60% cabernet sauvignon, 30% merlot e 10% petit verdot. Ha colore granato-purpureo. Profuma di frutti di bosco e spezie (soprattutto chiodi di garofano), con variegati sentori affumicati di legno e cuoio, poi cioccolato, karkadè e qualcosa che ci ricorda (in positivo!) il bidoncino dell'organico... In bocca avvertiamo un corpo medio ed una leggera prevalenza del tannino, sostenuto da una discreta acidità ed in parte equilibrato dal calore alcolico (quasi bruciante) e una leggera morbidezza.

Margaux 2010 Château Brane-Cantenac (Cantenac) è un taglio di 62% cabernet sauvignon, 30% merlot e 8% cabernet franc. Di colore granato non così intenso, ci avvertiamo dentro i piccoli frutti rossi maturi, le erbe aromatiche, le spezie (vaniglia), con note balsamiche, affumicate e di "organico". Ha una buona struttura, una discreta acidità ma soprattutto una nettissima astringenza (dissimulata dalla densità), che ci lascia la lingua secca come dopo aver morso un frutto acerbo.

Margaux 2006 Château Giscours (Labarde) è un taglio di 60% cabernet sauvignon e 40% merlot. Ha colore granato di intensità medio-bassa. I profumi tendono ai frutti rossi maturi ed alla prugna, con note di tè, di erbe di montagna e spezie. Ha una struttura media, molto "carnosa" e "polposa", una buona freschezza ed un tannino fine e posato: ne risulta un vino equilibrato, raffinato e di gran bevibilità.

Saint-Julien 2007 Château Talbot (Saint-Julien-Beychevelle) ha un colore tra il purpureo con riflessi granati, quasi sanguigno, di media intensità, luminoso. Odora di piccoli frutti rossi con intriganti note di amarena, cuoio, tabacco, legno e vaniglia. Al palato si rivela caldo, non troppo morbido, astringente ed abbastanza acido.

Pessac-Léognan 2011 Domaine de Chevalier (Léognan) è un bianco entusiasmante da varietà sauvignon blanc e semillon. Ha profumi minerali e solforosi, di uovo e cavolfiore bollito, con più tenui sentori agrumati, floreali e fruttati (forse pera). E' morbido ed abbastanza caldo, ma ravvivato dall'acidità, e si chiude con un sapore amarognolo e richiami di frutta secca tipo mandorle. 

La giornata è ormai conclusa e così, rinfoderati i preziosi portabicchieri, possiamo cominciare ad aspettare il prossimo anno.

giovedì 14 novembre 2013

Bevi primierotto!

Chiariamo subito che Bionoc di Mezzano, per noi, è senz'altro il più promettente birrificio trentino. Ha una produzione ancora limitata (1.500 litri all'anno, se ho capito bene) e commercializza per ora soltanto due birre; però emana passione (condita con un po' di egocentrismo) e, soprattutto, sforna prodotti di buona fattura, con un discreto carattere e che si fanno bere ch'è un piacere.
Per le sue birre, impiega un'acqua mediamente dura (18°f), proveniente da una sorgente di Mezzano.
Conduce le fermentazioni ad alta temperatura, tra 18,5-22°C per circa 7 gg, raffreddando successivamente i mosti a 2,8-3,2°C. I prodotti vengono poi fatti maturare all'interno degli stessi fermentatori (si fa quel che si può) per circa 10 giorni.
Tutte le birre, infine, sono rifermentate in bottiglia, aggiungendo però solo dello zucchero e lasciando operare fino allo sfinimento i lieviti residui della prima fermentazione.

Stasera, per una cena a zuppa di ceci e carne di pollo, proviamo a stappare l'Alta Vienna, birra - dal nome eloquente - ispirata allo stile Vienna ma ottenuta con l'alta fermentazione.
Il malto utilizzato - altra peculiarità stilistica - è esclusivamente il vienna, senza "tagli" con ulteriori malti base. Il luppolo impiegato è invece l'Hallertau, in modeste quantità, mentre il lievito ale è belga.
La densità iniziale corrisponde a 13,5°P (circa 1,055 OG), ben sfruttata visto che il grado alcolico finale raggiunge i 5,8°ABV.
Resta peraltro almeno un mese a maturare-rifermentare in bottiglia prima della commercializzazione.

Per la cronaca, quando alcuni mesi fa l'avevamo provata presso il birrificio, spillata dal fermentatore-maturatore, la birra si presentava di colore ambrato torbido, con profumi di cereali, di malto leggermente caramellato e leggeri note erbacee. In bocca era tendenzialmente dolce ma complessivamente bilanciata, con una discreta freschezza ed un'amarezza leggera (21 IBU), mentre il corpo è medio-leggero ma cremoso.
L'impressione era quella di una birra ben fatta, espressiva e pulita.

Ribevuta adesso in bottiglia, tutto sommato il nostro apprezzamento non cambia.
La troviamo di un colore ambrato-aranciato piuttosto velato, con una schiuma fine ed abbondante non particolarmente persistente.
Al naso domina l'odore di malto caramellato, accompagnato dalle note erbacee dei luppoli, dalla tipica speziatura del lievito belga e da vaghi sentori di caramella mou e gomma.
Di corpo medio-leggero, ha un'effervescenza poco spinta e risulta abbastanza equilibrata tra la dolcezza, la lieve acidità e l'amarezza finale (di media persistenza): al palato, in definitiva, tutte le sensazioni sono però piuttosto deboli, un po' troppo rispetto alle aspettative stimolate dagli odori.
Detto ciò, si tratta comunque di una birra piacevole, pulita e di grande bevibilità.

venerdì 8 novembre 2013

Tigli e soldi.

Per una volta, messa da parte "Osterie d'Italia", ci affidiamo alla guida "EurHop!" per la scelta di un ristorante: siamo troppo curiosi, infatti, di provare uno dei locali birrari consigliati dal mitico Kuaska (che ne cura la sezione dedicata all'Italia).
Finiamo così alla pizzeria "I Tigli" di San Bonifacio (VR).

Appena entrati, in realtà, ci rendiamo conto di non essere in un classico ristoro birrario (di quelli che piacciono a noi, per intenderci: semplici, vecchiotti, colmi di birre e trasudanti passione).
Lo schema estetico è più tipico, invece, dei locali per odierni gourmet: pareti bianche, arredo bianco, grande cura nelle geometrie e nei colori della piccola oggettistica, pane a pasta madre in mostra, grandi vetrate sul verde, grandi vetrate sulla cucina (colma di ragazzi sorridenti).
Il che non è un male - anzi, è proprio l'estetica che piace a Quell'altra - però fa sempre drizzare le antenne: per la nostra scarsa esperienza, difatti, sappiamo che queste ostentazioni di qualità si traducono sempre in un certo prezzo, non sempre in una corrispondente offerta.
E così...

...Non c'è che dire, le pizze sono senz'altro buone, soprattutto per via della pasta ottenuta dal lievito madre, che è alta, ben lievitata, soffice ed elastica (anche se così somiglia più ad una focaccia). Pure gli ingredienti sono per la gran parte di livello superiore alla media: una spanna su tutto, secondo me, ce l'hanno il pomodoro e le olive taggiasche.
Però, insomma, la pizza in quanto pizza non raggiunge poi queste grandi vette: è come se il cibo per gourmet (anzi, l'ingrediente per gourmet) avesse preso il sopravvento sul piatto tradizionale "pizza"; come se dietro il piatto ci fosse uno chef ma mancasse un esperto pizzaiolo.
Probabilmente è normale che sia così, quando si tratta di rivisitazioni di alto livello dei piatti tradizionali. A noi però non convince appieno.
Ancor meno ci convince in rapporto al prezzo, ché 20,00 euro per una pizza alla bufala (e non era nemmeno nella fascia di prezzo più alta!) sono oggettivamente troppi.
Troppi, sia perché si tratta pur sempre di pizza (e non di portate complesse ed elaborate), sia perché - pizza o non pizza - il piatto che ci propongono non giustifica in concreto quella spesa, nemmeno per la mozzarella di bufala, la quale - non sappiamo se per qualità intrinseca, problemi di trasporto o modalità di cottura - risulta alla fine mediocre, di sapore evanescente e consistenza provolesca (con l'origano sopra, somiglia ad una tosela trentina!).

Quanto alle birre - premesso che la scelta non è poi granché ampia - proviamo La Bianca di Matthias Muller (prodotta ad Hauzenberg in Baviera).
E' una birra di frumento e farro maltati, con 4,6% ABV. Il colore è aranciato, mentre la schiuma è ricchissima e di media persistenza. Ha profumi molto carichi, di cereali, agrumi, spezie e lievito (manca invece la tipica banana); in bocca è di corpo medio-leggero, beverina, sì, ma secondo noi pure un po' sfuggente per aromi e sapori.

Passiamo poi alla Tipopils del Birrificio Italiano (Limido Comasco, CO), 5,2% ABV, ottenuta da malti pilsener e caramunich e luppoli tedeschi, aggiunti anche in dry hopping. Ci accoglie dorata, luminosa, con una schiuma ricca e fine ma non molto persistente. I profumi sono semplici ma precisi ed essenziali: in primo piano l'erbaceo, in secondo il malto, i fiori ed il miele; in bocca è snella, fresca e beverina, con un finale nettamente amaro-erbaceo.

lunedì 23 settembre 2013

Cacioricotta e Nosiola: ringo boyz.

Con impegno e dedizione, siamo riusciti a far fuori tutti i formaggi portati a casa dalla Campania. Da scartare, rimaneva solo il Cacioricotta del Cilento prodotto da L'Arenaro di Maria Carmela di Feo (Acquavella): detto, fatto.
Si tratta - breve intermezzo pseudo-tecnico - di un formaggio a latte caprino molto particolare, ottenuto con una coagulazione mista, in parte termica (tipica della ricotta) ed in parte presamica. Nel suo coagulo, quindi, sono presenti sia caseine che sieroproteine.
La signora Di Feo adopera, crudo ed intero, il latte provienente da una razza caprina autoctona, la c.d. cilentana; il quale viene refrigerato a circa 6°C e lavorato due o tre giorni dopo la raccolta.
La caseificazione inizia in una caldaia d'acciaio a doppio fondo, riscaldata dall'acqua calda che scorre nell'intercapedine. Qui, la temperatura è elevata a 95°C per consentire il recupero delle sieroproteine.
Poi il latte viene raffreddato a 40°C, si aggiunge il caglio liquido di vitello e si attendono circa 30 minuti per la coagulazione.
La cagliata è pronta quando il "ruotolo" (un mestolo di legno impiegato nella lavorazione), inserito in senso verticale nella cagliata, galleggia. Con lo stesso ruotolo si provvede alla rottura del coagulo a granuli di medio-piccole dimensioni.
A seguito di una breve sosta sotto siero, durante la quale la cagliata si deposita sul fondo della caldaia, la parte liquida viene estratta manualmente, con un secchio.
La cagliata viene poi raccolta direttamente nelle fascelle di plastica, utilizzando queste ultime a mo' di secchio, e l'unica pressatura viene effettuata ponendo le fascelle una sull'altra (tradizionalmente era invece prevista una pressatura manuale accompagnata dalla frugatura, ma pare che la clientela gradisse una pasta meno secca...).
La maturazione avviene a 12°C, con umidità relativa attorno al 60-70%, per un periodo variabile da una settimana a due mesi. Durante la stagionatura, infine, la forma è lavata con acqua ogni 2-3 giorni per ripulirla dalle muffe bianche superficiali.

La nostra forma - con un mesetto di stagionatura e qualche settimana sottovuoto - è cilindrica, di piccole dimensioni, con un peso di circa 350 g; le facce sono piane e lo scalzo leggermente convesso.
La forma sembra priva di crosta; comunque, la superficie è bianca, umida, liscia e leggermente elastica.
La pasta, anch'essa bianca, è semidura, tendenzialmente rigida (la deformabilità è appena accennata), umida e compatta, con odori di scarsa intensità riconducibili al siero, al latte acido ed allo yogurt, ed una leggera nota animale (tipica del latte di capra).
In bocca l'intensità aumenta, ma non troppo, e l'odore di capra si fa più marcato, accompagnato da sentori tra il cartone ed il legno. Il sapore, inizialmente dolce di media intensità, vira subito sull'acidità (media) e la sapidità medio-elevata, quest'ultima senz'altro dominante, con un lieve finale amaro. Al palato è secco, molto solubile ed un po' grumoso. Rimangono per lungo tempo avvertibili sia i profumi acidi, sia le note sapide.


Malgrado la Collega si dissoci, secondo me l'abbinamento con il VdD IGT Nosiola 2011 Cesconi (Lavis) si lascia apprezzare.
Il vino si ottiene dall'uva coltivata a Pressano, a 450 m. s.l.m., su terreni derivanti da rocce arenarie; le viti hanno un'età variabile tra i 50 ed i 100 anni (alcune quindi sono a piede franco). Viene fatto fermentare in acciaio e, poi, matura in botte di acacia per circa 8 mesi.
Preso per sé - e su questo siamo d'accordo - è un gran bel prodotto, già dall'aspetto. Il colore è paglierino, non molto carico ma luminoso e con riflessi dorati.
Il naso, di media intensità, è abbastanza ricco ed intrigante: i primi odori, a vino fermo, sono di nocciola e crema pasticciera; basta qualche movimento, però, per liberare anche le note di vanillina, di limone, di fiori (non meglio definiti, forse acacia), di burro, di erba secca e di vegetale "grasso", tipo semi. In bocca forse un po' di varietà si perde a favore della nocciola.
In bocca è di medio corpo, molto morbido e dall'alcolicità percepibile (12% alc.) ma, contemporaneamente, carico e vicace, grazie all'acidità sottile e persistente ed all'intensa sapidità, con una lieve amarezza finale.
Come accennato, il vino pare intrecciarsi bene con il cacio, bilanciandone le durezze e completandone il quadro aromatico; a tutto concedere (a quell'Altra), la bevanda è un po' meno intensa e persistente e, dopo, un po' di lotta, la bocca torna ad essere dominata dal formaggio.

domenica 15 settembre 2013

Bagnolese sì, Bagnolese no?

Altra puntata di "Back from Irpinia". Con il Pecorino Bagnolese del caseificio Maria Nigro (anche denominato "Fabio Nigro" o "fu Salvatore Nigro") di Bagnoli Irpino.
Sulla tipologia di formaggio si è già detto qui. A dirla tutta, non siamo così sicuri che il latte utilizzato provenga dalla razza bagnolese, perché alla titolare non lo abbiamo chiesto esplicitamente - dandolo per scontato - ma dopo, sul Piano Laceno, scambiando due chiacchiere con dei pastori, è venuto candidamente fuori che "ah, ma quell'azienda ha pecore di un'altra razza". Ah però.
In ogni caso, i signori Nigro allevano circa 1000 pecore (sperando almeno che siano pecore, a questo punto... [è una battuta, eh]), il cui latte viene conservato a 4°C, poi riscaldato a 36-37°C ed addizionato con caglio vaccino.
In 30 minuti si forma il coagulo, che viene rotto, estratto e - con una leggera pressatura - immesso nelle fascere di plastica forata; i canestri di vimini sono impiegati infatti solo per le forme particolarmente grandi.
A seguito della salatura a secco, le forme vengono lasciate a maturare in cantine non particolarmente umide a 12°C di temperatura; qui rimarranno per un periodo massimo di 9 mesi, con periodici lavaggi mediante acqua.

Il nostro pezzo avrà circa 3 mesi di stagionatura, oltre a 2 settimane di conservazione in frigo alla bell'e meglio.
Si presenta di forma regolare cilindrica, con la faccia superiore un po' concava.
La crosta è di colore non uniforme: di fondo paglierino scarico e, nelle aree centrali delle facce e dello scalzo, bianca di muffa, con qualche chiazzetta verde. E' inoltre canestrata, dura, elastica e secca.
L'occhiatura è uniforme e diffusissima, di dimensioni tendenzialmente piccole e medie e forma irregolare.
E' anche presente un sottile-medio sottoscrosta.
La pasta non ha un aspetto favoloso, essendo così chiazzata da non permettere di capire se il colore di fondo sia l'avorio o il paglierino scarico: non sappiamo se sia un accenno di gessosità, però come quest'ultima si accompagna ad una certa friabilità della pasta ed a note aromatiche acidule.
Per il resto, la struttura al tatto è semidura, secca e leggermente elastica (però con la già citata tendenza a rompersi già dopo una leggera piegatura).
I profumi ed i sapori del cacio non sono particolarmente intensi (tanto più, rispetto al precedente bagnolese assaggiato). Si sente - leggero - l'odore animale tipico del latte di pecora, assieme a profumi di latte acidulo ed erbe fresche e ad un lieve sentore di limone.
Più o meno gli aromi corrispondono, salvo l'intensificarsi del profumo acido (di latte e pure di panna) e dei sentori di limone. Col passare del tempo, i sentori di limone spariranno, tanto inspiegabilmente come sono arrivati.
Le sensazioni sulla lingua sono abbastanza equilibrate, con dolcezza ed acidità su livelli medi e la sapidità medio-elevata, che prevale ma non svetta rispetto al resto. La struttura rimane secca e tendenzialmente friabile, nonché discretamente solubile ed un po' grumosa.

lunedì 26 agosto 2013

La lipolisi colpisce ancora.

Errore dopo errore, prima o poi impareremo a gestire il formaggio. Intanto, anche stavolta il pezzo più "pregiato" del nostro bottino vacanziero è stato drasticamente alterato dall'idrolisi di grassi e proteine. E vabbè...
Parliamo ovviamente del Pecorino di Carmasciano del caseificio D'Apolito - Moscillo (Sant'Angelo dei Lombardi), cacio prodotto soltanto in una piccola area dell'Alta Irpinia, corrispondente al territorio comunale di Guardia Lombardi e Rocca San Felice, nonché a parte dei comuni di Sant'Angelo dei Lombardi, Torella dei Lombardi, Morra De Sanctis e Frigento. Si tratta di una zona influenzata dalla presenza della "Mefite", fenomeno di vulcanesimo minore che determina emissioni di anidride carbonica ed anidride solforosa; queste ultime, diffondendosi per i pascoli circostanti, pare che incidano anche sulle caratteristiche organolettiche del formaggio.
Il latte impiegato è quello delle pecore dell'area, tra cui la laticauda (denominata così per la sua coda grassa e "larga" alla base). L'azienda Moscillo è costituita invece da 300 esemplari meticci, frutto di un incrocio tra la laticauda ed un'altra razza più produttiva.
In lattazione sono all'incirca 100 pecore, allevate al pascolo con un'integrazione alimentare di fieno, mais ed orzo.
Due sono le mungiture giornaliere; il latte - se abbiamo capito bene - viene refrigerato a 4°C e lavorato uno o due giorni dopo, intero e crudo. La coagulazione avviene grazie al caglio liquido di vitello, aggiunto dopo che la temperatura è stata portata a 40°C. Per il riscaldamento è impiegata una caldaia d'acciaio con un doppio fondo, nel quale scorre l'acqua calda.
Trascorsa 1 ora, il coagulo è rotto con lo spino in granuli delle dimensioni di chicchi di riso/mais. La cagliata viene poi estratta e messa in fascelle di plastica, con una leggera pressatura a mano, alla quale segue una stufatura a 38-40°C per più di 2 ore, durante le quali la forma subisce 3 rivoltamenti.
La salatura è effettuata a secco, e viene ripetuta ogni 15 giorni per i primi 3 mesi di stagionatura.
Dopo questo primo periodo di maturazione, la crosta è trattata con olio (trattamento ripetuto ad intervali di 2-3 mesi).
Le condizioni di stagionatura si differenziano a seconda del tempo di permanenza nelle celle: i formaggi destinati a stagionature sino a 6 mesi, infatti, sono conservati a 15-16°C con umidità relativa del 70%; invece, le forme destinate a stagionature superiori sono tenute a 18-19°C con una maggiore umidità.


Abbiamo portato a casa tre porzioni di diversa stagionatura, conservati sottovuoto nel frigorifero per circa 3 settimane.
Il primo pezzo aperto ha maturato per circa 7 mesi.
Ha forma cilindrica di medio-piccole dimensioni, con facce concave e scalzo un po' convesso. La crosta è canestrata, dura e rigida, ma anche umida, di colore ocra non uniforme, chiazzato di marrone.
Neppure la pasta ha un colorito omogeneo: sul fondo giallo paglierino non troppo carico, si distinguono leggere macchie rossastre e marroni. Il sottocrosta non è granché intenso ma raggiunge un consistente spessore.
Diffusa con una certa uniformità, è presente una piccola occhiatura irregolare. Per il resto, la pasta ha al tatto una struttura dura, rigida, untuosa.
Gli odori rivelano subito l'intensità dei processi idrolitici subiti dal formaggio: le note animali di latte di pecora, che ci ricordiamo dall'assaggio presso il caseificio, sono oramai quasi del tutto coperte da forti odori evolutivi: un sacco di funghi, il brodo di carne, il dado ed il tostato leggero; burro cotto e fieno rimangono invece ai margini.
In bocca è di media dolcezza e medio-leggera acidità, con l'elevatissima sapidità a farla da padrone, assieme a sensazioni piccanti, brucianti e metalliche. Tra gli aromi si aggiunge un netto odore di cuoio.
E' unto, friabile, discretamente solubile.
Un assaggio dominato dalle sensazioni gustative e tattili, cariche e persistenti; i profumi tendono a scomparire con maggior rapidità.

Il secondo pezzo una ha stagionatura di circa 12 mesi.
Rispetto al precedente, la forma è leggermente più piccola, mentre le facce sono piane. La tonalità della crosta varia dall'ocra scuro al marrone - e quindi è più scura - al contrario della pasta, che tende all'avorio (macchiato) e dunque è più chiara.
Il sottocrosta è intenso e di medio-largo spessore. L'occhiatura di medie dimensioni, irregolare, uniforme.
La struttura della pasta è semidura, rigida ed appena-appena deformabile.
Avvicinato al naso, sa di funghi, di sottobosco, di sudore, di tostatura e un po' di spezie (tipo noce moscata) e di ammoniaca. In bocca, inoltre, si avvertono meglio le note di latte cotto, di burro fuso, di ammoniaca e di glutammato.
L'impatto con il palato è un po' meno traumatico: comincia con una media dolcezza, seguita da una leggera acidità e, infine, da una sapidità medio-elevata, accompagnata da una lieve piccantezza. E' anch'esso untuoso, oltre che di media solubilità e granuloso.
Sia i profumi che i sapori sono peraltro molto persistenti.


L'accompagnamento è un Irpinia Campi Taurasini DOC Macrì 2007, prelevato dalla cantina Russo di Taurasi.
Il vitigno è l'Aglianico, coltivato sui terreni argillosi e calcarei della "Carazita"; per ottenere il nostro vino, sono state utilizzate le piante più giovani dei vigneti, vendemmiate a novembre. Le rese si arrestano a 70 q/ha.
La fermentazione e la lunga macerazione sulle bucce sono avvenute in acciaio; il vino ha maturato poi in acciaio e, in seguito, in botti di legno, con successivo riposo in bottiglia.
Nel bicchiere, si presenta color rosso rubino con riflessi granati. I profumi sono soprattutto fruttati e speziati: sentiamo prugne, ciliegie e more, tanto mature da sfociare nella marmellata, poi vaniglia e leggeri sentori di viola e, infine, note tostate, di tabacco e caffè; anche l'alcol è abbastanza percepibile.
In bocca - nonostante i suoi 6 anni - si mostra subito giovane e fresco, con astringenza ed acidità spiccate, oltre ad una discreta sapidità; a fare da contraltare, ci sono comunque la leggera dolcezza, la struttura e la morbidezza, oltre ad un calore quasi bruciante (il 14% di alc./vol. si sente, eccome).
Nel complesso, ci piace nel suo vigore, e si accosta abbastanza bene con il carmasciano di 12 mesi, fondendosi con i suoi profumi - anch'essi parecchio intensi - e dando una bella ripulita al palato grazie all'alcol, ai tannini ed all'acidità.

giovedì 22 agosto 2013

Berlineer Weisse, Berliner Weisse! Berlineer Weisse, Berliner Weisse!

Presso il ristorante-birroteca Sangrillà (Fiera di Primiero), finalmente troviamo - e doverosamente assaggiamo - una vera (vera?) Berliner Weisse.


Si tratta della Berliner Kindl Weisse prodotta dalla Berliner-Kindl-Schultheiss-Brauerei di Berlino (di proprietà dell'Oetker Group). 
Si caratterizza - in ossequio allo stile birrario - per l'impiego di malti d'orzo e di frumento, la bassa gradazione alcolica (3% ABV) e la smaccata acidità, determinata dalle fermentazioni del lactobacillus.
Il colore è paglierino scarico e limpido, con riflessi dorati; la schiuma è bianca abbondante ma non molto persistente.
Ha profumi di malto e frumento, con leggeri sentori erbacei, agrumati e di panna acida.
In bocca - dove le note di panna acida si fanno più nette - entra con una leggera dolcezza ed un corpo medio-leggero, seguite da un'asprezza intensa e persistente, che si protrae anche oltre la durata dell'amaro (leggero).
Certamente originale e gradevole, anche se non spicca né per complessità, né per armonia, né per capacità di dissetare. Da riprovare con altri produttori.

martedì 20 agosto 2013

Un Diamante è per sempre... finché non stappi.

Non ci capita spesso di scolarci un'intera bottiglia in una sola serata (è per questo che abbiamo speso una quindicina d'euro in tappi con aspiratore d'aria - che non funzionano). Stasera è successo, quasisenza che ce ne rendessimo conto. Credo questa sia la migliore presentazione possibile per un vino.
Qualche sospetto che sarebbe finita così, in realtà, c'era già da prima, perché il Fiano di Avellino DOCG Vigna della Congregazione 2009 di Villa Diamante l'avevamo assaggiato-ammirato solo poche settimane orsono, presso la casa-azienda di Antoine Gaita e di sua moglie Diamante, con gli stessi smodati esiti.


Per dire qualcosa d'introduttivo, l'uva è coltivata in regime biologico, su particelle sparpagliate per la collina di Montefredane (per una superficie complessiva di circa 3,5 ha). I terreni sono a circa 450 m s.l.m. e sono costituiti da rocce ed argilla; il sistema di allevamento è a controspalliera. La vinificazione è stata condotta in acciaio, caratterizzata da una prolungata permanenza sulle fecce.
Il vino ha colore giallo paglierino luminoso, di media intensità. I profumi compongono una complessa ed intrigante tessitura: il primo impatto, a vino fermo, è floreale, minerale ed aromatico; agitando, subentra innanzitutto una zaffata di pietra; poi, si aggiungono anche la frutta (albicocca?) matura, la frutta secca grassa e secca (tipo mandorle) e sentori più acerbi e freschi: insomma, di tutto di più.
In bocca sono molto evidenti (e di lunga persistenza) le note di albicocca matura, di agrumi, di brioche, di frutta acerba e di vegetale fresco, senza dimenticare la mineralità. L'attacco al palato è morbido e caldo (l'alc. vol. è comunque al 13,5%) e, insieme, di sapidità medio-elevata; gradualmente, man mano che il bruciore dell'alcol si fa (delicatamente) avvertire, interviene un'acidità sottile ma incisiva e molto persistente; la chiusura è amarognola e, assieme agli altri sapori e profumi, regala un finale lunghissimo.

Un vino davvero entusiasmante, che arricchisce anche la trota, l'insalatina ed il pecorino bagnolese (Salvatore Di Capua) della nostra cena, con una buona corrispondenza aromatica ed una piacevole sensazione di pulizia in bocca.

domenica 18 agosto 2013

Ritornati ncopp', raccogliamo i primi frutti...

Per quanto le vacanze siano state intense, il periodo a venire si profila altrettanto impegnativo, tanti sono i prodotti che abbiamo portato a casa e che, adesso, dovremo diligentemente assaggiare.

Cominciamo oggi scartando il Pecorino bagnolese della piccola impresa Salvatore Di Capua, di Bagnoli Irpino (AV). Ottenuto da pecore di razza bagnolese e meticce, allevate nei dintorni di Bagnoli e, precisamente, sul Piano Laceno, un bellissimo altipiano verdeggiante collocato a più di 1000 metri di altitudine, circondato da montagne ed adibito per lo più al pascolo (ed al turismo).
Come ci raccontano due pastori, l'antico soprannome locale dato alla bagnolese è "malvizza" (=malvagia?), per via delle numerose macchie nere, piccole ed irregolari, presenti sulla faccia e sulle orecchie di quest'animale.


Comunque, la famiglia Di Capua ha al pascolo circa 350 pecore, il cui latte viene refrigerato e lavorato la mattina successiva a quella della munta.
Il latte - intero e crudo - è riscaldato a 40°C e fatto coagulare per soli 15 minuti con l'aggiunta di caglio vaccino liquido. La cagliata viene successivamente rotta a dimensioni abbastanza piccole e riposta in canestri di vimini, con una leggera pressatura manuale. Dopo la salatura, effettuata a secco, il cacio è lasciato a maturare ad una temperatura di circa 20°C per un periodo variabile (il nostro pezzo avrà un mesetto), con periodici lavaggi della superficie con acqua calda.
La forma nelle nostre mani è cilindrica, a facce piane e scalzo convesso; la crosta è canestrata, secca ed elastica, di colore non uniforme (paglierino con aree ocra).
La pasta, a dire il vero, non si presenta benissimo, sia per il colore non uniforme (paglierino scarico con una zona interna di tono più scuro), sia per l'occhiatura inaspettatamente diffusa, di forma irregolare e medio grande. Il sottocrosta è sottile, mentre la struttura al tatto è semidura, secca, abbastanza elastica.
Le iniziali perplessità non trovano però alcun riscontro al naso ed in bocca, perché il cacio risulta diretto ed intenso, magari non particolarmente fine ma interessante e piacevolissimo. L'odore è di intensità medio-elevata e richiama il latte ed il burro cotti, le erbe aromatiche, le note animali di pecora e, in secondo piano, sentori floreali.
Al palato, inizialmente, è in quilibrio tra dolcezza e sapidità (entrambe di intensità media), poi la sensazione salata persiste e si intensifica gradualmente, finendo per dominare l'assaggio; l'acidità rimane invece su intensità medio-leggere, ed è presente anche una sottile piccantezza. Gli aromi ricordano quasi le olive verdi campane assieme al burro: a parole può sembrare un incontro spiacevole, invece è veramente alletante. La pasta sembra elastica, secca, grumosa e non molto solubile. Leggermente più intensi i profumi animali e vegetali. La persistenza olfattiva e gustativa è medio-elevata.


Segue un pezzo di Caciocavallo podolico del caseificio La Torretta (Castelnuovo di Conza), alla cui azienda abbiamo avuto anche il piacere di fare visita. Il titolare, Giovanni Cifrodelli, possiede vacche podoliche e meticce (circa 150 esemplari di cui 80 in lattazione), che alleva al pascolo con una piccola integrazione alimentare di fieno e cereali.
Il latte - particolarmente ricco di caseina - viene munto una volta al giorno, di mattina, ed immediatamente portato nella caldaia a fiamma elettrica. Alla temperatura di 38°C viene aggiunto il caglio di agnello e, ben 60 minuti dopo, il coagulo è rotto con "'o ruotolo" in granuli delle dimensioni di chicchi di mais.
Segue un breve riposo nel siero (per favorire la sineresi) e, quindi, una seconda rottura della cagliata. 
La maturazione dura circa 2-4 ore, finché la massa, avendo raggiunto la giusta plasticità, viene sminuzzata a strisce e sottoposta alla filatura.
Quest'ultima fase - a cui riusciamo ad assistere dal vivo, uscendo una volta tanto dalla nostra dimensione "scolastica" - è svolta manualmente in acqua bollente a 90°C (mani temprate come l'acciaio!). Si ottiene un filamento lungo e sottile, che viene porzionato in base al peso desiderato ed attorcigliato come un gomitolo.
La parte più impressionante della lavorazione rimane però la successiva formatura, durante la quale ciascun pezzo di cagliata, plastico ma già molto resistente, viene laboriosamente impastato ed involto in se stesso (così da chiudere ogni porta all'ossigeno); poi, lentamente, aiutandosi ogni caldo con l'acqua calda, l'impasto viene chiuso a sacco ed arrotondato, fino a fargli assumere la caratteristica forma a pera con testina. Sembra quasi di vedere all'opera un vasaio con la terracotta (non che io abbia mai visto un vasaio, ovviamente).
Per concludere, il cacio è riposto, prima, in una bacinella d'acqua fredda e, poi, in una vasca d'acciaio d'acqua, sempre in acqua ma con il culo dentro una semisfera d'acciaio (per fargli mantenere la forma senza doverlo continuamente smuovere a mano).
I pezzi vengono, infine, legati a coppie con una corda ed appesi a cavallo di un bastone, nella stessa sala di lavorazione, dove rimarranno per 15 giorni alla temperatura di circa 24°C. La stagionatura comincerà soltanto dopo, in cantina, a temperature di 16-18°C ed umidità dell'80%, per periodi che possono raggiungere anche i 12 mesi.


Il nostro cacio, dalla tipica forma irregolare a pera con testina, ha crosta elastica, dura, liscia ed ammuffita, di colore paglierino intenso con macchie bianche, verdi e rosse.
La pasta, anch'essa di colore paglierino intenso, presenta un sottoscrosta leggero e sottile ed una piccola occhiatura irregolare; la sua struttura è elastica, semidura ed untuosa.
Ha profumi di media intensità, con netta prevalenza di burro cotto ma anche note vegetali di fieno, frutta tostata ed un accenno di brodo di carne. Tra i sapori la dolcezza la fa da padrone, con leggera acidità, sapidità medio-leggera e una lieve amarezza finale, oltre ad una leggerissima sensazione piccante. Al palato è semiduro, leggermente grumoso, deformabile e di media solubilità. La persistenza è media.


Ci beviamo su, per restare in Campania, un Paestum IGT Paestum 2012 della cantina Sangiovanni, splendida tenuta con splendidi vigneti in splendida posizione costiera a Punta Tresino (Castellabate - SA). Ed anche questo, nella degustazione, ha la sua influenza.
L'uva è fiano all'85% e, per il resto, trebbiano (10%) e greco (5%), allevata a spalliera e guyot in un vigneto di meno di 2 ha, posto a 60 m.l.m. Fermentazione e maturazione sono svolte in acciaio.
Il vino si presenta color paglierino abbastanza carico, con un intenso e ricco impatto olfattivo di zolfo e pietra, seguito da note vegetali grasse, erbe aromatiche tipo salvia e origano, agrumi e (per me ma non per la socia) mandorle, con leggeri sentori floreali. In bocca si conferma intenso nei profumi e nei sapori, con la morbidezza ed il calore di fondo (12,5% alcol che si sentono) equilibrati e dominati dalla spiccata acidità e da una sapidità media, leggero finale amaro e medio corpo. E' un vino al contempo grasso, vivo e lungo. Molto gustoso!
Si abbina bene con il pecorino bagnolese, la cui sapidità è bilanciata dalla morbidezza del vino, mentre la dolcezza del cacio si contrappongono l'acidità e la sapidità del vino; entrambi i prodotti peraltro concordano per intensità e persistenza, oltre ad avere una certa continuità di profumi.
Inopinatamente, invece, il caciocavallo risulta sovrastato dal vino.

giovedì 15 agosto 2013

Casa Barlotti.

Gironzolando per il Cilento - ma qualcunA non avrebbe dovuto redigerne la cronaca? - non potevamo certo mancare una visita alla mozzarella di bufala campana DOP di Paestum! Così, eccoci da Barlotti, caseificio tra i più grandi, peraltro ben attrezzato per l'accoglienza del pubblico (peccato che questo "attrezzarsi" in modo professionale tolga sempre un po' di genuinità, di fascino e persino di contenuti all'esperienza della visita, diversamente da quanto accade negli incontri diretti con il produttore; questo è inevitabile, è vero, e persino imprescindibile nelle aziende di grosse dimensioni, però costringe il visitatore a vestire i panni dell'"americano" in visita guidata, il che è pure un po' frustrante...).

L'azienda, comunque, comprende 300 bufale, di cui 150 in lattazione, alimentate con fieno, paglia ed insilato di mais. Gli animali sono munti due volte al giorno nell'apposita sala (l'unica fase produttiva a cui riusciamo ad assistere, a causa del nostro ritardo, è proprio la mungitura, ma ne vale proprio la pena!).


Per la lavorazione, il latte viene addizionato con siero-innesto, poi, quando la temperatura è stata innalzata a 36-38°C, viene aggiunto il caglio di capretto (prodotto in laboratorio).
Dopo la coagulazione e la rottura, la cagliata matura per 3-4 ore nel siero per l'acidificazione. Si procede quindi alla filatura manuale, con l'aggiunta di acqua bollente a 90-95°C. La formatura, invece, è meccanizzata, tranne che per le forme di peso superiore ai 500 g. La salatura, infine, è effettuata in salamoia.
Una mozzarella riusciamo anche ad ammoccarcela lì, presso il ristorante interno all'azienda.
Il pezzo ha forma sferica irregolare, con pelle color avorio, liscia, elastica ed umida, senza i segni della mozzatura manuale; anche la pasta ha un omogeneo color avorio e presenta struttura elastica, morbida, umida e sfogliata; al naso prevalgono (troppo, forse) il latte e burro freschi, mentre è più leggero il tipico odore animal-vegetale (c.d. muschiato); un po' sullo sfondo sono le note di siero ed i sentori di fieno e d'insilato (ma potrebbe trattarsi di suggestione, dato che quest'odore ci ha punto fino ad un momento prima).
In bocca domina la dolcezza medio-elevata, seguita da una media acidità e da una sapidità medio-leggera; l'elasticità media e la bassa solubilità non sono apprezzatissime ma sono tipiche del prodotto appena fatto. Nella parte interna, infine, si nota una certa secchezza rispetto al resto della pasta.

Il cacio trova peraltro buona compagnia in una bottiglia di Paestum IGT Fiano Pian di Stio 2011 della cantina San Salvatore, con sede in Stio (SA), nell'entroterra cilentano. Le uve sono coltivate a 500 metri s.l.m., sopra un terreno argilloso-calcareo, con allevamento a spalliera. La vinificazione, interamente in acciaio, prevede una macerazione a freddo per 4 ore, una fermentazione di 15 giorni ed 10 mesi di maturazione.
E' un vino dai profumi intensamente minerali, oltre che di frutta (soprattutto) secca; in bocca, pur caldo (ha pur sempre il 13% alc. vol.), è molto acido e sapido e non eccede in morbidezza: risulta vivissimo e fresco ch'è un piacere.

sabato 3 agosto 2013

Rassegna Müller Thurgau. Preferenze telegrafiche.

Non c'è tempo! Possiamo permetterci solo qualche nota sui vini di maggior godimento della giornata. (Terremo per noi le critiche verso la sommelier).

Il preferito è il Trentino DOC M.T. Vigna Rio Romini 2012 Vivallis (Nogaredo), da uve provenienti dalla Vallarsa (loc. Romini): di colore paglierino scarico, ha profumi soprattutto floreari, mentre rimangono in secondo piano gli agrumi e la componente vegetale aromatica; in bocca è caldo e di sapori mediamente intensi, in gioco tra sapidità ed acidità.

Alto gradimento anche per il cembrano Trentino DOC M.T. "Pietramontis" 2012 Villa Corniole (Verla di Giovo), dal colore paglierino scarico, con profumi minerali, vegetali "grassi" e di erbe aromatiche, oltre a sentori di agrumi; in bocca è relativamente caldo e morbido, con discreta acidità ma sapidità in primo piano (pur non elevata); di medio corpo, è piacevolmente equilibrato con un finale leggermente amaro.

Molto buono poi il tedesco M.T. 2012 Frank&Frei (Grosswallstadt, sul confine occidentale della Baviera) ha una variegato profumo fruttato di pere, agrumi e frutta esotica, accompagnato da note floreali ed aromatiche; presenta una leggera dolcezza ma il sapore prevalente rimane quello acido (medio), seguito dalla sapidità (medio-leggera); caldo e morbido, è nel complesso piacevolmente equilibrato.

Merita una menzione, infine, il Trentino DOC M.T. 2012 Fondazione E. Mach (San Michele A/A), da uva coltivata a Faedo: dal colore paglierino-verdolino, al naso mostra una notevole intensità, con profumi foreali, minerali e di frutta secca, oltre a note di pera e frutta esotica (ananas) (la Socia ci sente anche la liquirizia); in bocca prevale l'acidità (medio alta), seguita da una media sapidità; le durezze sono bilanciate da una grande morbidezza che lambisce l'untuosità.
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La Socia aggiunge, con fierezza, di aver messo in difficoltà l'esperto-enologo-di-turno con un timido (ma ben piazzato!) parere su un Gewürztraminer! Dopo tutto questo degustare che forse abbia imparato qualcosa?!

giovedì 11 luglio 2013

Formaggio Piovernetta e birra Clemens, due bei tipetti.

Scorre giugno, ricomincia l'alpeggio e, inevitabilmente, riprendono le gite in malga.
Inauguriamo la stagione venatoria (del "cheese-hunting", come direbbe Michael Jackson) con una trasferta a Malga Piovernetta, eretta a 1595 metri nei floridi e (in)contaminati dintorni del Passo Coe (Folgaria), tra un casermone-dormitorio qui, un impianto sciistico là e, tutto intorno, un panorama di natura "artificiale" che ricorda molto un parco pubblico. E vabbè...


L'unico cacio disponibile adesso - l'alpeggio è appena cominciato - è il Primo sale, che il gentilissimo gestore (e casaro) spiega essere stato ricavato da latte vaccino parzialmente scremato o intero, di razze pezzata rossa, grigio-alpina e bruna; il processo produttivo si caratterizza per il mancato uso di fermenti (neppure latte- o siero-innesti?), la coagulazione presamica con caglio bovino a 30-33°C circa in caldaie di rame e, poi, la semicottura a 45°C e l'immersione in salamoia per 12 ore. La nostra piccola forma, di circa 600g, è maturata solo per qualche giorno.
Il cacio ha una crosta sottile, morbida, elastica ed umida, di colore avorio. Lo stesso colore presenta la pasta, che ha una consistenza ancora più elastica, è priva di sottocrosta e mostra un'occhiatura diffusa e uniformemente distribuita, irregolare e di dimensioni piccole e medie.
I profumi rimandano al latte fresco, alla panna ed al burro, con accenni acidi (qualcunA poi azzarda: "budino", ma io mi dissocio); accanto, odori di vacca ed erbacei che ci ricordano - anche se in realtà non ci azzecca - il profumo "muschiato" dei formaggi di bufala; infine, c'è un sentore leggermente ammuffito che richiama l'interno della malga...
In bocca è  molto tenero ed elastico, umido, di scarsa solubilità e per nulla adesivo. I sapori sono di intensità medio-leggera, abbastanza equilibrati: all'inizio una media dolcezza, seguita dalla leggera acidità e dalla sapidità media, con una lieve amarezza finale.
Dobbiamo ammettere che da un formaggetto così fresco non ci aspettavamo affatto un'esperienza così interessante.

Durante il pasto, ci fa compagnia una Clemens ohne filter della Brauerei Clemens Härle (a Leutkirch im Allgäu, in quella parte dell'Algovia situata nel land Baden-Württenberg), kellerbier/zoiglbier di 5,4% ABV, birra a bassa fermentazione non filtrata, ottenuta da una miscela di malti tedeschi.
Il suo colore è ambrato torbido, con schiuma discretamente abbondante, bianca, fine e mediamente persistente. Ha profumi maltati e caramellati con note erbacee di luppolo e sentori tostati. In bocca, il corpo è medio-leggero, con un inizio dolce di intensità medio-elevata, seguito ed equilibrato dalla medio-leggera acidità e dal lungo finale amaro. La bocca rimane secca, pulita ed amara, in grande attesa della seconda bevuta.
Molto molto buona. Un po' troppo intensa, però, per il formaggio.

domenica 7 luglio 2013

Si può bere la Fravort sul Fontal? Non lo sapremo mai.

Sarà la Crisi, saranno le nostre deludenti esperienze con la ristorazione locale (troppo spesso prezzi troppo troppo alti rispetto alla qualità), noi proseguiamo imperterriti la serie infinita delle degustazioni caserecce...

Tralasciando il resto del pasto, perché sono un fissato, il cacio di stasera è un Fontal Predazzo del Caseificio Sociale di Predazzo e Moena s.c.: formaggio grasso, a coagulazione presamica, pasta cruda e pressata.
La materia prima è il latte vaccino intero, sottoposto a termizzazione ed addizionato con latte-innesto. Quanto al processo produttivo, la coagulazione avviene a circa 31-33°C, con l'aggiunta di caglio di vitello liquido; segue la spinatura e l'estrazione di parte del siero, con successivo innalzamento della temperatura ma senza una cottura in senso stretto.
La cagliata viene, poi, messa in fascere, avvolta in tele e sottoposta a pressatura per 4-5 ore, poi raffreddata. Il giorno seguente comincia la salatura (in salamoia) per 3-4 giorni e, infine, la stagionatura a 4-10°C con umidità relativa all'85-90%, per almeno un mese.
La nostra fetta è tagliata da una forma cilindrica di 8-10kg, con facce piane e scalzo diritto (tutti leggermente irregolari).
La crosta è liscia, secca, morbida ed elastica, nonché ammuffita. Il suo colore è ocra ma non uniforme, con ampie macchie bianche e verdi.
La pasta, invece, ha un colore paglierino tenue ed uniforme, con sottoscrosta molto sottile ed occhiatura irregolare, di dimensioni piccole e medie, distribuita in modo abbastanza uniforme. Ha una struttura tenera, lievemente umida, compatta ed elastica.
Al naso ha profumi semplici e di media intensità, con un prevalente odore di latte, burro e panna unito a note animali, di stalla e sudore, e leggeri sentori di fieno e (mi pare) frutta secca (ma quest'ultimo lo sento solo io).
Gli aromi in bocca corrispondono, con l'animale un po attenuato, mentre il sapore è per lo più dolce (medio-elevato), con leggera acidità, sapidità ed amaro medio-bassi. Nel palato il Fontal è adesivo e solubile, quasi fondente, con una certa umidità e (ma pare solo a me) una leggera grumosità al primo impatto.
La persistenza è media.
Gli fa compagnia una Fravort Freshbeer della s.r.l. Birra Valsugana (Ospedaletto), stile Helles a bassa fermentazione con 4,9% ABV.
Tutto ciò che sappiamo del prodotto è quanto mi avevano spiegato al birrificio al momento dell'acquisto, ossia, che la ricetta non corrisponde a quella della vecchia Fravort (per capirci, quella dall'etichetta grigio-dorata con l'effigie di rapace). Del resto, anche l'etichetta è cambiata, ora a sfondo bianco e molto più austera. E poi? Poi basta.
Quel che possiamo dire noi, è che la birra si presenta con schiuma bianca, discretamente abbondante ma di scarsa persistenza, e di colore dorato-ambrato poco intenso e velato. I profumi sono di malto e cereali, vagamente fruttati. In bocca è dolce e più corposa di quanto ci aspettassimo (anche troppo, per la tipologia), aspra e lievemente amara. Alla fine, sfugge via quasi subito.
Sulla bontà dell'abbinamento, però, non possiamo dire più di tanto perché, anche se il post è scritto al tempo presente, in realtà due settimane saran trascorse e... nel frattempo, ce ne siamo dimenticati (come ci siamo dimenticati di prendere appunti al riguardo). Per quel poco che ricordiamo, però, non legavano troppo bene...

lunedì 17 giugno 2013

Spressa vs. Rendena.

Stasera, confronto clandestino tra due pesi-medi trentini semigrassi, a coagulazione presamica ed a pasta semicotta e dura: ad un angolo, la Spressa delle Giudicarie DOP e, all'altro angolo, la Razza Rendena.
Si tratta - come spiega il buon Alvaro - di formaggi ottenuti grossomodo con lo stesso processo produttivo, fatte salve due differenze: per la Spressa è ammesso l'uso di latte delle razze Rendena, Bruna, Grigio-alpina, Frisona e Pezzata rossa, proveniente necessariamente da caseificio o, comunque, dal periodo precedente o successivo all'alpeggio; il Razza Rendena, invece, si ricava da solo latte bovino dell'omonima razza, ed è prevista sia la versione di caseificio (quella che assaggiamo stasera), sia la versione di malga.


Per il resto, entrambi i caci sono ottenuti da latte crudo, unendo la munta della sera scremata per affioramento con la munta del mattino, con l'aggiunta di latte-innesto e, poi, di caglio bovino; tutti e due, inoltre, sono sottoposti a semi-cottura attorno ai 42°C e dopo la caseificazione, vengono fatti stagionare per periodi medio-lunghi in locali con umidità variabile tra l'80 ed il 90% e temperature tra i 10°C ed i 20°C.

Le nostre due porzioni hanno una stagionatura simile, attorno ai 6-10 mesi, e sono state entrambe prodotte in qualche stabilimento della s.c.a. Latte Trento (che dal 2011 ha assorbito il precedente produttore, Caseificio di Pinzolo-Fiavé). Mentre però il Rendena è stato acquistato dall'Alvaro, la Spressa proviene dal bancone di un supermercato.

Le analogie tra i due formaggi, lungi dal fermarsi alle note di presentazione, proseguono anche nel corso dell'assaggio.
Nell'aspetto esterno, innanzitutto, i due pezzi sono quasi indistinguibili: lo scalzo è diritto; le facce convesse; la crosta è rugosa, dura, secca, elastica e dal colore irregolare (cioè, paglierino di media intensità con piccole macchie di muffa ocra, bianche e grigie).
Qualche divergenza si presenta nell'aspetto della pasta, il cui colore paglierino è, nella Spressa, un po' più tenue rispetto all'intensità (media) che raggiunge nel Razza Rendena.
L'occhiatura, inoltre, in tutti e due i pezzi è distribuita in modo uniforme e diffuso, e mostra una forma irregolare di piccole e medie dimensioni; nella Spressa, però, prevalgono gli occhi di dimensioni medie, mentre nel Razza Rendena gli occhi piccoli sono largamente preponderanti.
Il sottoscrosta è, invece, evidente e spesso in entrambi i pezzi.
In ambedue, poi, la pasta è semidura, compatta, secca ed elastica, ma nel Razza Rendena l'elasticità è molto molto più spinta.

La maggiore diversità emerge dopo, negli odori e negli aromi. La Spressa delle Giudicarie è difatti molto più semplice, con profumi di burro cotto e vegetali (freschi e grassi), che si ritrovano anche in bocca.
Il Razza Rendena è di maggior personalità e, a fianco del burro cotto e del vegetale grasso, mostra anche profumi di fieno, di sottobosco e di glutammato, con leggeri sentori di cuoio.
Nei sapori, i due pezzi ritornano a somigliarsi, tra dolcezza media, acidità bassa, sapidità medio-bassa ed amarezza bassa.
La struttura, infine, è elastica, di scarsa solubilità, semidura, grumosa e con pochissima tirosina nella Spressa.
Il Rendena si conferma invece nettamente più elastico e con tirosina in primo piano.
In definitiva, il Rendena (o Alvaro?) vince sulla Spressa, perché, pur senza uscire dai binari del disciplinare DOP (che pure non lo riguarderebbe), si rivela più tipico, ricco ed interessante.

Il nostro confronto è però solo un'amichevole di nessun rilievo e si conclude, pertanto, in una bella bevuta tra vinti e vincitori. Tiriamo fuori due birrette belghe d'abbazia dalla cantina (essendoci da poco accorti, con terrore, di averne una mastodontica scorta da oltre un anno, dimenticata a maturare ma ormai a rischio di rovina).
La prima è una Witkap-Pater Triple della Brouwerij Slaghmuylder (Ninove, nelle Fiandre Orientali), con 7,5% ABV, ottenuta da orzo maltato e mais, fatta fermentare a 25°C, poi maturata e, infine, messa a rifermentare in bottiglia.
Ha colore ambrato torbido, schiuma bianca ed abbondante ma di grana media e scarsa persistenza (il che potrebbe anche dipendere dalla vera e propria esplosione di schiuma, avvenuta al momento dell'apertura). Gli odori vanno dal malto caramellato alla frutta, soprattutto agrumi (ancora più netti in bocca) ed un connubio di uva e pere, poi lievito, sentori speziati e lievi note erbacee ed ossidate.
Al palato è morbida e di buon corpo (il mais, però, la rende meno piena delle altre Triple), è calda, di dolcezza medio-elevata, leggermente acida e di media amarezza, nel complesso ben equilibrata.
Si trova peraltro bene con il formaggio Razza Rendena, aiutando ad asciugare la saliva provocata dalla sua masticazione e dando buona continuità ai suoi profumi.

Viene poi il turno della St-Feuillien Triple della Brasserie St. Feuillien (Le Roeulx, nella provincia dell'Hainaut), con 8,5% ABV. Il colore è dorato-ambrato luminoso, leggermente velato, con schiuma bianca abbondante a grana fine. Profuma di malto, sia essiccato che caramellato, frutta secca (albicocca ed uvetta), con note di lievito e di banana; il luppolo non è pervenuto, probabilmente a causa del lungo riposo in cantina. Molto dolce, leggermente acida e con un amaro ancora discretamente intenso e persistente è, inoltre, bruciante, morbida e di corpo pieno.
Di formaggio, però, non riusciamo più a mangiarne: urge perfezionare la nostra tecnica di abbinamento.

domenica 9 giugno 2013

Malghe alvari ed orsi.

Una delle poche certezze, qui a Trento, in punto di formaggi - probabilmente l'avremo già detto - è la Bottega Trentina di Mr. Alvaro. Per lo meno, quando - come oggi - vogliamo assaggiare qualche cacio tipico trentino in ottima forma (e magari avere anche qualche informazione sulla sua provenienza e produzione, che raramente gli altri rivenditori sono in grado di fornirci).
Basta poi qualche manciata di agretti (e un'anima buona dientro ai fornelli) e la cena è fatta.


Il primo approccio è con il Nostrano di Piné di malga, prodotto dall'impresa agricola Maso Prener di Andrea Giovannini (Baselga di Piné).
E' un formaggio grasso, a coagulazione presamica, semi-duro (ad occhio) ed a pasta semi-cotta. Il latte è crudo ed intero e proviene dalle mucche Grigio alpine (presidio Slow Food) durante l'alpeggio a Bedollo, presso Malga Stramaiolo (che è gestita dalla stessa famiglia Giovannini).
Per ottenerlo, il latte viene riscaldato sino a 33°C, addizionato con il latte-innesto prodotto in loco e, poi, dopo circa 20 minuti, con del caglio vaccino, che nel giro di una mezz'oretta consente la coagulazione. Dopo la rottura in granuli delle dimensioni di un chicco di mais, la cagliata è semi-cotta a circa 42°C e, quindi, travasata sul tavolo spersorio; da qui, viene raccolta con teli di lino, inserita nelle fascere e pressata sotto pesi di 15 kg. Trascorse 24 ore, le forme sono poste in salamoia per circa 3 giorni e, infine, messe a maturare a 12°C di temperatura con un'umidità dell'85%, per alcuni mesi (la nostra, prodotta nel settembre 2012, ha 8-9 mesi).
Il nostro pezzo proviene da una forma cilindrica, regolare, con scalzo diritto e facce abbastanza convesse.
La crosta è liscia, dura, leggermente untuosa ed un po' ammuffita; il colore non è uniforme, paglierino intenso in alcune zone ed ocra in altre, con piccole macchie bianche.
La pasta, invece, è uniforme nel suo giallo paglierino intenso, con un sottocrosta presente e spesso (anche se non molto carico). Ha una struttura semi-dura, deformabile, piuttosto compatta e con una accenno di untuosità. L'occhiatura è piccola e media, di forma irregolare, diffusa ed uniformemente distribuita su tutta la superficie.
Unico elemento di discontinuità è rappresentato da alcune sfoglie concentrate nella fascia centrale.
Al naso è di media intensità, con profumi lattici (soprattutto di burro e panna un po' cotti) ma, soprattutto, vegetali, di erba fresca e fermentata e di sottobosco. Più o meno gli stessi profumi li ritroviamo in bocca, con aromi burrosi iniziali più accentuati e, nel finale, note di frutta secca.
Ha una dolcezza medio-elevata, una sapidità media ed una leggera acidità; forse è un po' eccessivo l'amaro, di intensità media e persistente.
La struttura al palato è nettamente "pastosa", discretamente adesiva, deformabile, di media solubilità ed con una leggera umidità; netta, poi, la presenza di cristalli di tirosina.

Si passa poi ad un Vezzena di malga - Presidio Slow Food - della s.c.a. Caseificio degli Altipiani e del Vezzena (Lavarone) risalente, addirittura, al luglio 2011 (22 mesi di stagionatura - yep!).
Si tratta di un formaggio semi-grasso, a coagulazione presamica, (ad occhio) duro ed a pasta semicotta.
Il latte è crudo e parzialmente scremato (mungitura della sera e del mattino), addizionato con latte-innesto a circa 33°C per una ventina di minuti; la coagulazione è procurata dal caglio bovino e dura 20-25 minuti, seguita dalla rottura fino alle dimensioni di un chicco di mais e, successivamente, da una lenta semi-cottura a 48°C per circa 20 minuti. Dopo una sosta nel siero di 30-40 minuti la cagliata è estratta, messa in fascera e, lì, pressata. Trascorsi circa quattro giorni, le forme vengono salate per 10 giorni e, infine, poste a stagionare a 13-17°C con umidità all'80-85%.
Stando al nostro pezzo, lo scalzo e le facce della forma appaiono perfettamente diritti. La crosta è a zone ruvida e, in altre zone, liscia; è inoltre dura e secca e - dall'odore di olio - sembrerebbe trattata. Di colore non uniforme, ocra con chiazze marroni e bianche.
La sua pasta ha un colore paglierino di media intensità, ben uniforme, con un sottocrosta presente, carico e spesso. La struttura, poi, è dura, friabile e compatta, priva di occhiature ma con qualche (rada) sfoglia.
Gli odori sono un vero calderone, da cui peschiamo latte cotto, frutta secca, glutammato, accenni di erba, note terrose e note speziate (potrebbe essere noce moscata), sentori di cuoio e di affumicato e - io però non lo avverto - odore di "olio di pesce". In bocca, inoltre, si distinguono anche aromi di pesce secco, di noce e, presso la crosta, di sottobosco.
Al palato si dimostra molto equilibrato, con dolcezza media, sapidità medio-elevata e leggera acidità, oltre ad un tenue finale amaro. Anche la sua media piccantezza e la leggera astringenza ci pare che ci stiano bene.
La sua struttura, infine, è dura, secca, rigida e granulosa.
Un cacio davvero ricco e buonissimo.

Ci beviamo sopra una Bira da l'Ors della s.r.l. Birrificio Val Rendena (Pinzolo-Giustino); l'impresa, avviata nel 2012, si dedica quasi esclusivamente alla bassa fermentazione di stile tedesco e, stando al suo sito Internet, utilizza acqua di Vadajone, luppoli Hallertau e malti anch'essi bavaresi.
L'unica Ale della loro linea è, per l'appunto, la Bira da l'Ors, che si distingue dalle altre anche sotto il profilo estetico (ben più elegante) e di prezzo (ben più consistente); degli ingredienti non sappiamo nulla ma - sembra di capire - il mastro birraio si è ispirato ad alcune "ricette locali".
Si presenta di un intenso color ambrato-arancione, con una schiuma bianca-paglierina, abbastanza fine, persistente ma non abbondante.
L'odore, di media intensità, è maltato con accenni caramellati, note erbacee di luppolo e sentori fruttati.
Di gusto è dolce (medio), acido (leggero) e con leggero finale amaro; al palato, però, ci sembra che sfugga un po' via, complici un po' la tenuità e scarsa persistenza dei sapori, un po' la scarsa effervescenza, un po' il corpo che è molto più leggero delle aspettative.
Per quanto riguarda l'abbinamento, poteva andarci meglio: la birra risulta infatti non abbastanza acida per fronteggiare la pastosità del primo formaggio e neppure abbastanza intensa per bilanciare il vecchio Vezzena. E vabbè...

domenica 2 giugno 2013

Mostra dei Vini di Bolzano, ovvero: com'è possibile che noi trentini non prendiamo mai esempio.

E' nel lussureggiante giardino del Parkhotel Laurin, con un sottofondo di vivaci note jazzeggianti di impronta sudamericana ("tipo-bossanova", commenta l'Altra), che comincia, con un brunch, il nostro Festival del Gusto.
Siamo a "Swinging Bubbles", delizioso aperitivo (nonostante il terribile nome) all'insegna del Metodo Classico altoatesino.


L'ambiente è distinto, di classe, ma anche rilassato e disteso, senza pesantezze o rigidità. E, in un certo senso, lo stesso vale per il buffet, dove si trovano, oltre alle immancabili sfoglie salate, anche formaggi pusteresi semi-stagionati (semplici e lattici, ma piacevoli), filetti di salmone (che un'attempata signora, per comodità, si porta via con l'intero vassoio), spiedini di frutta e speck; ad un certo punto, sfornano pure risottini al formaggio ed un tenerissimo roast-beef con patate.

Quanto allo spumante, sono presenti, credo, tutti i produttori dell'Alto Adige, e tutti - dannazione - gelano i loro vini nel ghiaccio.
Fra i (numerosi) bicchieri bevuti, ci impressiona soprattutto l'A.A. DOC Brut Ris. "Comitissa" Lorenz Martini (Appiano), da uve Pinot nero, Chardonnay e Pinot bianco provenienti dell'Oltradige (Cornaiano, Appiano Monte e San Genesio). Il vino, rimasto 36 mesi sui lieviti, mostra un colore dorato molto luminoso ed un perlage finissimo e persistente; sentiamo odori di mele mature, di frutta secca (mandorle) e miele, con note minerali e vagamente speziate; al palato è morbido e vellutato ma, al contempo, vivo e ben sapido.


Da menzionare anche l'A.A. DOC Brut Rosé "Excellor" Arunda (Meltina), Pinot nero al 100%, rimasto sui lieviti per 24 mesi: di colore rosa cipolla, ha profumi di frutti di bosco, di erbe aromatiche e di terra; in bocca è molto equilibrato, con corpo pieno e morbido, media acidità e leggero finale amaro.
Qualche altro vino, invece, non riusciamo proprio a capirlo, nonostante fonti autorevoli ed affidabili ne dicano molto bene: quindi, essendo senz'altro colpa dei nostri limiti, ci ripromettiamo di riassaggiarlo quanto prima.

Bevi questo e bevi quello, il giardino dell'Hotel Laurin ci fa quasi dimenticare della Mostra dei vini vera e propria, cioè della "degustazione varietale"; alla quale - complice anche un intermezzo per i banchetti del Festival del Gusto - riusciamo a dedicare ben poco tempo.
Ed è un vero peccato, perché mai abbiamo partecipato ad un'esposizione così ben organizzata: le bottiglie, ciascuna accompagnata da una breve descrizione tecnica, sono disposte in fila, in due grandi saloni silenziosi e tranquilli; inoltre - scelta secondo me felicissima - sono ordinate non per produttore ma per varietà di vite, rendendo così molto più agevole farsi un'idea dello stato dell'arte. (E forse quaggiù in trentonia farebbero bene a prendere ispirazione da questa formula, abbandonando, quanto prima possibile, lo schema "da aperitivo" della mostra 2013).


Pur con un po' troppa fretta, noi gironzoliamo e ci serviamo in libertà, appuntando alcune etichette:
A.A. DOC Pinot bianco 2012 Alois Lageder (Magrè), dal colore giallo paglierino scarico ma luminoso, ha odori di mela matura, di fiori, accompagnati da note vagamente sulfuree, minerali ed argillose; è caldo e molto morbido, notevolmente sapido e di discreta acidità.
A.A. DOC Pinot bianco "Plattenriegl" 2012 Girlan (Cornaiano/Girlan) prende il nome da un vigneto posto sopra la frazione di San Michele, a 550 m. Il colore è paglierino scarico, luminoso; profuma di mela e frutta esotica, con sentori floreali; al palato è parecchio caldo, morbido, molto sapido e di media acidità.


A.A. DOC Pinot Bianco "Sirmian" 2012 Nals Margreid (Nalles) proviene da vigneti nell'omonima frazione; i suoi profumi rimandano alla mela, agli agrumi ed all'ananas; in bocca è sapido ed aspro ma, al contempo, sufficientemente morbido. Della sua varietà, è quello che più apprezziamo.
A.A. DOC Sauvignon blanc "Stern" 2012 Erste + Neue (Caldaro) è il Sauvignon che incontra il gusto di entrambi. Di colore paglierino poco carico, al naso profuma di uva spina ed erba mentre, in bocca, si aggiungono aromi di agrumi e fiori d'arancio; è caldo, abbastanza sapido e pure discretamente acido, di corpo medio.
A.A. DOC Sauvignon blanc "Mantele" 2012 Nals Margreid proviene dall'omonimo vitigno; ha profumi di mela ed uva spina, con sentori erbacei e floreali; al palato è piuttosto minerale, acido e comunque morbido.
A.A. DOC Sauvignon blanc "Tannenberg" 2011 Manincor (Caldaro) di colore paglierino-dorato scarico ma brillante, odora di sambuco e di agrumi, con note vegetali e minerali; è morbido, delicatamente acido e, soprattutto, sapido.  
A.A. DOC Gewurztraminer "Flora" 2011 Girlan (Cornaiano/Girlan), uno dei preferiti della giornata, è ottenuto da uve provenienti da Cornaiano e da Cortaccia. Di colore paglierino-dorato, ha un intenso profumo floreale con note di agrumi (limone), di bergamotto e di spezie. In bocca si mostra pieno, caldo e morbido, dal sapore leggermente dolce, abbastanza fresco, con prevalente sensazione sapida.


A.A. DOC Gewurztraminer "Nussbaumer" 2011 Cantina Tramin (Termeno), da uva coltivata presso l'omonimo maso, ha colore paglierino-dorato carico e abbastanza luminoso, ha profumi di ananas e litci e note floreali.
A.A. DOC S. Maddalena 2012 Tenuta Waldgries (Bolzano) di un colore rubino leggero e brillante; ci sentiamo odori di frutti di bosco, di mosto e di fiori; ha corpo medio; leggermente tannico e sapido.

domenica 26 maggio 2013

Giornate altoatesine del Pinot nero.

Stavolta, peccato, nessun produttore a farci compagnia: solo io, Quella e le tavolate colme di bottiglie (e poi le "hostess", come sempre dannatamente parsimoniose nel mescere il succo).
Il lato positivo - qui come negli altri concorsi enologici - sta invece nell'estremo ordine: ogni ospite riceve il proprio catalogo-menù; ogni vino ha la sua piccola scheda con i dati chimici, la fascia di prezzo e lo spazio per gli appunti; ogni bottiglia è collocata nella posizione corrispondente al numero indicato nel catalogo: molto riposante.


Quassù in Alto Adige, poi, anche il pubblico sembra più ordinato e compìto e - sarà forse l'influsso del catalogo? - quasi tutti prendono appunti.
Per due neofiti come noi, la mostra si rivela estremamente istruttiva. In assaggio ci sono, per lo più, Pinot altoatesini, con una discreta compagine di vini trentini ed alcune comparse dal resto d'Italia e del mondo (che tuttavia, tranne i francesi, non sperimentiamo, perché la nostra deplorevole tendenza a deglutire ci impone di essere molto selettivi).
Non so se dipenda dal caso o dalla qualità diffusa ma, tra le mani, ci capitano quasi solo vini piacevolissimi. E ciò nonostante, sono esclusivamente le produzioni altoatesine (ma in realtà solo alcune) a darci l'impressione di avere una marcia in più, rispetto a tutti gli altri vini: quel non-so-che di finezza ed eleganza, sia al naso che in bocca, capace di regalarci un coinvolgimento particolare. Probabilmente è una fesseria, anche perché la classifica "vera" non tiene minimamente conto di questa nostre considerazioni e - sicuramente a ragione - premia anche diversi vini trentini.
Comunque, a proposito di classifiche, è un peccato non essere riusciti a rinvenire da nessuna parte (né sul sito della manifestazione, né su quello del Centro Sperimentale Laimburg) i parametri di valutazione utilizzati.

Ad ogni buon conto, appunto alcuni tra i preferiti miei, suoi o di entrambi, in ordine sparso.

A.A. DOC Pinot Nero Ris. "Burgum Novum" 2010 Castelfeder (Cortina sulla strada del vino) proviene dalla zona di Gleno, nei dintorni di Montagna; maturato in barrique per 15 mesi; ha colore rubino quasi granato, poco intenso, brillante; al naso si distinguono nettamente i profumi fruttati di ciliegia e frutti di bosco, con un'intrigante complessità speziata in sottofondo, di vaniglia, cannella, noce moscata, pepe e chissà cos'altro; in bocca è morbido e di medio corpo, molto acido e con un tannini lievi e delicati. 

A.A. DOC Pinot Nero "Ludwig" 2010 Elena Walch (Termeno) dal terreno sabbioso-argilloso della zona di Glen (Montagna), è un vino maturato in barrique per 14 mesi; ha colore rubino con riflessi granati, di media intensità; i profumi sono fruttati, in particolare di prugna secca, con sentori di vegetali secchi e vaniglia; di medio corpo, al palato è morbido, acido e dal tannino evidente e persistente, ma non aggressivo.

A.A. DOC Pinot Nero 2010 Franz Haas (Montagna) è rimasto in barrique per un anno; il colore è rubino tenue e luminoso; ha profumi di frutti di bosco e ciliegia tendenti al "cotto", di spezie, vegetali di sottobosco e sulfurei; ha corpo medio-leggero, caldo, tannini morbidi e persistenti e buona acidità a vivacizzare.

A.A. DOC Pinot Nero Ris. "Montigl" 2010 Cantina Terlano, maturato per 12 mesi in legno, in parte in botte grande ed in parte in barrique, ha colore rubino tenue e brillante, profumi di tostatura e vaniglia in primo piano, con note vegetali-terrose, di agrumi, minerali e sulfuree; al palato è pieno e morbido, tannico, caldo, di media acidità.

A.A. DOC Pinot Nero "Panigl" 2010 Klosterhof (Caldaro) passa 12 mesi di maturazione in barrique; dal colore rubino-granato, ha profumi vegetali, di terra e ciliegia; dotato di medio corpo, in bocca è sapido e mediamente acido, con tannini lievi ma persistenti. 

A.A. DOC Pinot Nero "Mason" 2010 Manincor (Caldaro), da uva coltivata sui terreni sabbiosi della località Mazzon di Caldaro; maturato 12 mesi in barrique; ha colore rubino tenute, molto luminoso; il profumo è variegato di ciliegie, tè nero, fiori, spezie e terra; in bocca, ha corpo leggero e morbido, con tannini ed acidità ben presenti ma non aggressivi.

A.A. DOC Pinot Nero Ris. "Linticlarus" 2010 Tiefenbrunner (Cortaccia) ha un lieve colore rubino tendente al granato, particolarmente brillante; odora di spezie e ciliegia, con note di fragola e frutti di bosco; al palato è equilibrato: caldo, morbido, con corpo più pieno dei precedenti ed acidità meno evidente, mentre il tannino è lieve ma persistente.

A.A. DOC Pinot Nero Ris. "Hausmannhof" 2010 Haderburg (Salorno) viene da un terreno argilloso-calcareo nella frazione di Pochi, coltivato secondo i dettami biodinamici; matura in barrique per 12 mesi; ha un lieve colore rubino ed odori di ciliegie i frutti di bosco, con un sottofondo etereo, vanigliato e leggere note di arancia; di corpo medio, è morbido ed equilibrato la discreta acidità ed il tannino sottile.

A.A. DOC Pinot Nero "Castel Juval" 2010 Unterortl (Castelbello), da uva coltivata sul colle Juval, accanto all'omonimo castello in Val Venosta; matura in barrique per circa un anno; ha colore rubino scarico, profuma di ciliegia acerba, frutti di bosco e fiori, oltre a vaghi sentori speziati, vegetali e terrosi; in bocca si distingono anche note di liquirizia; di medio corpo, è aspro, tannico e si fa bere ch'è un piacere.

Proviamo anche alcuni vini di Borgogna ma valutarli è un po' difficile, sia perché i nostri sensi sono oramai provatissimi, sia perché ce ne versano gocce che non basterebbero neppure ad avvinare il bicchiere, sia, infine, perché sembrano piuttosto tenui.
Il mio preferito è comunque il Volnay les Pitures 1er Cru 2010 Domaine Dublere, dalla Cote de Beaune, è rimasto in botte per 18-20 mesi; il colore è rubino di media intensità, i suoi odori sono, come detto, tenui, e ricordano ciliegia, spezie, tè e fiori; mostra un corpo medio e l'impatto in bocca è lieve e fine, con una certa acidità e tannini leggeri.