venerdì 30 dicembre 2011

Merry Christmas, Mr. Occelli!

Gente svenuta e frigo appestato: così si concludono le nostre festività natalizie. 
Dei miasmi - c'è da dire - dovremmo essere fieri, perché esalati dal "formaggio più buono del mondo", almeno secondo la giuria della Fiera Internazionale Fancy Food di New York nel 1997. Il principale antipasto del nostro Finto Natale, infatti, è la Tuma d'la Paja del mitico Beppino Occelli (Farigliano - CN), che prende il nome dalla paglia (paja) nella quale, secondo tradizione, i contadini delle Langhe lasciavano a maturare le tume. 
Il formaggio, prodotto con latte misto di vacca, pecora e capra, con panna, sale e caglio, è soggetto a poche settimane di stagionatura. Si presenta come un sottile disco bianco (alto circa 2 cm), dalla crosta morbida, rugosa e fetida che protegge una pasta dal tenue color giallo paglierino. Solo in bocca, quando si avverte la sua pastosità ed il sapore dolce e delicato, l'olezzo pungente lascia il posto ad un piacevole aroma di erba e nocciola. 
Con sorpresa, l'aroma di bocca della nostra tuma trova, poi, una perfetta cassa di risonanza nel vino di accompagnamento: l'ottimo Colli Tortonesi DOC Annozero 2007 Pernigotti (Carezzano). Ricavato dall'autoctona uva Timorasso, trattasi - eh-ehm - di vino dal limpido colore paglierino-dorato, fragrante di fiori bianchi e frutta fresca e matura, con evidenti note alcoliche; sapido e acidulo, il suo gusto è però ben equilibrato da morbidezza e consistenza.
Da menzionare, inoltre, il buon pecorino di Farindola prodotto, per il marchio "Fior fiore" Coop, dall'azienda agricola Martinelli Pietropaolo (Farindola). E' un formaggio a pasta gialla, compatta e friabile, dal sapore intenso, sapido e leggermente piccante, la cui stagionatura resta incerta tra i 3 ed i 12 mesi. Rappresenta un autentico stile DOP, caratterizzato dalla provenienza abruzzese (circoscritta ad alcuni paesi del versante orientale del Gran Sasso) ma, soprattutto, per l'utilizzo di caglio suino - caso più unico che raro, par di capire.
Rimane da esaltare, a questo punto, solamente il panettone artigianale del Panificio Moderno (Isera). All'interno, ovviamente, farina, sale, burro, tuorlo d'uovo, zucchero ed acqua, oltre al lievito naturale, poi uva sultanina e canditi (di discreta qualità) e pure malto, bucce d'arancia e di limone ed una bacca di vaniglia.
Mancano, invece, i conservanti, gli emulsionanti e gli altri additivi. E non per mere ragioni di principio, dato che a guadagnarci sono proprio le caratteristiche organolettiche del prodotto, in particolare l'aroma: pulito, naturale, di forno. Se proprio, avrebbero potuto usare canditi ed uvetta migliori. Ad ogni modo, è valsa la pena farsi fregare quei 6 euro di sovrapprezzo dalla Casa del Caffè.
Ah, un momento, bisogna pure rendere merito alla Stagista per il pasticcio di verdure! Squisito! Per premio, in via eccezionale, le permetterò di concludere il MIO post con il SUO piccolo angolo della ricetta inventata.
 
Lasagne di verdure

Ingredienti per 2 persone:
½  confezione di lasagne fresche
50 gr. di burro
50 gr. di farina
500 ml. di latte
½ verza piccola
2 zucchine
2 carote
una manciata di piselli
10 pomodorini
½ peperoncino essiccato
250 gr. di ricotta fresca
Trentingrana grattuggiato
olio
noce moscata
sale
pepe

Lavare e tagliare le verdure a cubetti e farle saltare in padella per una decina di minuti con un filo d’olio, sale, pepe e il peperoncino; terminata la cottura lasciar intiepidire.
Preparare intanto la besciamella secondo la ricetta classica.
Assemblare la lasagna seguendo l’ordine pasta-besciamella-verdure-ricotta,  terminando l’ultimo strato con solo besciamella e una generosa spolverata di Trentingrana sulla superficie.
Infornare a 180° nel forno ventilato e preriscaldato per circa 20-30 min.

domenica 11 dicembre 2011

Adolescenza.

E così, la fanciullezza di Bollicine su Trento termina, prima ancora di riuscire a congratularsi - a mezzo post - con l'Enoteca provinciale del Trentino per quant'è bello, paffuto e sorridente il suo rampolletto. Il piccolo è già un odioso adolescente, e rompe pure il cazzo per la paghetta.
Io, Quo e Qua i 5 euro a testa glieli diamo anche, però cos'è rimasto? Solo lo schema: un bicchiere brut, uno riserva, uno perlé. Lo spirito dell'evento, invece, se n'è andato. Però era quello il bello: una manifestazione per le masse ma veramente culturale, che permetteva, per un prezzo simbolico, di conoscere (ed eventualmente apprezzare) prodotti tipicamente elitari.
Per spiegare la nuova logica, basti riportare che la scelta è limitata a tre riserve. Tre. E gli altri vini in lista, con tanto di foto e posto per le annotazioni personali? Eh, beh, bisogna acquistarli a parte. Insomma, un normale wine bar, peraltro, ben fornito.

Ordinari doveri di cronaca impongono, comunque, di riferire che:
1. sarà lo scarso apprezzamento per lo spumante, saranno i parametri ancorati agli alti livelli di questo prodotto, ma il Trento DOC Maximum Brut Ferrari (Trento-Ravina), chardonnay al 100%, sembra troppo duro e poco fine rispetto ai colleghi;
2. tutt'altra storia il Trento DOC Brut 1907 Riserva 2006 Cantina d'Isera, puro chardonnay color giallo paglierino-dorato che propone, al naso, un accostamento di note floreali con sentori di frutta matura, quasi (addirittura) dolciastri e, al palato, un piacevole equilibrio di sapidità ed acidità con struttura e morbidezza.


Ah, il cibo è sempre il solito ma sempre gustoso, dalla tartina al salmerino marinato alla luganega, dalla mortandela allo speck.

sabato 10 dicembre 2011

Cameriereee, due bolle!

Ecco uno dei lati negativi della vita da sommelier. La gente. Non dev'essere facile stare a contatto quotidiano con la sciccheria, l'affettazione, lo yuppismo dell'umanità che affolla il mondo del vino... Lo rivela - tra le righe - la bonaria ramanzina con cui il sommelier A.S.P.I. ci intrattiene contro il gergo giovanilistico fatto di "bolle", "spumantini" e simili.
A.S.P.I. è l'acronimo di Associazione della Sommelierie Professionale d'Italia, curatrice della nostra prima degustazione nell'ambito dell'edizione 2011 di Bollicine su Trento. Siamo nelle sale di Palazzo Roccabruna, naturalmente, sotto l'egida della C.C.I.A.A. di Trento e della P.A.T.
Ultima precisazione: per quanto patinatissimo, il festival della bolla (a differenza del suo cugino economista) ha sempre tutta la mia gratitudine: 5 euro per degustare e confrontare, a tavolino, tutti (o quasi) i Trento DOC prodotti in Trentino non è niente male.

Ad ogni modo, io ed il Supermoccolo inauguriamo il grande evento con due degustazioni guidate.
La prima, "Super riserve... over 60 mesi", è quella curata dal già citato sommelier dell'A.S.P.I.
Questo simpatico omone baffuto, malgrado l'apparenza benevola, torchia uno ad uno tutti i presenti in un'interrogazione spietata sui vini in assaggio. Modello superiori. La Supermoccolo fa la secchia e, giusta punizione, viene etichettata dal maestro come "quella delle noccioline".
Peccato, poi, per il solito pippone su vita, morte e miracoli del Trento DOC. Basta!
Tutti e quattro i vini, comunque, meritano parecchio.
Trento DOC Brut Flavio 2004 Rotari (Mezzocorona) è chardonnay in purezza imbottigliato nel 2005: colore giallo paglierino; profumo, oltreché di lievito, di frutta estiva ma anche secca (lei dice mandorle); sapore bilanciato tra sapidità, acidità ed amarezza, ed un retrogusto davvero persistente.
Trento DOC Brut Academia Riserva 2004 Accademia del Vino Cadelaghet (Civezzano), con 95% di chardonnay e 5% di pinot nero: giallo paglierino poco più intenso del precedente e tempestato da una notevole effervescenza; profumo di frutta esotica matura, con alcune sfumature di mela cotta ed un non so che di artificiale; in bocca non il massimo, troppo dominanti le sensazioni salate ed amare.
Trento DOC Brut Altemasi Graal Riserva 2004 Cavit (Ravina) ha il 40% di uve chardonnay ed il 30% di pinot nero ed un colore giallo paglierino, il suo profumo è minerale/pipìdigattesco e floreale, leggermente fruttato, mentre il sapore, pur salato ed acido, è dominato dall'amarezza, comunque poco persistente.
Trento DOC Brut Madame Martis Riserva 2002 Maso Martis (Martignano) è perlopiù pinot nero (75%), per il 35% chardonnay ed al 5% pinot meunier, si presenta di colore dorato e con un inatteso odore di cuoio (o forse copertone), nonché frutta molto matura e in parte sotto spirito; in bocca è immediatamente avvolgente ma anche tannico, amaro e sapido. Veramente buono.

La seconda degustazione, "Perlage d'autore. Quando il Trentodoc non è dosato", ci insegna cosa cavolo sia il Dosaggio Zero (o Pas dosé, o Brut Nature): trattasi di spumanti secchissimi, in quanto rigorosamente privo di zucchero è il liqueur aggiunto nel corso della vinificazione, all'esito della sboccatura. Resterà insoluta la querelle tra integralisti (Bellaveder), ovvero "si deve rabboccare con lo stesso vino!", e coloro (Maso Martis) secondo cui il liqueur rimane liqueur, l'importante è che sia privo di zuccheri.
In ogni caso, ne risultano vini estremamente duri, non facili da bere e, insomma, nemmeno tanto piacevoli. Poco male perché, a sentire le presentazioni ufficiali, pare siano prodotti destinati alla sola élite dei consumatori, e noi certo non ne facciamo parte. Ci vale, quindi, come mero esercizio di curiosità.
Ma ecco i quattro protagonisti (che sono - per inciso - gli unici vini di questo genere in Trentino).
Trento DOC Dosaggio Zero 2006 Revì (Aldeno), uvaggio di chardonnay e pinot nero: colore giallo paglierino scarico, profumo fresco di fiori in un sottofondo di lievito crudo o gesso, sapore troppo acido e salato.
Trento DOC Dosaggio Zero 2008 Letrari (Rovereto), chardonnay all'85% e pinot nero al 15%: il colore è paglierino tendente al dorato, al naso floreale, solforoso e - causa l'assenza di fermentazione malolattica - di frutta matura, con sentori di miele e lievito; al palato, le notevoli sapidità ed acidità, stavolta, sono temperate dalla struttura e morbidezza del vino, a tutto vantaggio della piacevolezza.
Trento DOC Nature Pas Dosé 2008 Maso Martis, uvaggio di cabernet (70%) e pinot nero (30%), è in realtà una sperimentazione non ancora messa in commercio. Risulta, infatti, il miglior vino della giornata. Il colore è paglierino scarico, l'odore minerale-floreale, il gusto naturalmente sapido ed acido ma ben equilibrato dalla morbidezza.
Trento DOC Dosaggio Zero 2007 Bellaveder (Faedo), infine, si caratterizza - il produttore ci tiene a precisarlo - per essere rabboccato esclusivamente con "se stesso". Chardonnay al 100%, in parte fermentato in barrique, in parte in malolattica, è color giallo paglierino, di odore minerale e gessoso con note floreali. In bocca durissimo, porca miseria.
Insomma, magari questi vini li riassaggeremo con del formaggio grassissimo. O magari non li toccheremo più.

venerdì 18 novembre 2011

Törggelen a Barbiano (BZ)

Dopo attenti studi sulla piccola guida dei masi dell'Alto Adige, la meta del törggelen 2011 scelta è stata Barbiano e il buschenschank Unteraichnerhof prenotato per due.
Il buschenschank è un maso contadino che offre oltre a deliziose e sostanzione pietanze altoatesine anche vino della casa, nel periodo autunnale si celebra il "rito" del törggelen, in poche parole una super abbuffata che termina con castagne e vino novello.


Barbiano, il campanile della chiesa inclinato e i suoi sentieri verso le cascate sembrano l'ideale per favorire la digestione di un abbondante pasto contadino.
L'Unteraichnerhof si presenta come una classica casa contadina altoatesina con tanto di fiori, altalena, bestiole e ragazzina bionda e timida che suona la fisarmonica; la signora "contadina" conosce poco l'italiano e così ci vogliono un paio di minuti per ordinare due menù della casa.
Sedie e tavoli massicci sostengono il peso delle tazze di coccio, le brocchette e lo scaldavivande di un pranzo lungo e calorico, 7 portate terminate con il furto di un paio di piccole mele di montagna.


Il classico errore da principiante è lanciarsi sul pane in attesa della prima pietanza, ovviamente non si è imparato nulla e si inizia degustando un cestino di pane di frumento+segale morbido, Schüttelbrot (pane di segale croccante) e alle patate.
Il pancino bello pieno per le pagnotte ingurgitate incontra la calda e cremosa minestra d'orzo, manzo, salsiccia, carote e patate che galleggiano in un brodo saporito. Il brodo di carne leggermente troppo salato si mescola ad un bicchiere di Sylvaner del 2010, il profumo fresco e fiorito trova riscontro nel gusto acidulo e salatino, sembra ci sia anche chi scova effluvi di frutta esotica...bu!


 La seconda portata è una vera illuminazione, un bis di canederli al formaggio e schlutzer (tipici ravioli a mezzaluna ripieni di spinaci e ricotta) mantecati con burro, grana e una spolveratina di paprika; se la pasta degli schlutzer è decisamente troppo spessa, il ripieno dei canederli è stellare ed estremamente agliettoso...assolutamente deliziosi e da copiare.


C'è chi beve il sorbetto a metà pasto e chi si pappa un piatto di blatten (frittelle di farina soffici ma pesanti come mattoncini) con crauti.

La brocchetta di Sylvaner intanto è finita e urge ordinare altri beveraggi in vista della seconda manche, un quartino di Zweigelt del 2010, rosso dal profumo di frutti di bosco e ciliegia.

Lo scaldavivande accoglie un vassoio di arrosto del contadino (salsiccia affumicata, carrè di maiale, costine e lingua) con crauti , più aciduli dei precendeti serviti con le frittelle, patate e carote lesse. Carne saporita anche se non entusiasmante accompagnata da rafano e senape.

Le ultime portate sono accolte con le panciotte sempre più piene e con meno entusiasmo, a fatica mangiucchiamo qualche castagna, non buonissime, i krapfen di Barbiano con semi di papavero e marmellata e un freddo e solitario straub.

Il vino novello o vino nuovo, solitamente dolce, in questo caso è una Vernatsch (Schiava), fresca e aspra.
Il finale trionfa con una coppa di frutta deliziosa, colorata e così bella che è quasi un peccato spiluccare l'uva e far scivolare nello zainetto le mele.
Il conto e un grappino, alla prugna e al lampone, ci stampano un sorrisone sul muso e una canzocina leggermente alcolica in testa; saltiamo in Panda e arrivederci alle cascate di Barbiano.

domenica 6 novembre 2011

Alla sagra della ciuìga, per due soldi ecc.

Alla sagra della ciuìga ci si riprometteva di andare da almeno due anni. Perché siamo sempre in cerca di sagre decenti, fenomeno raro da queste parti, e perché la ciuìga del Banale è uno sfizioso prodotto tradizionale e, per di più, abbastanza di nicchia (quindi, fa sempre fico conoscerlo). (In realtà, da qualche tempo è stato reso presidio Slow Food, il che ha contribuito non poco alla sua diffusione).


Tema: cos'è la ciuìga? Gustoso salume delle Valli Giudicarie e, precisamente, di San Lorenzo in Banale, nacque nella seconda metà dell'Ottocento, frutto di quell'ingegno che solo l'indigenza è capace di stimolare. L'idea, in sostanza, fu quella di insaccare una piccola percentuale di scarti del maiale (testa, cuore e polmoni) insieme ad un mucchio di rape bianche, aromatizzando il tutto con aglio, pepe nero e sale e, infine, sottoponendo il sacchettino ad affumicatura. Grazie al gusto delicato della rapa, tale da non alterare il sapore della carne, i sensi e lo stomaco si illudevano di mangiare qualcosa di ben più sostanzioso della realtà.

Oggigiorno, il salume - messo sul mercato esclusivamente dalla Famiglia Cooperativa Brenta Paganella - pur conservando i caratteri essenziali di un tempo (ingredienti, preparazione e forma "a pigna di conifera" o "a stronzotto"), è prodotto con carne di maggior pregio e con una percentuale di rape ridotta al 30-40%.
Fatta la premessa, il post mi è quasi venuto a noia e potrebbe concludersi qui. Ma facciamo un ultimo sforzo...
La sagra della ciuìga si tiene nella parte alta ed antica di San Lorenzo in Banale, ovverosia, in un piccolo borgo di case rurali, affacciato sulla valle ed attraversato da una via principale che, a tratti, si avviluppa in intricati saliscendi di vicoli ed archi.

Dietro ogni porta e sotto ogni volta c'è un banco e qualche rivenditore, rigorosamente in tenuta tradizional-campagnola. Gli ambienti interni (suggestive architetture in pietra e legno) sono addobbati - quasi come un museo - di strumenti da lavoro, quadri e suppellettili da bottega. Le viuzze sono ravvivate sia dai colori intensi delle foglie autunnali, che si aggrappano un po' ovunque, sia dai fregi di pannocchie appese sugli edifici, sia da una moltitudine di verdure intagliate e ricostruite in figure fantasiose. I prodotti gastronomici sono in mostra dappertutto, appesi oppure offerti sui banconi.
Ciò che colpisce di più è, comunque, la piacevole atmosfera che si respira in questa sorta di rappresentazione popolare. Gli abitanti del posto, che hanno aperto le loro case ed animano personalmente gli stand ed i punti di ristoro, sembrano sinceramente interessati ad accogliere ed intrattenere i visitatori nel miglior modo possibile. Esibizioni folkloristiche di qualità animano prima uno e poi l'altro spiazzo del paese. Persino i rivenditori sono di una prodigalità sconosciuta da queste parti (e noi ne approfittiamo per piluccare un po' di tutto). I vigili, poi, ostentano buonumore e sono di una gentilezza squisita. Non siamo in Trentino.
Quanto ai prodotti di gastronomia, ci sono, ovviamente, alti e bassi (e, tra i bassi, ricorderò il birrificio artigianale Teddy Bier di Mori). Tuttavia, la qualità media è sensibilmente più alta rispetto alle pseudo-sagre trentine. Sicuramente, non ricordo di aver mai mangiato così bene presso uno dei loro punti di ristoro, mentre qui, prima, i canederli alla ciuìga, poi, la ciuìga cotta con polenta, poi ancora, la torta di mele e, infine, il conto sono stati enormemente apprezzati.

Davvero saporiti, inoltre, sono i formaggi dell'azienda agricola Melzani Marco da Bagolino (BS) e, su tutti, il Bagòss di Bagolino (Presidio Slow Fuff) stagionato per 36 mesi, giallissimo, granitico e deliziosamente piccante. Altra piacevole scoperta è la neonata Agrilife di Donati Moira (da Comano, cioè lì vicino) e le sue tartine di cotognata (oltre ad una serie di cosmetici che interessano solo alla Ciuìgogirl e che quindi, nel mio post, non avranno spazio). Anche gli Amici del Tortel di Cavedago pare non se la cavino male, ma non posso che riferire opinioni di terzi non troppo attendibili (la Ciuìgogirl), ché io, a quel punto, stavo veramente schiattando.

martedì 6 settembre 2011

Viva viva il cineforum!

Gli eventi enogastronomici in provincia di Trento non sono molti e - complici sia lo scarso "spirito imprenditoriale" locale, sia la bassa qualità media dei cosiddetti "prodotti tipici" - si corre sempre il rischio di trovarci fuffa o, comunque, di regalare soldi. Giustamente prevenuti, dunque, arriviamo alle 8 di sera alla Cantina d'Isera, per partecipare alla serata cine-degustativa organizzata da Trentino Marketing, Strade del vino e dei sapori del Trentino e Nuovo Cineforum Rovereto, nell'ambito dell'iniziativa "Denominazione di Origine Cinematografica".
Ebbene, ci saremmo dovuti (parzialmente) ricredere.

Per la verità, l'ambiente non è dei più confortevoli, avendoci gli organizzatori murati vivi - noi, gli altri 148 visitatori e pure gli stand di degustazione - in due anguste salette senza vista. Peccato, perché il punto vendita della Cantina d'Isera godrebbe di un piacevolissimo panorama sui circostanti vigneti e sulla Vallagarina (d'altronde, poche alternative: fuori piove, e nello spazioso ed elegante salone contornato da vetrate, destinato normalmente all'accoglienza degli ospiti, è allestita la successiva proiezione).

Insomma, arriviamo e, ancora accalcati in fila, intravediamo gente, all'interno, maneggiare minuscoli piattini semivuoti, ed ecco che il pregiudizio di cui sopra genera sconfortanti visioni di noi, senza cena!, con l'appetito incendiato da quei minimi assaggi, che ci mordiamo a vicenda per le successive tre ore...
Per fortuna, invece, scopriamo che i piattini, pur piccoli, vengono riempiti più e più volte, ciascuna in un banchetto diverso (sei, in tutto), e che nessuno si risparmia sul bis (Slow Food, impara!).
Cominciamo, quindi, dallo stand della Macelleria Sighel (Baselga di Pinè), dove offrono carne salada cruda, tagliata a fette meno sottili del solito ma tenerissima, dal sapore gradevole, però fin troppo delicato per della carne salada, e kaminfeger, alias "salamino dello spazzacamino", ricavato da manzo e maiale, leggermente aromatizzato e affumicato. Entrambi prodotti piacevoli ma senza pretese.

Gustosissimi, invece, gli ortaggi di Agriverde Val di Gresta (Mori), in particolare i crauti bianchi con mele, la cui naturale acidità è piacevolmente smorzata dallo zucchero della frutta, ben abbinati, sopra una fetta di pane, con una punta di mostarda di pere, salsa agrodolce (per nulla piccante, avendo la senape lasciato il posto, tra gli ingredienti, al succo di limone) ormai molto in voga nella gastronomia locale e, credo, nazionale, ed effettivamente buonissima (soprattutto con formaggi stagionati). Altrettanti complimenti meritano i veli di sedano-rapa, dal sapore non molto intenso ma caratteristico e, confezionati sott'olio, ottimi da soli, stesi sul pane.

Accompagnamo queste prime portate con il gradevole Trento DOC Brut 2006 Cantina d'Isera (uve chardonnay); per le successive, invece, ci lanciamo sul nuovo vinello realizzato in collaborazione dalla cantina ospite e dall'azienda de Tarczal, tal Trentino DOC Marzemino d'Isera Superiore Vignetti: probabilmente, un prodotto ancora immaturo.
Riguardo ai vini, rimane da dire che l'offerta è assolutamente ridicola, limitata ad un trentodoc e tre marzemini: ma porca miseria... siete l'unica cantina presente, nonché gli ospiti... e tirate fuori anche i bianchi!
Il tour prosegue con l'immancabile Panificio Moderno di Isera, i cui pani di lievito madre meritano sempre una sosta abbuffina, siano dolci (Fichi e uvetta) o salati (Panpetra). Viene anche da chiedersi come sia possibile l'onnipresenza del simpatico ragazzo-immagine dell'azienda, reperibile ad ogni evento gastronomico organizzato in provincia, sempre dietro ad un banchetto alle prese con enormi sacchi di pane. Chi sarà il suo spietato magnaccia?
Il loro pane, ad ogni modo, risulta un ottimo accompagnamento per le prelibatezze della Macelleria Equina Zenatti (Rovereto), proposte in forma di salamini stagionati, polpettine molli di carne cruda aromatizzata, fesa affumicata e salamoni freschi. Uno meglio dell'altro.
Ovviamente, spuntano anche i formaggi locali. Per l'occasione, il Caseificio degli Altipiani del Vezzena (Lavarone) offre le sue specialità, ovvero: ricotta fresca e morbida a cofanate, tanto ghiotta quando cosparsa di miele di castagne dell'Agricoltura Peterlini (Rovereto), quanto scipita presa di per sé; Asiago DOP, buono ma assolutamente ordinario, così come il Vezzena DOP vecchio, stagionato un anno; l'unico formaggio con un minimo di personalità è il Vezzena DOP di malga, con lievi note erbacee.

Caffè e dolci vengono infine serviti allo stand della Casa del Caffè (con sede storica in Trento, quindi che c'entra con la Vallagarina? Il proprietario prezzemolino ci sta bene un po' dappertutto? Ha parenti roveretani?). Notevoli le improvvisazioni culinarie del gestore, il quale assembla sul momento piccole delizie con fette di gianduia e di nocciola, pepe in scorza di cioccolato, biscotti sbriciolati, cremine ed altri prodotti dolciari. Veramente buona pure la sfoglia di biscotto ripiena di mandorle ed amaretti tritati.

Un'ora e mezza di degustazione dopo, viene proiettato The Town di Ben Affleck, thriller scontatissimo sul malavitoso innamorato e desideroso di uscire dal giro ma oramai è difficile. Dal Nuovo Cineforum Rovereto mi sarei aspettato di meglio, spero non siano decaduti anche loro.

domenica 28 agosto 2011

Appunti gastro-fotografici, Napoli e Ischia.

In breve tutto quello che abbiamo visto e bevuto, tra Napoli ed Ischia, che non riempie un post ma merita comunque di essere citato, se non si possono assaggiare ed odorare certe pietanze sono difficili da descrivere solo con immagini e parole...la pizza!ah!

Pizzeria Sorbillo, Napoli.


Una pizzeria affollatissima di giovani in pausa pranzo, ci siamo capitati per caso ma mangiare seduti in un angolino stretti stretti è un sacrificio che farei ogni giorno pur di assaporare una sugosa marinara. La migliore pizza che abbiamo assaggiato a Napoli!


  

Pizzeria da Michele, Napoli.
Quella che sembrava una certezza si è rivelata una delusione dell'ultimo minuto. Prima di salire sull'aereo per il ritorno ci siamo concessi una pizza in questa famossissima pizzeria dove il menù consiste in marinara, margherita e stop, meno buona e saporita di quella di Sorbillo (e pure più costosa).
  
Pasticceria Scaturchio, Napoli.
Torte di babà con sinuose forme vesuviane e torrette di marzapane risiedono nelle vetrinette di questa pasticceria che offre ovviamente anche una selezione di paste goduriose.





Caffè Gambrinus,Napoli.
Caffè e paste di tutte le taglie e i gusti, con servizio al tavolo 2 euro per un caffè...acci!.

Enoteca di Vino, Ischia Ponte.
Abbiamo degustato un bianco e un rosso ischitani:
- Ischia Biancolella d.o.c. della cantina Cenatiempo 2009 , fresco e profumato di fiori e frutta esotica (ananas), salato ma equilibrato.
- Ischia Rosso d.o.c. della cantina Cenatiempo 2009 , al naso arrivana la dolcezza della frutta sotto spirito ma in bocca è un gusto acidulo che la fa da padrone.

Da Peppina con furore.

Non fosse per questo post, la memoria condenserebbe questa serata in tre parole: atmosfera, coniglio e fregatura.
"Atmosfera", perché il Mangiarozzo 2011 di Carlo Cambi ha ragione a consigliare, all'avventore della trattoria "da Peppina di Renato" (Forio d'Ischia), l'impiego di qualunque inganno pur di farsi assegnare un posto sotto il pergolato. E' infatti in questa ristretta zona esterna, sorta di balcone o terrazzamento sul lussureggiante pendio dell'Epomeo, che il locale - già rustico, accogliente e caratteristico - raggiunge un culmine di naturale suggestività, dove la modesta e colorata costruzione umana si immerge completamente nella vegetazione in lenta discesa verso il mare.
"Coniglio", perché rappresenta il clou di una cena a base di carne grandiosa, sia per qualità, sia per dimensioni (con ennesima frustrazione delle nostre speranze di restare leggeri).
In realtà, non ordiniamo più di un antipasto, un secondo ed un dolce e testa. Ma la prima portata è prelibata quanto devastante: un'intera "pizza bianca" con cipolle, patate e gorgonzola distesi su uno strato di mozzarella, una truppa di incredibili "polpettine saracene" ripiene di formaggio, una porzione dei popolarissimi friggitelli, una frittata arrotolata con prosciutto e rucola e, infine, un involtino con melanzane, sottiletta e prosciutto.
L'andazzo suscita una certa preoccupazione ma, fortunatamente, con il "coniglio all'ischitana" si torna a dimensioni normali. Solo le dimensioni, però, perché il sapore giunge invece a vette prodigiose.
L'animale, servito in un tegame di creta fantozzianamente bollente, è tagliato in pezzi e condito con un denso e saporito sugo di pomodorini ed erbe aromatiche: ne risulta una carne incredibilmente tenera e gustosa, ricca di aromi e, grazie al peperoncino, con un accenno di piccante.
Preceduto dal suddetto ben di dio, il croccante con mousse, che si presenta in veste davvero appetitosa, ci lascia invece parecchio delusi per banalità di preparazione e di sapori.
Ci sarebbe quindi un'ultima parola-chiave, che si pronuncia "fregatura". Fatto sta che, malgrado i 30 euro sborsati per un vino fuori listino, che l'infido (ma vogliamo pensare giovane ed inesperto) cameriere ci aveva promesso per la metà, e nonostante la vergogna che ancora provo per non aver reagito con la necessaria violenza fisica, c'è da dire che l'Ischia Rosso DOC "dedicato a Mario d'Ambra" (2008) Casa d'Ambra (Forio) guadagna il titolo di miglior bevanda dell'estate campana e, in assoluto, rimane un prodotto da grandi occasioni.
In particolare - come evidenziato nell'intermezzo del piccolo degustatore - il vino proviene da uve Guarnaccia e Per'e' Palummo (o Piedirosso), è color rosso rubino e sprigiona un profumo vinoso, con note di ciliegie sotto spirito ed un insolito sentore di abbrustolito (la piccola degustatrice dice: odore di rosmarino ed erbe aromatiche); al palato è più freddo di quanto gli odori lasciassero prevedere, con sensazioni salate e tanniche bilanciate, comunque, da una certa morbidezza.

giovedì 4 agosto 2011

Pietratorcia, Forio.

Vagando per Forio ad Ischia ci siamo imbattuti, dopo estenuanti ricerche, in questo semplice ma delizioso posticino che prende nome dalla cantina Pietratorcia, che non solo offre i vini della suddetta cantina ma anche cibo, poco ma ottimo, le porzioni non sono piccole ma è il menù a limitarsi ad una scelta di soli tre piatti.
Il ristorantino fornito di una graziosa terrazza sulla strada ospita pochi avventori; veniamo maltrattati subito dal proprietario, un omone brusco e sbrigativo, che ci vieta di ordinare due pietanze diverse e ad ogni nostra gentile richiesta sbuffa come stesse per scoppiare d'ira. Nel tavolo a fianco due simpatiche signore abituè hanno ordinato "carne alla piastra quella che piace a loro" e il proprietario ha messo a cuocere probabilmente i resti degli occupanti del tavolo precedenti a noi maltrattati e segregati in cantina. La sorella del cuoco mi ha avvertita appena in tempo "mi spiace, mio fratello è un po' lunatico ma tra poco si tranquillizza" e ho salvato, invocando l'aiuto della donna, il piccolo Winnie the Pooh, che avevo mandato a scegliere le verdure e che già sfregava le manine e leccava i baffetti tutto gongolante. Salvi per un pelo dall'essere divorati e trasformati probabilemente lui in brodo e io in salsiccia dall'orco, che poi si è rivelato molto disponibile e un po' ravveduto del trattamento offerto.
Sul tavolo, dopo una serie di peripezie, sono approdati due piattoni di caprese di bufala meno saporita di altre assaggiate nel campano girovagare e un mix di verdure per nulla light: nello specifico, friggitelli, radicchio, melanzane o meglio melenzane alla parmigiana e ovviamente zucchine alla scapece. Verdure sugose e saporite da pulire il piatto con un tozzetto di pane.
Il vino, della cui scelta mi ritengo responsabile, è un Ischia d.o.c. Forastera (2010) Pietratorcia, fresco e leggero, forse più da aperitivo che da pasto saporito. Soprattutto, abbiamo così perso così la possibilità di degustare dei vini ottimi prodotti da questa cantina che forse avevamo, o meglio avevo, un po' sottovalutato.

[Modificato per rispondere alle richieste dei miei fans]

martedì 26 luglio 2011

Hosteria Toledo, Napoli.

Il fatto che sulla ricevuta la chiocciolina di Slow Food sia stata cancellata a penna mi risulta un po' losco ma il cibo è buono e la location, i quartieri spagnoli, romantica e pericolosa (solo nella mia testa!).
La cena in questo posticino scuro e pieno di cianfrusaglie fuori stagione (vicino al nostro tavolo, tra le altre cose, la capanna di un vecchio presepe impolverato) avrebbe dovuto essere tranquilla, piena di verdure e dal prezzo ridotto, dopo giorni di frittini più o meno buoni e camminate estenuanti sotto il sole.
Il menù scelto invade il nostro tavolinetto iniziando con una trionfale caprese di bufala, ottima la mozzarella e delizioso il pomodoro intagliato a rosetta, quasi un peccato mangiarlo!

A seguire una corposa insalata di mare che per me, bambina di montagna dalle gote rosse, equivale ad un'autentica goduria con la dolcezza delle cozze con limone appena spremuto e polipo tenero. 
Le verdure che dovevano salvarci dai troppi frittini in realtà si sono trasformate in zucchine a scapece e friarielli, entrambi deliziosi e in assoluto una delle cose che ho preferito di Napoli insieme alla pizza alla marinara, il caffè alla nocciola, i bianchi ischitani e il gelato alla mandorla.
Nei bicchieri oltre alla solita acqua naturale una Campi Flegrei Falanghina d.o.c. Colle Imperatrice (2010) delle Cantine Astroni, lo ricordo ottimo e perfetto per l'insalata di mare e per ripulire il palato dal mix di aglio e menta delle zucchine a scapece.
Spaccanapoli

domenica 17 luglio 2011

'O pesce 'e Don Antonio.


Zona portuale di Pozzuoli (NA), un intrico di stradine in mezzo a vecchie, basse case da pescatori. Tra la miriade di ristoranti c'è Don Antonio, locale storico frequentato dal parentado sin dalla tenera età.

Ci serve un cameriere vecchio, minuto e smunto, ma attentissimo ed impeccabile, una vita intera come cameriere da Don Antonio. Sia io che la Brischetta non siamo in vena di abbuffate ed ordiniamo una frittura di mare per due, accompagnata da un'insalatina.



Ebbene, l'insalatina è buonissima, imbevuta esclusivamente in uno strepitoso succo di limone. Il pesce, invece, è sì freschissimo - e questo per noi montanari è già un miracolo - ma, malgrado sia pure buono, in fondo lascia un po' d'amaro in bocca, e non tanto perché è cucinato in maniera semplicissima (in fondo la cucina semplice dovrebbe esaltare la veracità del prodotto buono), quanto, piuttosto, perché non propone quel sapore straordinario che, in un posto del genere, ci si aspetterebbe (e ci si aspettava).

L'abbinamento sta nell'unica bottiglia a disposizione, una Campania IGP Falanghina (2010) Zassa (Pozzuoli) senza pretese ma, per quel che serviva, giovane, fresca ed acidula al punto giusto.

Alla fine, comunque, per il prezzo irrisorio, rimane un locale da tenere in considerazione...
Particolare Anfiteatro Flavio a Pozzuoli

sabato 16 luglio 2011

Pizzeria al 22, Pignasecca, Napoli.

Dopo anni, accompagnato dalla fida Segretaria, ritorno in questo storico locale, infilato in una stretta via popolana della città.

Troviamo posto nell'ultima delle tre piccole sale arredate in modo spartano, tra foto di Totò e di clienti vip; al nostro fianco, da un lato, due napoletani con rispettive prede francesi e, dall'altro, una tavolata di adolescenti dai volti adulti e taglieggiatori, riportati all'età naturale soltanto dalle coca-cola nei loro bicchieri.

Le pizze, due margherite, sono ottime, anche perché sono le prime dopo tempo immemore di surrogati. Eppure, nei miei ricordi erano un po' meglio...


Eccezionali come li ricordavo, invece, i fritti misti servitici come antipasto, dalle paste cresciute ripene di zucchine alla ricotta fritta, dalla bruschettina con pomodoro all'arancino con prosciutto, alla mozzarella in carrozza mignon, al fiore di zucca impanato e, sopratutto, al crocchè di patate, che quando è fatto bene è la fine del mondo.


Su tutto, si beve Campi Flegrei DOC Falanghina (2010) Carputo (Quarto - NA), vino color giallo paglierino, dall'odore delicato e, al palato, secco ed abbastanza armonico. Non proprio la scelta migliore, col senno di poi (anche perché ormai sono snob e voglio i bicchieri da vino).
In visita al Castel dell'Ovo Napoli