giovedì 24 marzo 2011

Aperitivi Slow Food, sulla scia del gusto 2#.

Contestualizzo la postazione di lavoro: cappuccino e biscotti alla cannella spagnoli, macchina fotografica, guida Slow Wine 2011 e volantino aperitivi Slow Food (mi sento la Carrie Bradshaw del vino...tipo sex and the wine...no per quello c'è la Geisha Gourmet...e allora...wine and the city...ecco!)

Slow Food , dal momento in cui abbiamo stretto la tesserina di socio giovane tra le nostre mani di lattante, ci propina assaggi e ingozzamenti più o meno ingenti. Il primo aperitivo slow al Simposio, in data 8 febbraio 2011, presentava il riso di Grumolo delle Abbadesse (Presidio Slow Food) che incontra scaglie di Trentingrana DOP e olio del Garda DOP, il vino purtroppo non è sfuggito al palato ma allo sguardo.

Lo scorso martedì 15 marzo titolava l'ora dell'aperitivo con un accattivante "di che colore è la tua polenta?", polenta è sinonimo di grandi quantità e cibi saporiti e grassocci in accompagnamento...e così è stato.
Nel nostro piattino si sono sposati presidi veneti e trentini bagnati da un vino d'agricoltura biodinamica (che si è vero segue il calendario lunare!).

La polenta la definirei molto chic, un delicato semolino a confronto della cara e vecchia "giallona" dalla grana grossa che cucinava la mia nonna, il mais biancoperla (Presidio SF) è l'ingrediente principale insieme ad acqua e sale. Le pannocchie affusolate con chicchi perlacei e brillanti si coltivano nel territorio collinare tra Treviso e Venezia (viene infatti chiamata polenta di Treviso), viene spesso abbinata a quelli che per noi montanari sono piccoli tesori marini come moeche, gamberi e baccalà, considerati invece cibo povero per gente di laguna e "terra ferma".

Coloravano la polentina alcune fettine di luganega trentina (Presidio SF) e l'ormai onnipresente mortandela della Val di Non (Presidio SF), entrambi salumi che a mio parere dovrebbero sempre essere accompagnati e alternati da almeno un tocchetto di formaggio stagionato o un vino proprio di quelli corposi.
La luganega ognuno la prepara diversamente (gli ingredienti sono comunque quasi sempre gli stessi: carne magra e lardo di suino, sale pepe macinato e aglio), ricordo che papà degustava le luganeghe che ci venivano regalate come noi degustiamo ora il vino - quando ero piccola era normale ricevere in dono una luganega o un sacco di patate... ora non più purtroppo -. Il salcicciotto trentino rimane comunque molto apprezzato e gustoso e la sua ciccia fresca si sposa perfettamente con la calda polenta.
La mortandela è una specie di vip food, sempre presente e se ne parla comunque nel bene o nel male, quella degustata era piuttosto fresca e meno saporita di altre assaggiate. La palletta di carne suina e aromi non insaccata e affumicata viene lasciata a riposare/stagionare su assi di legno e strati sottili di farina di grano saraceno per almeno 25 giorni.

Guest star della serata la produttrice del vino proposto in accompagnamento alle cibarie, un Vallagarina IGT Cabernet Sauvignon dell'azienda agricola Vilàr, un rosso intenso che però a mio avviso non copriva o pareggiava l'intesità dei salumi.

martedì 15 marzo 2011

La tradizione da zero?

Qual è la differenza tra il confronto critico con la propria tradizione gastronomica e la preparazione di un piatto tradizionale personalizzato?
Semplice: il primo tipo di gioco presuppone l'esperienza, la dimestichezza con lo specifico prodotto tradizionale, il quale viene sviluppato attraverso sia le ulteriori esperienze del cuoco, sia la sua inventiva; la seconda attività, invece, muovendo da un'esperienza pratica estranea al prodotto tradizionale, si basa esclusivamente sulla curiosità del cuoco, che intende riprodurre (da zero) un piatto dal quale è incuriosito per qualche motivo (la diversità rispetto a ciò che è gli abituale, i ricordi del passato ecc.), innovandolo (anche inconsciamente) in conseguenza della sua peculiare cultura pratica. Il piatto che risulterà da quest'ultimo processo potrebbe anche essere molto buono ma, probabilmente, mancherà di un certo non-so-che...

Finita la breve premessa rivolta a lei sa chi è, lei sa cos'è, ieri ho mangiato la torta di patate in casa Yamamai.
La ricetta era quella custodita dalla Confraternita della torta e del tortel de patate, segnalata nell'occasione dalla Geishagourmet. Quindi, solo patate Kennebec, olio e sale - credo -, senza aggiunta di farina.
Obiettivamente, però, il risultato non è stato dei migliori, con i tortel(li?) che, bassi come un'ostia, non avevano gran consistenza e, per di più, si sono induriti ai bordi. Do comunque atto - per correttezza - della mancanza di idonea grattuggia.
Prima
Dopo
A parte la portata principale, il resto era eccellente. A partire dall'insalata di cavolo cappuccio "a punta" (al solito prezzo-trento del fruttarolo Demattè in piazza Duomo, assieme alle patate), tagliato a mano a pezzettoni ben macerati, e continuando con il tipico contorno di fagioli borlotti.
Al vertice, però, l'incredibile formaggetto puzzone a pasta molle La Tur, di origine piemontese, fatto con latte di mucca, capra e pecora, molto aromatico e gustoso (acquisto Mein).
Senza dimenticare, poi, la Cecina de León (sempre Mein, probabilmente la Geisha fa pubblicità occulta), carne bovina salata, affumicata e poi essiccata, appunto, nella provincia spagnola di León: insomma, una sorta di bresaola affumicata.
Il tutto, accompagnato da una gustosa bozza di Dolomiti IGT Pra' dei Fanti Maso Bastie (Volano), un vino Merlot combinato con uve, per metà, barricate e, per metà, sottoposte a macerazione carbonica (da cui la morbidezza ed il sentore fruttato).