martedì 29 maggio 2012

Tome al buio.

Prima o poi parteciperò ad una delle cosiddette "cene al buio": quelle iniziative di sensibilizzazione organizzate dai veri-ciechi per - immagino - divertirsi alle spalle di finti-ciechi che si sporcano gli abiti.
Per ora, però, devo accontentarmi di una cena casalinga alle 9 di sera sul terrazzo, ospite della Geniale organizzatrice: il risultato pratico è, involontariamente, lo stesso, ma senza veri-ciechi a soccorrerci.
Il pasto merita comunque una menzione per via delle seguenti formaggesche portate.

Per prima, una Toma piemontese DOP prodotta da Valle Josina (Peveragno, CN): formaggio grasso, di latte vaccino intero sottoposto a termizzazione, coagulato con caglio di vitello; è stagionato per almeno 60 giorni; la pasta è cotta e semidura, color giallo paglierino, deformabile e leggermente elastica, con diffusa occhiatura di piccole e medie dimensioni; profuma prevalentemente di latte e fieno, ma c'è qualcos'altro che non distinguiamo (vegetale fermentato? insilato? saremo costretti ad andare in vacanza nei pascoli per imparare?); il sapore è equilibrato, tra discreta dolcezza ed acidità, nonché amarognolo finale (forse anche troppo). Semplice ma molto buono.


C'è poi il Coeur de Coupigny di Villiers (Illois, Alta Normandia), un piccolo formaggetto di latte vaccino, a crosta fiorita e con le facce a cuore, in pratica, una versione in miniatura (30 g) del Coeur de Neufchatel AOP; la stagionatura è di 15 giorni, è di consistenza semidura, poco umido e poco solubile; leggermente dolce ed acido, risulta dominato da un'intensa sapidità unita, poi, ad una certa amarezza; al naso si percepisce quasi esclusivamente l'odore di muffa e cuoio della crosta, mentre l'aroma in bocca è arricchito da note animali e leggermente ammoniacali.

Anche l'ultimo formaggio, Le petit tentation di Etoile du Vercors (Rodano-Alpi in Francia), è a crosta fiorita, tappezzata però da muffette bianche, nere e verdi; di latte vaccino crudo e, per il 9%, panna; la pasta è giallo paglierino, molle e deformabile; di intensa dolcezza, buona acidità e sapidità, si conclude però con un'amarezza eccessiva; intensi anche i profumi, per lo più di muffa e budino al cioccolato, oltre alle nocciole amare ed a qualche accenno di ammoniaca. Probabilmente è stato conservato troppo.

Di accompagnamento, una birra Fifth Sense di Joseph Holt (Manchester), stile Premium Bitter con 4,3% di alcol, luppoli Styrian; colore ambrato limpido e schiuma fine, poco persistente; è una birra fresca e piacevole, poco dolce, abbastanza acida e con finale secco ed amaro; odore è soprattutto di erbaceo di luppolo, fioreale e fruttato, con un sottofondo di malto tostato e caramellato. Equilibrata e molto valida, sta bene soprattutto con la prima toma.

giovedì 17 maggio 2012

Dov'è il cacio?

Ma come si fa a cambiare un nome geniale come "Birra & Cacio" con un banalissimo - ed impronunciabile - "Birra & Sapori"? Bah...
A Padova, comunque, c'è questo locale, che è una sorta di beer-bar per pranzi semplici e veloci e - pare - degustazioni serali di formaggi e salumi. Un posto ggiovanile, moderno, abbastanza banale (stile da franchising), non fosse per la sua specializzazione: le birre artigianali italiane.
Buona occasione per tastare, innanzitutto, una Re Ale Birra del Borgo (Borgorose, RI), stile IPA con luppoli aromatici americani, alc. 6,5% vol. Versata dalla spina, si presenta di colore ambrato, con schiuma di discreta densità e persistenza sfumata di marrone; sprigiona profumi di malto tostato, caramello, agrumi e qualche altro indefinito aroma o spezia, mentre in bocca è abbastanza densa, leggermente dolce, poi un po' acida e, infine, di un amaro persistente ma non aggressivo.

Dato che non riusciamo a mangiare granché - ingolfati ancora dalla sera precedente - cerchiamo di nutrirci a birra, ordinando una Contessa di Birra Amiata (Arcidosso, GR), American Pale Ale con malti d'orzo e frumento, fiocchi d'orzo e sia lieviti che luppoli americani (precisamente, Chinook ad inizio bollitura, poi Cascade, poi Amarillo e, per finire, dry hopping con Chinook e Cascade). L'alcol è al 7,5%.
Ha colore dorato e luminoso, schiuma bianca, simile al sapone e di una certa persistenza; l'odore è leggermente maltato, per lo più floreale e di frutta acida, con note di crosta di pane; di media densità, ha sapore leggermente dolce, discretamente acido e, poi, intensamente amaro.
Insomma, una pausa corroborante. Ma davvero un peccato non essere passati in orario da formaggi.

martedì 15 maggio 2012

Vignaioli, stile trentino.

Non solo assaggi, a questa mostra-mercato dei vignaioli trentini, ma anche il ritorno alla tradizione!
Come risaputo, infatti, una manifestazione eno-gastronomica non può dirsi davvero "trentina" se non esprime l'inguaribile, simpaticissima grettezza parsimonia tipica degli organizzatori nostrani. Ed ecco che, dopo numerose (preoccupanti) smentite negli eventi dell'ultimo periodo, viene orgogliosamente riaffermata la fortunata formula del "pagare tanto per avere poco".
In realtà, dietro questa avvincente premessa non c'è niente di che: solo piccole miserie ed una leggera delusione. Insomma, perché pavoneggiarsi con i nomi di grandi chef per l'"area-ristorante" quando, poi, si intende servire 30 grammi di pasta fredda in un piatto di plastica, con posate di plastica, da mangiare in piedi? Allo stesso modo, perché vendere, comprese nel biglietto d'ingresso, quelle "degustazioni di prodotti tipici" che, poi, sarebbero state quasi tutte a pagamento? (Ma a questi rivenditori, peraltro, non basta la pubblicità che ricavano dalla loro presenza nella mostra?) La conclusione è una soltanto: capita sempre in Provincia di Trento.

Detto questo, si può precisare che la manifestazione è, nel complesso, interessante e piacevole, con molti stand di vignaioli ed un'abbondantissima offerta di buoni vini: in pratica, una "mostra dei vini del trentino" con poco di più e poco di meno.

Quanto ai vini, prescindendo dalle conferme di qualità (vedi il Moratèl Cesconi o il Sangue di Drago Donati), ci sono notevoli gradevolissime scoperte, da riprovare a mente (bocca) fredda:
- Trento DOC Brut Riserva 2005 Balter (Rovereto), taglio di 80% chardonnay e 20% pinot nero, piacevolmente fresco e vivace malgrado rimasto per ben 6 anni a rifermentare in bottiglia;
- Trentino DOC Marzemino Superiore di Isera "Husar" 2008 de Tarczal (Isera), da piante di 40-45 anni, vendemmia tardiva (mi pare di aver capito), per un risultato di grande intensità cromatica, olfattiva e gustativa, caratterizzato da profumi di viola, frutti rossi, frutta macerata e note speziate e da sensazioni fresche, sapide, tanniche ed abbastanza morbide;
- Vino Bianco da uve stramature "San Martim" Grigoletti (Nomi), da uve Chardonnay, Sauvignon Blanc, Moscato e Traminer aromatico, vendemmiate in novembre, maturato per 5 mesi in acciaio ed altri 24 in bottiglia, in bocca fresco e morbido, dominato da note di albicocca, frutta candita e, soprattutto, zafferano (forse anche troppo) - in realtà già assaggiato in passato, ma ci aveva stupito molto meno;
- VdD IGT Incrocio Manzoni "Isidor" Vignaiolo Fanti (Pressano), ottenuto dopo breve macerazione sulle bucce e, a seguito della fermentazione, 10 mesi di maturazione sui lieviti oltre all'affinamento in bottiglia: il risultato è ben equilibrato tra acidità e sapidità minerale da una lato, calore (13,5!) e morbidezza dall'altro; il profumo è fruttato, floreale e quasi erbaceo;
- Valle d'Aosta DOP Chardonnay e Chardonnay Cuvée Bois Les Cretes (Aymavilles - Valle d'Aosta) sono esempi dell'incredibile influenza, sul vitigno, dell'ambiente di coltivazione: ovvero, di come due comunissimi chardonnay possano, in questa regione, assumere connotati tanto diversi da quelli (per noi) abituali, tanto in bocca (dove la freschezza passa quasi in secondo piano dietro sapidità e morbidezza), quanto al naso (dove la frutta è molto più estiva ed esotica della nostra e, nel Cuvée Bois, è accompagnata da intense note speziate, soprattutto di vaniglia, derivanti dalle botti di maturazione).
Questo è il succo.

domenica 13 maggio 2012

Alle volte vita dura.

Breve ma intenso il nostro pellegrinaggio birrista nel vicentino. Tappa principale: "Alle volte", il pub-ristorante gestito dall'autorevole esperto di birra Antonio Canale, che è un professionista e al contempo un amatore, come, del resto, la gran parte di umanità che popola il piccolo mondo birrario (a differenza dell'ambiente del vino, nel quale la passione - sempre ci sia - si rivela molto meno nella persona dell'imprenditore, per tanti ipotizzabili motivi).

Il locale non ha nulla della rustica, cupa ed intrigante taverna delle nostre aspettative, anzi, è sgargiante, vanitoso, una sorta di cappella privata sospesa tra il sacro ed il kitsch (a me comunque piace).
Data l'importanza dell'evento - siamo nel tempio di una vera autorità del settore - sperimentiamo i "menù degustazione", rimettendo al cuoco-padrone ogni decisione sul destino della serata.

Si comincia con un semplice ma originalissimo aperitivo di Kriek (80%) e Prosecco (20%). La Kriek, per la cronaca, dovrebbe essere una birra a base Lambic invecchiato 18 mesi, al quale vengono aggiunte ciliegie acide per provocare una seconda fermentazione, che dura complessivamente 5-6 mesi, dopo di che viene imbottigliata assieme a del Lambic giovane, per l'ultima rifermentazione.
Insomma, un'ottima idea, per una bevanda facile, fresca, profumata e frizzante, leggermente dolce e sapida. A volerla proporre, avrebbe sicuramente successo in qualunque bar da centro-città.
Le portate muovono da sei assaggi di antipasto, tra cui lonzino stagionato con ricotta alla Guinness, tonno affumicato con salsina di Lambic e mela, bresaola con pesto di rucola, prosciutto di cervo con funghi ed involtini di melanzane, dei quali solo gli ultimi due, però, superano il livello della mediocrità.
Soltanto in alcuni, inoltre, l'ingrediente birra trova effettivamente riscontro nel sapore finale.
 In abbinamento, una Maxlrainer Helles della Schlossbrauerei Maxlrain (in un omonimo paesino a sud di Monaco), classica birra chiara bavarese, con 4,8% di alc. vol., schiuma abbastanza fine e persistente, tenue intensità olfattiva di malto e luppolo. In bocca è beverina e rotonda, leggermente dolce, acidognola e con finale secco ed amaro.

Il primo primo consiste in tagliatelle al nero di seppia, gamberetti e zucchine, adagiate su una sfoglia di formaggio: un ottimo pretesto per gustarsi La Trappe Witte dell'Abbazia di Koningshoeven (Tilburg, nel Brabante Settentrionale, NL), birra trappista in stile blanche di un torbido giallo paglierino, corpo leggero, profumi non particolarmente intensi di frumento, agrumi e spezie; fresca ed appena amara; sul pesce ci sta bene.

Poi subentrano i garganelli con salsiccia, peperoni e rucola - saporiti ma un po' troppo cotti - e dell'altra pasta ripiena di provola e speck. Anche in tal caso, la cosa migliore è l'accostamento con l'Abbaye d'Aulne Triple Blond della Brasserie Val de Sambre (a Gozée, nella Vallonia belga), 9% alc., caratterizzata dal colore dorato, la schiuma meno fine e persistente delle precedenti, i profumi di arancia, frutta esotica, luppolo; abbastanza densa, il suo gusto è leggermente dolce, acido, con finale amarognolo e secco.
 Proprio quando i nostri eroi, ahimè, cominciano a vacillare, arriva la portata migliore dell'intera cena: uno strepitoso roastbeef sanguinolento e tenerissimo, con agrodolce condimento di uva e Gueuze, accompagnato da patate.
Anche la birra è la preferita della serata (mia, ché l'Altra propende per la Pale Ale). Si tratta della Gouden Carolus Classic della Het Anker (Malines, Fiandre del Belgio): è scura, di 8,5 gradi, con schiuma sfumata al marrone; profuma di malto tostato, caramello e forse cioccolato, in bocca è dolce, densa e rotonda, alcolica, ben equilibrata.
 Introdurre nello stomaco l'ultima portata non è cosa da tutti, ma il filetto di manzo, con riduzione di birra Scubi e radicchio, si merita una notte insonne in attesa della digestione.
La Scubi del Birrone (Isola Vicentina, VI), che avrei avuto occasione di provare il giorno successivo, è una gran birra a bassa fermentazione, con 5,6% alc., corpo snello e beverino, profumo intenso di malto torrefatto e caramellato, leggermente fruttato, dolce.
 In abbinamento però c'è un'altra birra alla spina: sicuramente una La Trappe, ma quale?! Comunque, il colore è ambrato scuro, luminoso, con odore di malto caramellato, frutta, banana, per quel poco che riusciamo ancora a percepire.

Quanto tutto sembra finito, torna a tradimento la Kriek, stavolta pura (ma di che marca?), in compagnia di una sorta di crostata con crema e mirtilli.
 E' una strage, e ci prefiggiamo di ritornarci per un pasto umano e delle birre a scelta. L'opinione è positiva, ché il prezzo è onesto ed il cibo mediamente buono - molto buone, invece, solo poche portate.
Certo, probabilmente il tipo di cucina avrebbe preteso una breve introduzione per ogni piatto, ma il cuoco era all'opera ed il cameriere alle prese, da solo, con l'intera clientela.